Riceviamo e pubblichiamo una riflessione del presidente Buttiglione sul futuro dell’Unione di Centro
La relazione di Carlo Costalli al recente congresso dell’MCL ha formulato con grande chiarezza i termini esatti in cui si pone oggi in Italia il problema politico dei cattolici. Per affrontare questo tema inevitabilmente fondazione teologica ed analisi politica devono congiungersi sulla base di una comprensione dei segni dei tempi e di una assunzione di responsabilità verso la nazione.
Il primo dato è la crisi della nazione e la crisi della politica. La crisi economica rafforza la contrapposizione degli interessi di aree geografiche e settori economici e sociali. La crisi morale fa in modo che nessuno declini laicamente sul terreno della politica le ragioni dell’unità del paese (e dell’unità dell’ Europa).
È in questo contesto che si pone oggi la questione della responsabilità politica per i cristiani (dico dei cristiani e non dei cattolici perché in termini non sostanzialmente diversi si sono poste il medesimo problema le comunità evangeliche italiane).
In un momento di grande disorientamento intellettuale la dottrina sociale cristiana ha pensato la crisi con più acutezza di altri e con largo anticipo, a partire dalla enciclica Centesimus Annus fino alla recente Caritas in Veritate. Esiste un vasto insieme di studi sulla crisi dello stato sociale (es. Pier Paolo Donati), sulla economia civile (es. Stefano Zamagni), sulla necessaria riforma delle politiche economiche europee (Alberto Quadrio Curzio), sulle caratteristiche generali della società libera (Dario Antiseri) etc. a cui è possibile attingere per delineare un programma di governo.
In un momento di allentamento di ogni vincolo sociale e di fortissimo ripiegamento individualistico le associazioni, comunità e movimenti cristiani sono il punto più importante di aggregazione e di impegno per un servizio al bene comune nelle caritas parrocchiane e diocesane, nelle iniziative di carità e di cultura dei movimenti, nel volontariato e nella assistenza agli emigrati ed agli emarginati, nel sostegno reciproco fra le famiglie. Sono minoranza? Forse. Di sicuro sono la minoranza attiva più grande del Paese. È il più vasto serbatoio di energie pulite a cui è possibile attingere per contribuire a dare al Paese una nuova classe dirigente competente ed onesta che parli un linguaggio che il Paese capisce e di cui il Paese si può fidare.
Se la politica italiana è morta o, almeno, ha bisogno di un fortissimo e radicale rinnovamento di uomini e di idee, lì ci sono le idee e gli uomini per rinnovarla. Queste energie che possono salvare l’Italia non hanno però fino ad ora trovato il cammino della politica.
Le cose che ho detto fino ad ora sono diventate, al termine di un lento e faticoso cammino, coscienza comune di una vasta parte delle associazioni e dei movimenti ed in modo particolare di quelli che aderiscono al Forum delle associazioni e dei movimenti del mondo del lavoro che hanno dato vita al recente Manifesto. La novità della relazione di Costalli è che pone senza mezzi termini il problema della politica e nomina gli interlocutori inevitabili del lavoro per costruire una politica nuova.
Il Partito nuovo deve raccogliere, in un certo senso, l’eredità del governo Monti e bene fa Costalli ad indicare, fra i protagonisti di domani, tre ministri di questo governo. La politica della serietà e del rigore, la politica che non ha paura di dire la verità agli italiani anche quando questa verità è difficile, deve continuare. Essa deve però anche cambiare e migliorare se stessa. È necessario spiegare alla povera gente come stanno veramente le cose e quindi la necessità dei sacrifici e di un impegno accresciuto. È però anche necessario spiegare ai competenti le attese e le speranze e anche le umiliazioni, i dolori e le paure della povera gente. Questo non può farlo un governo di tecnici. Questa unità dei competenti e del popolo può farla solo un nuovo partito popolare che abbia al suo interno nuovi La Pira e nuovi Einaudi.
Il partito nuovo non si costruisce senza Pierferdinando Casini e senza l’UDC. L’UDC è un partito popolare di ispirazione cristiana ed ha tenuto viva negli anni del bipolarismo la tradizione politica del cattolicesimo italiano. L’UDC per prima ha denunciato la crisi della vecchia politica e la necessità di un radicale rinnovamento ed ha indicato il ruolo centrale del ritorno ai valori e della presenza del popolo cristiano per questo rinnovamento. Il movimento del popolo cristiano verso la politica non può non incontrare l’UDC. Mentre riconosce questo dato di fatto, Costalli pone delle condizioni esigenti, perfino dure. Non si può pensare ad un allargamento dell’UDC. Deve nascere una cosa veramente nuova per rappresentare una fase nuova della storia del Paese.
A questa domanda dobbiamo dare una risposta forte e chiara. Dobbiamo essere disponibili a correre il rischio del cambiamento. Non ci sono alternative.
