Commissione Parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza indagine conoscitiva sulla tutela dei minori nei mezzi di comunicazione.

Un altro specifico problema è determinato dall’eccesso di erotismo contenuto nelle immagini e nei contenuti veicolati dai media, in particolare nella programmazione televisiva e nella pubblicità, responsabili di una sorta di «precocizzazione della sessualità» del minore: l’esposizione a scene sessuali fa interiorizzare nel bambino schemi che potrebbero rimodellare la sua identità e la sua vita di relazione .

Studi recenti in materia di influsso dei contenuti mediatici sulla psiche infantile, come riportati dagli esperti invitati in audizione dalla Commissione, evidenziano una serie di importanti risultati.

In primo luogo, gli esperti asseriscono che la definizione dell’identità dei bambini nel processo di crescita è fortemente influenzata dai contenuti ipersessualizzati dei media, inclusa la televisione, veicolo principale dei messaggi pubblicitari. Il problema riguarda soprattutto la fascia di età infantile che va dai 6 ai 10 anni, la cui tutela risulta a tutt’oggi ancora quasi integralmente scoperta (è di poco tempo fa la notizia che la Gran Bretagna, su sollecitazione di numerose associazioni di genitori, sta valutando l’approvazione di una specifica normativa per proteggere la fascia di bambini fra i 6 e i 10 anni dalla ipersessualizzazione dei contenuti dei media).

In secondo luogo, si rileva che un numero elevato di video musicali, che sono estremamente diffusi, alla portata di chiunque e che sono particolarmente attrattivi per gli adolescenti, hanno frequentemente espliciti contenuti sessuali, mentre è comprovato statisticamente che i fruitori adolescenti di video musicali possono essere influenzati negativamente dagli stessi. Secondo recenti studi di matrice anglosassone, una bambina nella fascia di età compresa fra 6 e 10 anni vede 10.000 immagini all’anno a contenuto più o meno esplicitamente sessuale o comunque incidenti sulla formazione della sua identità corporea (autostima) e sessuale.

Infine, un ulteriore gruppo di problematiche nasce dai modelli alimentari che la televisione propone direttamente (attraverso la moda, il cinema, le trasmissioni di intrattenimento) o indirettamente (nel caso dei messaggi pubblicitari, frequentissimi anche nella fascia oraria protetta per i minori). Audizioni di esperti dell’informazione e comunicazione hanno infatti evidenziato che il consumo eccessivo di televisione – negli ultimi 10 anni – ha favorito nei minori un peggioramento delle abitudini alimentari, una forte radicalizzazione degli atteggiamenti negativi; modifiche nella percezione e soddisfazione del proprio corpo; una crescente abitudine alla violenza, alla competizione, all’uso della forza; un incipiente uso di bevande propedeutiche all’alcool; l’insorgere di problematiche legate all’obesità e a disturbi del comportamento; la dipendenza da tabacco, droghe, farmaci.

In particolare, in un’ottica di prevenzione delle patologie derivanti da regimi alimentari inadeguati, è intervenuta in ambito europeo la direttiva del Consiglio «Servizi Media e Audiovisivi» (2007/65/CEE), che impegna gli Stati membri a stimolare la redazione, da parte dei fornitori di servizi di media audiovisivi, di codici di condotta concernenti la pubblicità che accompagna i programmi per bambini relativi a prodotti alimentari e bevande.

Lo strumento più adeguato a prevenire le problematiche connesse ai disturbi minorili dell’alimentazione, favoriti dai contenuti televisivi e dei messaggi pubblicitari, è costituito ancora una volta dall’arma della prevenzione. Prevenzione che dovrebbe prendere corpo in un compiuto progetto di educazione alimentare da realizzarsi, a giudizio della Commissione, per lo stesso tramite del mezzo televisivo (il Servizio pubblico), attraverso la predisposizione e la diffusione di adeguate campagne televisive e pubblicitarie, e/o di programmi ad hoc, finalizzati ad insegnare a bambini e adolescenti l’importanza di riconoscere i messaggi alimentari dannosi per la salute (aspetto negativo) e nello stesso tempo a diffondere uno stile alimentare sano e adeguato alle esigenze dell’età evolutiva (azione positiva).

