Nell’era del capitalismo intellettuale e della professionalizzazione dell’economia, la competizione si vince diffondendo sempre più la conoscenza, abbassandone i costi ed i tempi di scambio, ed assecondando la novità più importante di questa nuova fase per la prima volta nella storia dell'”homo oeconomicus” diventa conveniente investire nei processi di apprendimento e di manipolazione dei saperi.
La tendenza alla professionalizzazione ridisegna allora dalle fondamenta il contesto competitivo del pianeta.
I meccanismi e le regole di controllo dell’offerta di professionalità diventano sempre più cruciali. E questo perché generazione di conoscenza e produzione di valore sono facce della stessa medaglia anche quando non vengono realizzate in settori totalmente “knowledge intensive”: le conoscenze pratiche legate a contesti di “saper fare” e di apprendimento “on the job” assumono un’importanza tale da giustificare la loro assunzione a veri e propri saperi. Senza dimenticare che la conoscenza non si trasmette meccanicamente da computer a computer, non circola da sola nelle reti, non crea spontaneamente soddisfazione e ricchezza. La conoscenza è innanzitutto nella mente delle persone: sono i capitalisti intellettuali, i professionisti e le loro associazioni professionali che decidono i modi di’appropriazione, le forme della selezione, gli obiettivi dell’utilizzo, le modalità di conservazione e trasmissione. Sono loro che gestiscono i saperi e li mettono a frutto nei fatti concreti.
In questo ambito, la diffusione dei professionisti/knowledge workers rappresenta molto più di un arricchimento delle mansioni dei lavoratori tradizionali. Questa è una delle trasformazioni dalle conseguenze economico-sociali più vaste e rilevanti di cui probabilmente siamo ancora ben lontani dall’aver compreso e valutato la portata. Non a caso, oltre alla conoscenza, l’unico filo rosso costante di questa fase è l’accelerazione del cambiamento, che impone a tutti i soggetti economici e sociali di accettare e promuovere un continuo e permanente stato di innovazione.
Ma attenzione: ancora una volta on si tratta della “semplice” innovazione tecnologica (che rimane uno degli elementi principali ma non certamente l’unico) bensì il cambiamento senza vincoli o pregiudizi delle organizzazioni, dei processi, dei prodotti, delle idee. È uno vero e proprio “stato della mente” anzi, di “crisi della mente” che va coscientemente alimentato per capire ed operare rimanendo in contatto con l’evolversi dei fenomeni reali. Predisporre la mente ad accettare e a cercare l’innovazione in modo permanente equivale a predisporre le persone e l’organizzazione a riconoscere, accettare e gestire il rischio, compreso quello della crisi. E nel capitalismo intellettuale sono ancora una volta la conoscenza e, di conseguenza, la consapevolezza gli alimenti che possono nutrire la mente a riconoscere e gestire il cambiamento e i suoi rischi.
L’economia della fusione tra informazioni, saperi e tecnologia è dunque caratterizzata da un differente livello di equilibrio rispetto alla precedente. E’ per questo che si succedono molto più velocemente le crisi: perché questo mondo nuovo va affrontato in modo totalmente diverso dal precedente.
Si vince solo se si alimenta costantemente l’innovazione e, come dimostrano le più recenti evoluzioni del mercato se vincono tutti: la relazione esistente tra le grandi imprese, i grandi successi e i tanti soggetti imprenditoriali e professionali di nicchia è una sorta di competizione cooperativa, simbiotica fatta di reciproco aiuto.
Questo è, pur in questa fase di crisi, il grande valore e la grande prospettiva di orizzonte delle associazioni professionali.
Angelo Deiana, Presidente Comitato Scientifico CoLAP, Redazione fareCentro