Tratto dal Il Sole 24 Ore del 6 dicembre 2011
di Dino Pesole
Ben 11 miliardi delle maggiori entrate previste dal decreto saranno garantiti dal complesso di misure sulla casa, all’interno di una manovra lorda di 30 miliardi che poggia per buona parte sull’apporto delle misure fiscali. La scomposizione tra tagli alla spesa e maggiori entrate è ferma allo schema illustrato dal vice ministro all’Economia, Vittorio Grilli: 12-13 miliardi di risparmi, 17-18 miliardi di nuove entrate.
La scomposizione delle singole voci è affidata alla relazione tecnica, che sarà diffusa tra breve, ed è probabile che l’apporto delle maggiori entrate risulti anche più consistente.
Alla manovra sulla casa, attraverso l’effetto congiunto della rivalutazione delle rendite catastali e la reintroduzione dell’Ice in versione Imu, si affianca infatti (tra le voci di maggior impatto sui conti) il prospettato aumento delle aliquote Iva: scatterà dal settembre 2012, e opererà al posto della «clausola di salvaguardia». Il maggior gettito è stimato in circa 11 miliardi: per 4 miliardi sostituiranno la modalità di copertura prevista dal precedente governo.
Non vi sarà quindi alcun taglio lineare alle agevolazioni fiscali e assistenziali, come previsto dalla manovra di agosto nel caso in cui il Parlamento non avesse approvato la delega fiscale. In sostanza, l’intero gettito dell’Iva consente ora al governo di riformulare i saldi della vecchia clausola di salvaguardia, cui era affidato il compito di realizzare ben 20 miliardi a regime, nel 2014: un terzo dell’intera manovra correttiva.
Per quel che riguarda le spese, ci si affida ai 5,8 miliardi di tagli a carico delle Regioni e degli enti locali, e per 3-3,5 miliardi ai risparmi attesi dalle nuove norme in materia previdenziale. Completano il quadro (se pur con impatti decisamente inferiori in termini di saldi) le misure di contenimento dei costi della politica, a partire dalla drastica cura dimagrante imposta alle Province, dalla riduzione dei membri delle authority e del Cnel per finire con la soppressione di alcuni enti e organismi pubblici.
Il tempo a disposizione non ha evidemente consentito al governo di graduare il mix di misure, potenziando quelle di contenimento della spesa, come peraltro suggerito da Bruxelles. Di difficile quantificazione sono ovviamente le misure di sostegno alla crescita, a partire dal pacchetto sulle liberalizzazioni per finire con la totale deducibilità, per quel che riguarda la componente lavoro, ai fini dell’Irpef e dell’Ires e il nuovo trattamento fiscale per incoraggiare la patrimonializzazione delle imprese.
Se ne potrà verificare l’effetto solo tra qualche mese, all’interno di un quadro macroeconomico che resta fortemente critico. Il governo si appresta a rivedere le stime, in linea con le «previsioni di consenso» formulate in sede internazionale, a partire da quelle diffuse dalla Commissione europea e da ultimo dall’Ocse. Nel 2012 l’economia italiana entrerà in piena recessione, con un secco -0,4/0,5 per cento. Nulla a che vedere con il picco toccato nel 2009 (-5,2%), l’anno della grande crisi, e tuttavia un dato con cui occorrerà fare i conti, anche perché l’anno successivo andrà meglio, ma comunque saremo sempre su un livello di «crescita piatta», vale a dire a zero. Si prospetta dunque un biennio di pesante contrazione del Pil, che peraltro segue un periodo tutt’altro che incoraggiante.
Per quel che riguarda il deficit, per effetto della nuova correzione approvata dal governo, sarà possibile confermare nel 2012 il target dell’1,6%, contro il 3,9-4% atteso per fine anno. La doppia manovra estiva non garantiva più il conseguimento del pareggio di bilancio, a causa del peggioramento del ciclo, dell’incertezza su una fondamentale posta di entrata (appunto gli incassi della delega fiscale) e dell’aumento della spesa per interessi causata dall’impennata dello spread Btp/Bund. Ora ci si dovrebbe attestare nel 2013 nei dintorni del pareggio, rispettando in tal modo gli impegni assunti in sede europea.