In Italia, la normativa che regola la trasmissione di messaggi pubblicitari nella fascia oraria destinata ai minori appare ancora molto carente: essa si affida infatti largamente agli strumenti dell’autoregolamentazione che però ad oggi non si è mostrata un sufficiente presidio per la tutela dell’infanzia e dell’adolescenza in questo campo. La legge 3 maggio 2004, n. 112 (legge Gasparri), ha attribuito forza di legge al codice di autoregolamentazione TV e minori (attualmente denominato «Codice media e minori»), nella direzione di un rafforzamento dei poteri di controllo e sanzione previsti in capo all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, che sulla materia vigila insieme al Comitato di applicazione del codice di autoregolamentazione.

In tal senso, se il ricorso all’autoregolamentazione o alla co-regolamentazione condivisa tra istituzioni e operatori si è rivelato uno strumento efficace per disciplinare alcuni aspetti della disciplina, non altrettanto si può dire per quanto riguarda la tutela dei minori e soprattutto la regolamentazione della trasmissione dei messaggi pubblicitari. Valga a questo riguardo un’indagine dell’Osservatorio di Pavia (in collaborazione con l’Università di Roma Tre), secondo la quale ogni cinque minuti i bambini italiani subiscono uno spot alimentare, sebbene in Italia (a differenza di altri Paesi, come Germania, Francia, Olanda) sia vietata la trasmissione di spot all’interno di programmi specificamente rivolti ai bambini.

La riflessione sul tema della tutela dei minori rispetto alla pubblicità, presuppone la consapevolezza dell’evidente sproporzione tra l’influenza che vecchi e nuovi media hanno sull’educazione, sulla veicolazione di comportamenti e stili di vita verso le giovani generazioni, ed una struttura di promozione e tutela che è ad oggi disarticolata, priva di una reale efficacia e della necessaria organicità. Il mezzo televisivo – quindi anche la pubblicità – può costituire una fonte di pericolo per i minori nella misura in cui rende loro difficile discernere la finzione televisiva dalla realtà, così come lo spot dal resto della programmazione. Da tali considerazioni non deriva un acritico rifiuto della pubblicità in quanto tale, ma la necessità di prevedere un sistema di regole volto a garantirne un uso corretto. Dal punto di vista giuridico ciò si traduce nell’esigenza di prevedere una serie di norme più omogenee, efficaci e vincolanti di quelle attualmente in vigore.

Se un’abolizione totale degli spot pubblicitari nei programmi destinati ai minori e/o nella fascia oraria protetta appare ad oggi un obiettivo proibitivo in Italia, sarebbe tuttavia realistico pensare di riportare alla media delle televisioni europee la quantità di messaggi pubblicitari diretti ai minori e presenti nella televisione italiana, che secondo alcuni studi depositati in Commissione eccede ampiamente tale media. Così come, su analogo versante, sarebbe altresì importante che fosse fissato per legge o per regolamentazione interna alle emittenti televisive generaliste un tetto minimo di programmi dedicati ai minori, troppo spesso considerati consumatori attuali o futuri piuttosto che telespettatori con la stessa dignità degli adulti.

