Mentre la maggior parte degli addetti ai lavori è in attesa dell’approvazione del fantomatico Decreto Digitalia riceviamo e volentieri pubblichiamo un commento ironico e pungente dell’ avv. Andrea Lisi – Presidente dell’Associazione Nazionale per Operatori e Responsabili della Conservazione Digitale – con cui l’autore mette in evidenza alcune contraddizioni della bozza che già circola da giorni e, più in generale, delle modalità con cui si è scelto di affrontare il tema della digitalizzazione della pa negli ultimi 2 anni.
Giro-Girotondo
Eccola la rivoluzione digitale italiana. Un susseguirsi di innovazioni, a partire proprio dai suoi organismi rappresentativi: AIPA, CNIPA, DigitPA e oggi Agenzia per l’Italia Digitale. Un inno al Nominalismo ha contraddistinto la nostre importanti riforme in materia durante tutti questi anni!
E poi tante, tantissime leggi: siamo partiti prima di tutto con il “Nuovo” Codice dell’amministrazione digitale. Così è stata chiamata con una certa supponenza quella riforma piccola piccola e un po’ confusa voluta dall’ex ministro Brunetta e contenuta nel Decreto 235/2010. E poi c’è stato un succedersi di mirabolanti normative, tutte a rincorrersi in un impeto schizofrenico di innovazione legislativa!
Ne dimenticherò qualcuna perché vado a memoria, ma ricordo:
- la fantastica decertificazione: art. 15 L. 183/2011 + Direttiva Pres. Consiglio Ministri 14/2011;
- le favolose semplificazioni: DL 9 febbraio 2012 n. 5 convertito in Legge 4 aprile 2012 n. 35 (Agenda Digitale);
- le mirabolanti misure urgenti per la crescita del Paese: DL 22 giugno 2012 n. 83 convertito in Legge 7 agosto 2012 n. 134 (Agenzia per l’Italia Digitale).
Come ho già avuto modo di riferire, in realtà c’è veramente poco di nuovo in tutta questa recente normativa così impetuosa e galoppante e che si interessa in modo ostinato del miracolo digitale. Si continua a ruotare sempre intorno ai soliti princìpi generali, imponendo in qualche timoroso articolo qualche termine (non) perentorio e si rinvia ai soliti decreti attuativi (che nella maggior parte dei casi non arrivano). Sembra quasi che si tratti di un catartico girotondo normativo quello a cui è sottoposto il nostro povero ordinamento in questi anni.
Davvero il nostro Governo pensa che i processi di digitalizzazione porteranno non solo efficienza, ma anche e soprattutto risparmi immediati e concreti a tutte le PA italiane? Chi sta raccontando queste frottole in giro per l’Italia?
In realtà, digitalizzarsi costa ed è bene ricordarlo. Costa in termini di risorse (dipendenti da formare e cittadini da informare), in termini di strumenti (hardware e software) e soprattutto in termini di modelli e processi organizzativi da sviluppare. È un cammino inesorabile e necessario, ma non si può pensare di percorrerlo inzuppando le norme qua e là di bellissimi principi generali, tutti da concretizzare (prima o poi…).
E arriviamo adesso agli ultimi giorni. Perché è alle porte l’ultimo decretone “Digitalia” contenente le “Disposizioni urgenti per l’Agenda digitale italiana e le start up innovative e ulteriori disposizioni per la crescita e lo sviluppo del Paese”. Il testo del decreto è stato diffuso nella sua forma pressoché definitiva, ma non certo per una democratica “pubblica consultazione”, in modo da ricevere critiche e apportare necessarie correzioni, ma si presume solo per ricevere in modo presuntuoso i primi applausi ancora prima della sua pubblicazione. Gli applausi, infatti, quasi all’unanimità sono arrivati, ma in verità la montagna ha partorito un topolino.
Un, due, tre stella!
Leggendo questo fiume in piena contenuto nel Decreto Digitalia, pieno zeppo di princìpi e impegni entusiasmanti, in un fantasioso e spumeggiante brindisi al miracoloso bit, non ho potuto fare a meno di pensare al gioco “un, due e tre stella”. Lo ricordate?
Ho immaginato il serioso prof. Monti (insieme ai suoi ministri) intento a contare, mentre dietro di lui tutte le PA italiane, in una controversa sarabanda, fanno qualche saltino qua e là per arrivare non si sa bene a quale traguardo. Anche perché le normative e gli strumenti (come i nomi degli organismi istituzionali) cambiano ogni volta. Qualche PA arriva anche vicina a toccare il muro, ma poi la regola cambia e si ritorna indietro!
Questo sta succedendo in Italia. E non si può che essere sconcertati, se si ha davvero a cuore la normativa su queste delicate materie, osservando lo scempio che si sta compiendo in questi anni.
Le amministrazioni sono in una paralisi deprimente. Basta guardare l’indagine sviluppata dall’associazione ANORC sul reale stato della digitalizzazione in Italia per rendersi conto di quanto siamo lontani dal raggiungimento di risultati concreti e di quale rischio corrono i nostri archivi quando si impongono processi delicati (si pensi, per fare qualche esempio, alla pubblicità legale on line o ai certificati medici digitali) senza organizzare con pazienza certosina l’innovazione informatica.
Giochiamo a nascondino?
Ho sfogliato oggi le 115 pagine dell’ultima bozza del Decreto Digitalia. C’è di tutto! Altro che Codice dell’amministrazione digitale! E mi viene spontaneo chiedermi: ma qualcuno nelle PA italiane ha mai avuto l’incredibile coraggio di sfogliarlo davvero quel Codice? Si ricorda che esiste ancora? E adesso il legislatore italiano ha l’ardire di propinare alle PA e ai cittadini italiani un nuovo testo ancora più lungo e farraginoso?
