Sempre più gay e lesbiche rivendicano diritti a colpi di carte bollate. La settimana scorsa il primo ricorso di una coppia italiana alla Corte europea dei diritti umani
A Strasburgo Antonio Garullo, 47 anni, e Mario Ottocento, 40, di Latina, hanno presentato ricorso alla Corte europea dei diritti umani per vedere riconosciuto il loro matrimonio in Italia. Sono stati la prima coppia gay italiana a sposarsi all’estero, nel 2002 in Olanda.
Il ricorso, un chilo e mezzo di documenti e argomentazioni giuridiche, è l’ultimo atto di una lunga battaglia legale per riempire quella linea vuota. Non è una battaglia solitaria: sempre più gay e lesbiche, in assenza di una regolamentazione per le coppie omosessuali in Italia, chiedono a colpi di carte bollate l’accesso a diritti e doveri nel nostro Paese.
Come è successo il 31 agosto, quando la Corte d’Appello di Milano ha dato ragione a un bancario milanese che chiedeva di poter iscrivere il proprio compagno «convivente more uxorio» alla sua mutua di categoria, e ha respinto l’istanza contraria della Cassa per il personale delle Banche di credito cooperativo. O come era successo solo il giorno prima, quando la Questura milanese aveva rilasciato il permesso di soggiorno al marito serbo (sposato in Canada) di un cittadino italo-canadese.
Garullo e Ottocento hanno fatto leva sulla legislazione europea. «Quando ci siamo sposati eravamo già determinati ad arrivare alla Corte, se fosse stato necessario», racconta il primo. I due sposi hanno chiesto la trascrizione del matrimonio al Comune e, quando è stata rifiutata, hanno fatto ricorso in tribunale assistiti da un avvocato di Latina, Alessandro Mariani. «All’inizio nessuno ci appoggiava. Anche Arcigay era contraria: temeva che chiedere le nozze avrebbe alienato l’opinione pubblica, mentre allora le unioni civili sembravano a portata di mano», dice Garullo.
Un avvocato per i diritti lgbt
Il loro tentativo, però, ha attirato l’attenzione di Francesco Bilotta, un avvocato di 39 anni che insegna all’università di Udine, nutre un’incrollabile fiducia nella capacità del diritto di regolare in modo razionale i rapporti umani e ha fondato, con Antonio Rotelli e Saveria Ricci, l’«avvocatura per i diritti lgbt» Rete Lenford (l’acronimo sta per «lesbici, gay, bisessuali e transgender»).
«In Italia c’è un problema di discriminazione che la classe politica non sta affrontando – spiega Bilotta – La cosa più naturale, come avvocati, era mettere il nostro tempo a disposizione di quei cittadini che si rivolgono al giudice per ottenere giustizia».
Bilotta ha difeso i due sposi di Latina in Cassazione, nel 2011, dopo che i giudici hanno respinto in primo e secondo grado la richiesta di trascrivere il loro matrimonio, definendolo «inesistente». Anche dalla Suprema Corte, il 15 marzo scorso, è arrivato un no. «Ma con alcune decisive novità», dice Barbara Pezzini, studiosa di diritto costituzionale e preside della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bergamo. «La Cassazione, infatti, spiega che non è vero che il matrimonio tra persone dello stesso sesso non esiste, ma solo che è “inidoneo” a produrre effetti nell’attuale ordinamento giuridico. Inoltre, richiamando una precedente sentenza della Corte Costituzionale, sancisce che le coppie dello stesso sesso hanno un “diritto fondamentale” alla vita familiare, al riconoscimento giuridico delle loro unioni e alle stesse tutele dei coniugi eterosessuali», aggiunge Pezzini.
Il pronunciamento della Corte Costituzionale citato dalla Cassazione è arrivato dopo un’altra battaglia legale, avviata nel 2005 da Bilotta con Clara Comelli e Sergio Rovasio dell’associazione radicale Certi Diritti. Si tratta dell’iniziativa «Affermazione civile», in cui 30 coppie gay e lesbiche hanno chiesto le pubblicazioni di nozze ai loro comuni di residenza e impugnato in tribunale il rifiuto, appellandosi al principio di uguaglianza. Tra le coppie che hanno partecipato ci sono Antonella D’Annibale, 48 anni, e Debora Galbiati Ventrella, 47, di Torino.
«L’abbiamo fatto per un desiderio che non sapevamo neppure d’avere. Ero sempre stata convinta che il matrimonio fosse un’istituzione superata. Ma quando sei molto innamorata vuoi il massimo: “arriveresti al punto si sposarmi?” chiedi (e ti chiedi) – racconta D’Annibale – Io e Debora ci siamo risposte di sì, e a quel punto ci siamo rese conto che non potevamo. Allora abbiamo deciso di cercare una soluzione».
Su internet hanno trovato l’iniziativa di «Affermazione civile» e hanno deciso di aderire perché «era pratica, reale, concreta: finalmente qualcuno faceva qualcosa» (in attesa di un riconoscimento legale, le due donne nel 2010 hanno celebrato comunque un matrimonio simbolico davanti all’allora sindaco di Torino Sergio Chiamparino).
Il matrimonio nella Costituzione
In quattro dei processi che sono scaturiti da «Affermazione civile», i giudici hanno sollevato la questione di costituzionalità, per verificare se il divieto del matrimonio gay fosse legittimo alla luce dell’evoluzione sociale. La Corte costituzionale, con la sentenza 138 del 2010, ha sancito che la stabile convivenza di una coppia dello stesso sesso deve essere considerata tra le formazioni sociali tutelate dalla Costituzione, «ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri».
