Riflessione dell’on. Savino Pezzotta e dell’on. Enzo Carra sul ruolo dei cattolici in questa fase della vita socio-politica del Paese.
Come laici cristiani siamo profondamente addolorati per quanto leggiamo in queste ore. La nostra devozione e ammirazione verso il Santo Padre non è in discussione, ma le notizie e le voci che parlano di giochi di potere e di interessi economici ci turbano e non potrebbe essere altrimenti. Per l’amore che portiamo alla Chiesa e al Santo Padre, non possiamo essere silenti e chiediamo a gran voce che si chiarisca tutto al più presto, nella massima trasparenza. Eppure, nel turbamento, pensiamo che ci sia offerta la possibilità di una riflessione sul nostro essere cristiani oggi.
Anche in questi giorni vediamo che gruppi di cattolici si riuniscono, stilano documenti e fanno progetti politici. Guardiamo a queste iniziative con interesse perché è la conferma che nel mondo cattolico è maturata la coscienza della necessità di una nuova attenzione alla dimensione politica, ci si è resi conto che si rischia di essere resi insignificanti e irrilevanti. Questa presa di coscienza è sicuramente positiva, anche se gli sbocchi sono ancora incerti e imprecisi. Un dato risulta chiaro ,pur nelle diversi impostazioni, è la comune la convinzione che non si potrà fare un partito cattolico o rieditare la Democrazia Cristiana.
Riteniamo che questo sia un elemento positivo perché aiuterà a rivalutare con maggior distacco il ruolo che i cattolici hanno giocato nella storia d’Italia e in particolare nella storia Repubblicana.
Tutto questo ha però il limite di concentrarsi solo sul politico, mentre oggi ai credenti impegnati si pone l’obbligo di interrogarsi sul cristianesimo e sulla sua presenza nel mondo moderno e secolare. Siamo di fronte a questione serie e per alcuni versi radicali. Una certa idea di cristianità si è esaurita e il mondo in cui viviamo sta ponendo ai credenti nuovi e profondi interrogativi che richiedono un tasso di profezia che non possediamo o che abbiamo perduto nel politicamente corretto, nel moderatismo, nello schierarci e nel filantropismo fine a se stesso.
Facciamo fatica a scrutare i “segni dei tempi”, frase popolare di Giovanni XXIII, entrata nel Concilio, e che appare all’inizio della Gaudium et Spes : ” I segni non si osservano “in cielo”, ma nel nostro mondo, in tutte le realtà umane. Il collegamento con la meteorologia indica un’attenzione ai larghi strati dell’umanità, agli abitanti della terra e soprattutto alle ingiustizie rese ancora più acute dalla crisi.
La crisi economica con il suo carico di dolori ci interroga e ci sgomenta anche per la sfida che pone alla democrazia. La trasformazione del mondo sia dal punto di vista geopolitico che geoeconomico; la presenza invadente e pervasiva delle nuove tecnologie della comunicazione e della vita che stanno cambiando il modi di stare insieme e di pensare l’umano, sono i tratti di un universo che non consente nostalgie o sguardi all’indietro o la chiusura in orticelli levigati e protetti.
Il richiamo profondo non è solo quello che la nuova questione sociale con la crescita delle disuguaglianze e dell’impoverimento di milioni di persone ci si para davanti, ma come in questa situazione che ci appare disarticolata possiamo innanzi tutto ritrovare l’umanità di Gesù e la straordinaria “umanità” di Dio.
A volte ci sorge il dubbio che a forza di interrogarsi sul ruolo politico dei credenti la comunità cristiana non stia perdendo il senso della realtà, illudendosi di blindarsi in un ritualismo rassicurante, nella gratificazione del suo essere, non stia perdendo la capacità di una lettura evangelica dei problemi che ha davanti a sé.
Ed è partendo da queste considerazioni che forse sarebbe utile che ci si interrogasse in unità e fraternità sulle seguenti problematiche :
- com’è possibile stare in politica e nel sociale, nella nostra società secolarizzata, senza perdere la tensione escatologica come elemento vivificante della nostra chiamata ad incarnarci nella realtà e nella vita;
- siamo pronti a vivere e a contribuire al passaggio verso un cristianesimo che dovrà passare dal “sacro” al “santo”; cioè da una realtà religiosa pensata e vissuta come immutabile a una sempre aperta e in movimento, che richiede di essere fatta propria con un’interpretazione e una partecipazione personale;
- come vivere, agendo nel campo politico, un cristianesimo del futuro sempre più libero da ogni compromissione e/o collateralismo con il potere politico ed economico per fedeltà al Vangelo e per salvaguardare la libertà e fecondità del suo annuncio escatologico: del tempo avvenire;
- la “carità” assunta come “principio” fondamentale e guida nel cammino verso una “terra promessa” di un cristianesimo ripensato e rinnovato, in grado di essere in forme inedite “sale della terra e luce del mondo.