3.1.3. Una televisione «buona maestra» è ancora possibile?

La televisione si conferma ancora una volta – nei contenuti, nella modalità della loro trasmissione e nella concezione della sua programmazione – un mezzo di comunicazione sostanzialmente inadatto a fornire un corretto sostegno allo sviluppo psicofisico del minore, ancor meno un supporto di crescita culturale o un’offerta di stimoli intellettualmente ed eticamente positivi. In altre parole, per usare la ben nota citazione di Popper, la televisione continua ad essere una «cattiva maestra» per i nostri figli. Beneficata dalla platea potenzialmente infinita di un Kindergarten globale, essa infatti non ha le competenze e la capacità richieste nemmeno ad una mediocre maestra d’asilo: al contrario, condisce il vuoto di contenuti o la dannosità (per i minori) di certi contenuti con richiami allettanti per i bambini e in genere per tutti i soggetti che non hanno sviluppato un adeguato spirito critico nella fruizione di messaggi mediatici.

Una delle aporie dei sistemi democratici risiede proprio nell’impossibilità di contenere il potere televisivo (e a questo punto mediatico) entro limiti e con strumenti democraticamente accettabili, poste le note esigenze di rispetto della libertà di manifestazione del pensiero e posta una spesso impropria mistificazione che impone la trasparenza ad ogni costo . Nell’era dell’homo videns occorre infatti rendersi conto che il maggior danno causato da questa interpretazione del mezzo televisivo è recato ai bambini e agli adolescenti, cioè ai soggetti che nella nostra società maggiormente avrebbero bisogno di essere destinatari di messaggi educativi positivi.

Il primo problema cui la Commissione ha rivolto la propria attenzione è stato quello della garanzia di un accettabile livello qualitativo della programmazione televisiva che possa convertire la funzione della televisione da strumento di raccolta pubblicitaria a mezzo di promozione intellettuale ed emotiva del bambino.

Come ha avuto modo di rilevare il Garante per le comunicazioni, esiste in Italia un grave problema di qualità dei contenuti veicolati dalla televisione e dai nuovi media, che negli ultimi anni è alla base dell’enorme divario qualitativo tra le nostre televisioni e le migliori europee; in questo senso, la proposta di istituire, nel contratto di servizio con la RAI, una Commissione preposta ad uno specifico controllo di qualità dei programmi e la creazione del misuratore di qualità della Rai Qualitel (operativo da aprile 2008) rappresentano un segnale positivo, ma del tutto insufficiente.

La causa di questo scadimento qualitativo è da individuare nella ricerca del massimo livello di audience dei programmi televisivi – fonte primaria dei ricavi pubblicitari: tale livello appare tanto più alto quanto più bassa è la qualità dei programmi, innescando una spirale perversa che impone un sempre maggiore degrado culturale dei contenuti, al solo scopo di garantire sempre maggiori introiti pubblicitari.

In generale, è stato da più parti affermato che la grande massa di messaggi fortemente diseducativi che trapelano continuamente dalla programmazione televisiva (dal genere del reality show alla programmazione di intrattenimento, mista alla cronaca nera in orario di fascia protetta, dall’invasività del turpiloquio ai contenuti dannosi di certa pubblicità deviante) sarebbe all’origine di un conclamato «disastro antropologico» nell’educazione dei minori, dietro il quale si nasconde spesso una famiglia che non ha le risorse materiali e intellettuali per arginare questa massa di segnali negativi per la psiche infantile, proveniente dalle fonti più disparate (quindi non solo mediatiche). Il vuoto umano e valoriale in cui spesso si trovano soli bambini e adolescenti viene perciò sempre più facilmente colmato dal contenuto volutamente trasgressivo di molti programmi televisivi, che inducono falsi valori e modelli comportamentali fortemente consumistici.

In aggiunta a quanto esposto si consideri che il mezzo televisivo, in virtù del ruolo di primo piano attualmente svolto nel placare o nell’esacerbare gli scontri tra gruppi culturali, etnici e religiosi differenti, è in grado di condizionare pesantemente le attitudini relazionali del minore e in particolar modo la percezione della diversità e la sua accettazione rispettosa. Tali tematiche sono peraltro state oggetto di discussione da parte dell’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) nel meeting di Praga del 23-24 marzo 2011 e in quello più recente di Roma del 12 settembre 2011, nel corso dei quali gli Stati membri sono stati invitati: a rafforzare attraverso l’educazione, i media e lo sport la promozione della tolleranza e della non discriminazione; a contrastare le teorie che promuovono l’odio e la discriminazione razziale, nonché l’influenza negativa di talune ideologie soprattutto sui giovani.