A proposito, ricordo che il CAD contiene una norma di chiusura (art. 89) che recita espressamente: “la Presidenza del Consiglio dei Ministri adotta gli opportuni atti di indirizzo e di coordinamento per assicurare che i successivi interventi normativi, incidenti sulle materie oggetto di riordino siano attuati esclusivamente mediante la modifica o l’integrazione delle disposizioni contenute nel presente codice”. Invece, nonostante questo importante articolo, ancora una volta il CAD viene in parte rattoppato, in parte dribblato e in parte superato da questa nuova, caotica normativa. E poi, mi chiedo ancora: ma l’Agenda Digitale Italiana non avrebbe dovuto essere inserita nel CAD? Non ha meritato l’Agenda Digitale di essere inserita lì o è stato il Codice ad essere ritenuto troppo modesto per cotanta innovazione? Oppure, peggio, il legislatore italiano non si è proprio posto il problema? Eppure sempre di digitale si parla, no?
E continuiamo allora a procedere in parallelo, con normative che tra loro giocano a nascondino in un vorticoso avvicendarsi di leggi piene zeppe di princìpi, magari anche lungimiranti, ma inevitabilmente non concretizzabili.
Il gioco del dottore
C’è di tutto in questo Decretone-Minestrone. Dal documento digitale unificato, al domicilio legale del cittadino; dalla trasmissione dei documenti in via telematica tra PA e tra privati sino alla conservazione degli atti notarili; dall’istruzione digitale alla sanità digitale; dalla moneta elettronica al commercio elettronico; dalle start up innovative alla giustizia digitale; sino ad arrivare all’eliminazione del registro dell’alcool etilico e all’ampliamento delle attività delle imprese ittiche!
Il disorientamento è inevitabile quando si ha la sventura di leggere il testo. Ma poi si guarda un po’ in giro, qua e là in questa maionese impazzita e si ha modo di osservare le grandi novità: cartella clinica digitale (entro il 1° gennaio 2013), fascicolo sanitario elettronico, per passare poi alle nuove regole dell’amministrazione digitale, all’istruzione completamente digitalizzata (fascicoli elettronici per gli studenti, centri scolastici digitali, e-book e così via), giustizia digitale a suon di pec.
Un caos disarmante di tanti – e nella maggior parte dei casi vecchi – princìpi generali.
Ma ci ricordiamo tutti che il CAD aspetta ancora da anni oltre 40 decreti attuativi per essere concretizzato? Vogliamo ancora riempirci la bocca di proclami senza speranza di realizzazione? Non ne abbiamo abbastanza?
Come si può parlare senza arrossire di documenti digitali se si attendono le regole tecniche sulla gestione e conservazione informatica dei documenti? Dove si sono arenate le regole tecniche sulla firma elettronica avanzata? Quanto si deve aspettare ancora per la pubblicazione in GU delle Linee guida per la dematerializzazione della documentazione clinica in diagnostica per immagini (documento su cui si sta lavorando da più di sei anni!)?
Forse il legislatore gioca a fare il timido con questi documenti così delicati e riservati che magari, invece, sono già pronti. Forse sono lì, proprio lì, ma occorre giocare un po’ per arrivare a leggerli e farli finalmente approvare a chi di competenza.
Di certo con la privacy degli italiani il legislatore gioca meno e incredibilmente nel decretone-panettone che avrebbe dovuto interessarsi di tutt’altro ha ritenuto utile infilarci anche una norma (l’art. 62 del testo) che intende incidere ancora una volta sulle definizioni del Codice per la protezione dei dati personali, senza pensare che una riforma del genere (che vorrebbe avvicinare concettualmente l’interessato al trattamento alla figura del consumatore) andrebbe a violare importanti princìpi comunitari in materia.
Il “fai da te”
Alla fine, con queste leggi così disordinate e contraddittorie e con questo modo di procedere a tentoni, con l’avvicendarsi di normative generali che non vengono mai completate dalle ormai necessarie e indispensabili normative tecniche, continueranno a farsi strada solo e soltanto quelle poche, sopravvissute pubbliche amministrazioni che ancora sono capaci oggi di fare innovazione e sviluppare best practice, pur in assenza di certezze. Perché in un quadro normativo del genere la certezza del diritto si è persa da tempo.
E, come sempre, noi italiani ci arrangeremo come abbiamo sempre fatto (e con rischi altissimi per i cittadini digitali, perché – ricordiamocelo – il web e il digitale sono strumenti importantissimi e innovativi, ma sono delicati e vanno utilizzati con cura). Ma poi, insomma, alla fin fine… che ci importa delle norme? Evviva il “fai da te”!!! Del resto, “la masturbazione è gratuita, pulita, comoda, e non presenta il pericolo di fare torti ad altri… e poi non devi tornare a casa al freddo. Ma è solitaria” (Robert A. Heinlein). E l’Italia, con o senza Agenda Digitale, procedendo in questo modo, si isolerà dall’Europa e dal resto mondo.
Ed Ennio Flaiano, in proposito, ci ha ricordato che “chi rifiuta il sogno deve masturbarsi con la realtà”… quanto aveva ragione e come lo sanno bene ormai tutte le PA italiane!
Avv. Andrea Lisi, Presidente dell’Associazione Nazionale per Operatori e Responsabili della Conservazione Digitale, Coordinatore Digital&Law Department dello Studio Legale Lisi