E’ dalle risposte a questi interrogativi che potremo, in libertà e oltre gli schieramenti, affrontare di nuovo con chiarezza, il tema rapporto tra fede e politica. Questione che da sempre ha accompagnato e accompagnerà la vita cristiana ed ecclesiale. Un deficit di senso storico può ritenere immutabile nel tempo questo rapporto e pertanto aprire spazi a nostalgie anacronistiche di regimi di cristianità perduta, di chiusura fondamentalista, o a forme di uno spiritualismo disincarnato e spurio che punta sull’indifferenza verso il politico e che lascia maturare forme di disimpegno sociale, al limite del relativismo.
I cambiamenti cui stiamo assistendo rendono più urgente per i cristiani un interrogativo di fondo sul loro impegno politico, cercando di abbandonare tutte quelle visioni , di cui è stato ricco il bipolarismo all’italiana, di tipo apocalittico e manicheo: quasi che la dialettica politica sia sempre uno scontro tra le forze del bene e quelle del male.
È mancata a noi cristiani la capacità di vivere questi anni strani come testimoni dell’esistenza di uno spazio del bene comune che sempre deve precedere l’appartenenza a schieramenti diversi. Anche noi, magari in buona fede, abbiamo contribuito alla delegittimazione del competitore politico rafforzando in tal modo lo spirito di squadra che tutto tollera perché vincano i suoi colori. Siamo venuti meno alla dimensione rigorosa del confronto politico e della sua intrinseca razionalità, passioni ed emotività hanno dominato e lasciato spazio a un degrado della politica.
L’appello all’unità, a cui in nome di una fraternità di comunione i cristiani non possono venire meno, ha preso la piega di una interpretazione meramente politica e curvata alla logica perversa del bipolarismo. E così pur essendo i fratelli nella fede, essi si sono trasformati in militanti degli opposti schieramenti dimenticando che, oltre le legittime differenze politiche, non ci sia sempre tra noi qualcosa di infinitamente più importante che ci lega.
Così abbiamo perso la capacità d’incidenza arroccandoci il più delle volte in difesa. Eppure si pongono davanti a noi grandi sfide e la crisi ci pone come urgenti quelle delle sofferenze e delle difficoltà di molte persone in Italia e nel mondo.
Una domanda tormentosa e per molti versi si è insinuata da diverso tempo nelle nostre menti, un interrogativo che nasce dal doverci confrontare tutti i giorni con le vittime della crisi. Sono disoccupati, persone che hanno perso il lavoro, giovani che non sanno più dove andare a bussare, madri di famiglia che descrivono le piroette quotidiane per fare quadrare un bilancio che diventa sempre più magro. Mentre aumentano le persone che vivono per strada non avendo più altre possibilità e si scorge in molti immigrati e rifugiati uno sguardo impaurito.
Tutto questo dovrebbe portarci a dare finalmente una risposta alla domanda fondamentale. Mentre parliamo di austerità e di crescita, nei problemi che attanagliano la vita di tante persone, non c’è un modello di economia che, dopo aver promesso ricchezza e benessere per tutti, oggi consegna all’impoverimento e alla sofferenza migliaia di persone? E’ o non è arrivato il momento di pensare a qualche prospettiva nuova sul terreno dell’economia? Ci si deve interrogare se partendo dalla nostra fede, dalla Dottrina sociale della Chiesa, dalle nostre convinzioni, dalle nostre responsabilità e di quelle del nostro ambiente cristiano, non sia arrivato il momento che la nostra voce inizi ad avanzare una critica attenta e rigorosa verso un sistema economico-culturale neoliberale che da oltre trent’anni orienta le nostre società e l’economia.
Cresciuti e animati da oltre un secolo da una dottrina sociale ispirata dal Vangelo, possiamo difendere un sistema economico che disprezza il valore essenziale della persona, del lavoro e della famiglia? Se tutto è mercato e competizione, se l’importante è valorizzare le azioni, se i mercati finanziari possono minacciare di far fallire gli stati o di incrinare la solidarietà europea: chi potrà ancora avere cura delle fragilità, delle debolezze e di tutti di coloro che nonostante tutto non ce la fanno a stare al passo?
Vediamo che nella nostra società crescono forme di malessere e di sofferenza sociale che molte volte sfociano in drammi personali come i suicidi, la protesta contro le tasse e ci fanno sentire che il crescere o la sensazione d’impotenza rispetto a quanto sta succedendo e si avverte che il modello di economia che si è creato sta contraendo la democrazia e soprattutto la partecipazione. Ma la questione fondamentale che sta sotto quanto avviene è: “In che tipo di società viviamo?”. Nel discutere del voto delle amministrative c’è stata grande preoccupazione per l’emergere del movimento dei “grillini” e per l’assenteismo attivo, ma è stato sottovalutato il fenomeno delle liste civiche.
Eppure non dobbiamo avere timori di queste novità, perché in esse si fa largo un benefico desiderio di non essere condotti per mano o con le briglie. Nelle nostre società c’è, anche se ancora latente, il desiderio di riprendere il controllo del proprio destino per esercitare un controllo e una partecipazione alla costruzione delle politiche in una serie di settori basilari: istruzione, risorse naturali, ambiente, economia, e, infine, lo stesso spazio politico. Vogliamo essere in questi tempi cristiani indignati e responsabili. Vogliamo lavorare insieme a chi, come noi, vuol cambiare, in meglio, l’Italia.