Con la stessa logica si potrebbe affermare che le espressioni e le immagini veicolate dal mezzo televisivo che offendono il sentimento religioso sia delle minoranze sia delle maggioranze non possono considerarsi idonee a favorire il migliore sviluppo psico-sociale del minore.

3.2. Internet e la rete globale.

Nell’epoca del «villaggio globale» non è più solo la televisione ad incidere sul processo di formazione e di educazione dei bambini e degli adolescenti, ma anche l’uso di una quantità di altri mezzi di comunicazione, fra cui spicca -la presenza assolutamente pervasiva di Internet. E’ infatti all’uso – o per meglio dire all’abuso – della rete globale che si riconducono alcune problematiche attinenti alla tutela della salute fisica e psichica dei minori, problematiche che hanno recentemente sollevato la preoccupazione di molti soggetti attivi nel settore della psicologia infantile e della prevenzione degli abusi sui minori, nonché tra le associazioni di genitori.

I presunti pericoli o elementi di nocività che sono stati evidenziati nel corso dell’indagine sarebbero anzitutto da individuare nell’uso improprio da parte di bambini (e adolescenti) dell’informazione fornita in rete; nel forte e indiscriminato impatto sui minori della pubblicità presente in Internet; nella nota questione dell’incontrollato livello qualitativo dei contenuti della rete; ma soprattutto nella quotidiana consumazione in rete di crimini a danno dei minori che si realizza attraverso il mercato della pedopornografia via Internet.

Non è un mistero infatti che navigando su Internet i minori possono imbattersi in contenuti falsi o mistificanti, essere influenzati da modelli di comportamento o valori inadeguati o dannosi, essere adescati da potenziali pedofili o essere vittima di fenomeni di cosiddetto cyberbullismo. Ma è altresì un dato di fatto che Internet fornisce agli adolescenti la possibilità di ampliare all’infinito la propria rete di relazioni, costituendo esso stesso uno spazio di aggregazione nuovo ed essenziale per la vita degli adolescenti (e soprattutto dei preadolescenti, la cui autonomia di costruirsi spazi di incontro con i coetanei fuori di casa è molto limitata), soggetti che hanno particolare bisogno di costruirsi una propria identità separata e diversa da quella della famiglia. Rinnegare questa funzione essenziale della rete ed assumere un atteggiamento di chiusura da parte di genitori ed educatori (oltre che eventualmente da parte del legislatore) sarebbe inutile ed improprio: è invece fondamentale anche in questo caso un atteggiamento tollerante e positivo e una disponibilità ad esplorare insieme a bambini e ragazzi il vasto mondo della rete, con tutti i suoi pericoli e i suoi difetti.

Occorre anche fare riferimento ad uno dei pericoli insiti in un uso eccessivo di Internet, su cui si sono soffermati alcuni auditi e che riguarda al rischio (già menzionato a proposito della televisione) che un esposizione troppo prolungata ad Internet allontani il minore dai genitori e dalla vita reale, accentuando una preesistente carenza di comunicazione e approfondendo le incomprensioni dovute all’uso di linguaggi diversi fra genitori e figli.

Come non si abbandona un figlio piccolo in un bosco senza sentieri – è stato detto -, così non lo si lascia solo nell’esplorazione del vasto (e pericoloso, secondo i più) mondo di Internet: l’adulto non deve limitarsi a difendere il minore dei pericoli reali o supposti presenti nell’uso delle nuove tecnologie, ma deve propriamente accompagnarlo in questo potenziale luogo di crescita intellettuale e culturale, allontanando il silenzio e l’individualismo che esso può generare.

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