Non ci sono alternative per forti ragioni ideali. L’UDC è sempre stata scissa fra la nostalgia del passato democristiano e la profezia di una nuova stagione dell’impegno politico dei cristiani nel nostro Paese. Quando questa stagione si apre non possiamo essere noi a mancare all’appello. Ci siamo sempre concepiti non come un punto di arrivo ma come una tappa in un processo politico che doveva continuare. Non partecipare a questo processo nel momento in cui esso apre una fase nuova sarebbe un tradire noi stessi.
Non possiamo mancare per ragioni di stretta convenienza politica. Essere stati il meglio del vecchio ed anche avere preparato con fatica e sacrificio il nuovo potrebbe non bastare a salvarci in un momento in cui il Paese chiede cambiamenti drastici e discontinuità clamorose. Anche noi dobbiamo essere capaci di rimetterci in gioco senza esitazioni e senza la pretesa di godere di posizioni di rendita derivanti dal passato. Il partito nuovo non deve essere il partito di un uomo solo. Non può essere un partito che appartiene ad un leader. Può avere un leader che appartiene al partito. Inevitabilmente sarà un partito plurale in cui emergeranno alcuni personaggi più capaci di rappresentare e raccogliere consenso ed uno fra di essi sarà chiamato e rappresentare tutti attraverso procedure limpidamente democratiche.
Al partito nuovo noi dell’UDC dobbiamo portare la cosa più preziosa che abbiamo: le donne e gli uomini con cui abbiamo costruito uno spezzone di classe dirigente per il Paese, che hanno sfidato Berlusconi negli anni in cui aveva il quasi monopolio del potere, che hanno affrontato due legislature all’opposizione per essere liberi di dire la verità, che hanno pagato per questo un prezzo pesante in termini di potere e di carriere. Per queste donne e per questi uomini il sì al partito nuovo non può significare uno sciogliete le righe ma l’invito ad un nuovo impegno, ancora più appassionato e deciso.
Ma che tipo di partito deve essere il partito nuovo?
Deve essere un partito laico ancorato ai valori cristiani del nostro popolo.
Speriamo che i vescovi riconoscano la autenticità del nostro impegno e ci diano la loro benedizione ma non ci aspettiamo che ci diano la esclusività del nome cristiano in politica. La unità dei cristiani in politica non può essere un vincolo ma è un appello a cui risponde chi in coscienza ritiene di poterlo e di doverlo fare, chi lo ritiene utile e giusto. Unità dei cristiani al servizio della unità della nazione significa che non possiamo fare il blocco cattolico. Vogliamo essere uniti con altri cristiani ma anche con altre tradizioni: prima di tutto gli ebrei e poi i laici.
Deve essere un partito espressione della società civile organizzata.
Una volta la DC ed il PCI avevano milioni di iscritti ed erano presenti in tutti i gangli della società italiana. Avevano enormi apparati e per ogni problema e settore avevano un ufficio competente che se ne occupava. Non possiamo pensare di rifare un partito così. La società italiana è cambiata e, comunque, partiti così costano un sacco di soldi che non abbiamo.
La seconda repubblica ha conosciuto il partito leggero che non ha apparati, si informa attraverso i sondaggi sugli umori della gente e dice alla gente quello che la gente vuole sentire. Sembra democratico ma non lo è. Quello che la gente vuole sentire molto spesso non è vero. Una classe dirigente responsabile dice al popolo la verità e la volontà popolare non è l’umore della gente ma quello che il popolo decide dopo essere stato adeguatamente informato sulla situazione reale e sulle alternative possibili.
Il partito nuovo deve prendere le idee dal reticolo di organizzazioni e associazioni che vivono nella società e la rappresentano in modo capillare, deve cioè costruire il suo programma nel dialogo con quella multiforme realtà che ha dato vita al movimento di Todi. Dallo stesso bacino il partito deve reclutare la propria classe dirigente. Non si tratta di un nuovo collateralismo. Il collateralismo presupponeva la superiorità del partito da cui prende l’inizio il movimento della politica e le associazioni sono la cinghia di trasmissione che lo porta nella società. Il partito espressione deve funzionare al contrario. Il partito deve essere una struttura di servizio che raccoglie ciò che le associazioni ed i movimenti propongono e lo elabora politicamente.
Non abbiamo molto tempo davanti a noi. Nel mese di luglio occorre che inizi un dialogo e che alla ripresa dopo l’estate si definiscano le forme organizzative di un nuovo soggetto politico che possa presentare la sua proposta politica alle elezioni nella primavera 2013. Per la stessa data sarà necessario che chiariscano la loro posizione anche i tanti che a questo processo guardano con interesse dall’interno del PDL e dall’interno del PD.
di Rocco Buttiglione, pubblicato su Liberal