«I giudici hanno affermato che serve un riconoscimento giuridico per le coppie gay: in termini tecnici parlare di “diritto fondamentale” significa indicare che deve essere garantito al più presto», spiega Pezzini. La Corte Costituzionale ha anche chiarito che quando la Carta nomina il matrimonio si riferisce a quello eterosessuale. Per alcuni giuristi questo significa che il matrimonio gay non è contemplato dalla Costituzione. Ma un numero crescente di costituzionalisti legge la sentenza come un’apertura: «I giudici rilevano solo che non possono interpretare gli articoli sul matrimonio allargandolo alle coppie dello stesso sesso. Ma una legge del Parlamento può farlo, senza violare la Costituzione», spiega Giuditta Brunelli, ordinaria di Diritto pubblico all’Università di Ferrara.
Per Bilotta è un risultato importantissimo: «Quando nel 2005 abbiamo avviato “Affermazione civile” nessuno pensava che in Italia il matrimonio potesse essere allargato alle coppie gay, neppure le associazioni lgbt. Oggi, che se ne parli con accenti negativi o positivi, è un tema reale», dice.
Il Pdl, Rosy Bindi e il desiderio di Vendola
Tra il 1988 e il 1996, quando si è iniziato a pensare di regolare le unioni gay, è stata presentata una sola proposta di legge a legislatura. Tra il 1996 e il 2001 sono salite a 8, ma nessuna prevedeva il matrimonio. Nella quindicesima legislatura (2006-2008) sono state depositate 21 proposte e un disegno di legge, quello del governo Prodi sui Dico. È solo con l’attuale Parlamento che si è iniziato a discutere di matrimonio: lo contemplano 3 su 16 progetti presentati. Ma in tutti questi anni solo un testo è stato dibattuto dai parlamentari, quello di Franco Grillini sui Pacs del 2002.
Questa estate, intanto, 173 parlamentari pdl hanno firmato un documento contro le nozze gay. Anche l’Udc è contraria. Il Pd, dopo una contrastata discussione interna, ha scelto di sostenere un «presidio giuridico» separato per le coppie dello stesso sesso. E il leader di Sel Nichi Vendola, gay dichiarato e fino a qualche anno fa favorevole alle unioni civili, è sbottato con Rosy Bindi (Pd): «Non voglio Pacs né Dico, non voglio acronimi: a 54 anni voglio sposarmi con il mio compagno». Oltre al partito di Vendola, per i matrimoni si sono schierati Idv, Movimento 5 Stelle, Radicali. Ma è improbabile che il parlamento affronti presto la questione: «Credo che il Paese debba fare un passo avanti sul tema dei diritti civili. Tuttavia penso che la crisi economica e sociale imporrà altre priorità», ha sintetizzato Massimo D’Alema (Pd) al Corriere due settimane fa.
Il sì di Obama che parla agli eterosessuali
Anche perché i partiti si stanno preparando alle elezioni del prossimo anno. E se negli Usa il presidente Barack Obama ha usato il suo sì alle nozze gay come argomento elettorale, in Italia non è così. «Le persone che si definiscono omosessuali, nel nostro Paese, sono solo il 2% della popolazione», dice il sociologo dell’università di Bologna Asher Colombo, co-autore della più estesa ricerca sugli omosessuali italiani. «I loro voti non sono considerati decisivi. In America la situazione è diversa non perché i gay siano di più, ma perché il tema conta per gli eterosessuali: c’è una lunga storia di attenzione ai diritti civili. Da noi, invece, sia la tradizione politica cattolica che quella comunista hanno sempre avuto un atteggiamento negativo nei confronti dell’omosessualità. Eppure ormai da dieci anni la maggioranza degli italiani è favorevole a un riconoscimento per le coppie gay».
Una legge dal basso
Dal 2000 a oggi, a cambiare è stata sicuramente la posizione del movimento lgbt, quella galassia di associazioni che offre servizi e rappresentanza politica alla comunità gay e che in Italia è diventata visibile sulla scena pubblica con il World Gay Pride di quell’anno. A giugno è partita una campagna di raccolta firme per una legge di iniziativa popolare che introduca unioni civili riservate alle coppie dello stesso sesso, con diritti e doveri uguali a quelli del matrimonio. Sponsorizzata dall’azienda di gelati Ben&Jerry’s, è coordinata da Alessandro Zan, assessore padovano di Sel e dirigente di Arcigay. Tra i primi firmatari ci sono i politici di punta del mondo gay: Anna Paola Concia, Franco Grillini, Vladimir Luxuria. Ma a sorpresa non ha ricevuto (con l’eccezione di Arcilesbica) il sostegno delle associazioni lgbt. Che, Arcigay in testa, hanno iniziato a preparare una campagna per un’altra iniziativa di legge popolare, stavolta sul «matrimonio egualitario»: l’estensione del matrimonio civile alle coppie dello stesso sesso.
«Per quale motivo dovrei accontentarmi di un istituto diverso? È come se dicessero: i neri devono andare sull’autobus verde e non su quello rosso, tanto sono uguali. Ma allora perché un altro autobus?» chiede Giuseppina La Delfa, presidente dell’associazione di genitori gay Famiglie Arcobaleno. Intanto andrà avanti anche il ricorso di Garullo e Ottocento alla Corte europea dei diritti umani. Potrebbe richiedere molti mesi, oppure precedere ancora una volta i tempi della politica. Loro nel frattempo hanno festeggiato comunque i dieci anni di matrimonio.
Elena Tebano, Corriere della Sera