«Una maggiore apertura verso il lavoro stagionale potrebbe rappresentare un primo prudente passo avanti. Come mostra l’esempio del Trentino-Alto Adige, migliaia di lavoratori sarebbero interessati a entrare e lavorare per qualche mese, rientrando poi al loro paese e ripresentandosi l’anno successivo», infatti «la possibilità di rientro legale è generalmente più attraente del soggiorno illegale» ha affermato il prof. Maurizio Ambrosini, responsabile dell’Organismo nazionale di coordinamento per le politiche di integrazione sociale degli stranieri del Cnel, ascoltato in Commissione Affari Costituzionali della Camera dei deputati, nell’ambito dell’esame della proposta di legge di iniziativa popolare c.d. “Ero straniero”, “norme per la promozione del regolare soggiorno e dell’inclusione sociale e lavorativa di cittadini stranieri non comunitari”.
Il prof. Maurizio Ambrosini ha presentato alla Commissione Affari Costituzionali il documento NUOVI INGRESSI PER LAVORO(1) che sintetizza le proposte del CNEL in materia.
Premessa
L’UE ha tentato negli ultimi due decenni di risolvere i propri fabbisogni di lavoro attingendo ai bacini dei nuovi paesi membri dell’Europa orientale. Questa soluzione è destinata a perdere efficacia nel tempo, in relazione allo sviluppo dei paesi di provenienza, alle tendenze demografiche negative che li caratterizzano, allo stesso drenaggio di popolazione giovane e attiva da parte dei paesi dell’Ovest. I fabbisogni d’altronde non sono destinati ad esaurirsi, segnatamente in mercati del lavoro come quelli dell’Europa meridionale. La domanda di lavoro infatti richiede ancora una componente non trascurabile di lavoratori a qualificazione medio-bassa, mentre sul versante dell’offerta quattro giovani su cinque arrivano al diploma di scuola media superiore.
Nel panorama internazionale d’altronde sono ricomparse ufficialmente politiche di reclutamento di manodopera all’estero in paesi importanti come il Giappone e la Germania. In Italia il sistema delle quote annuali d’ingresso introdotto nel ’98 è tuttora in vigore, ma è stato depotenziato nel tempo, disattendendo la prevista programmazione triennale e limitando gli ingressi a poche migliaia di unità all’anno (meno di 31.000), riferite prevalentemente al lavoro stagionale (18.000) e alla conversione di permessi di soggiorno con altre causali.
Una proposta di rilancio non richiede quindi necessariamente riforme profonde del quadro normativo. Alcune innovazioni sono possibili sulla base della legislazione vigente.
Una premessa di metodo è necessaria. Nelle politiche migratorie, e anche nella regolazione dei nuovi ingressi, non bisognerebbe parlare di immigrazione in generale, ma di categorie specifiche. In Italia la legge prevede una ventina di tipi diversi di permesso di soggiorno. La distinzione delle causali per l’ingresso e il soggiorno dovrebbe essere una regola di base di ogni discussione argomentata sulle politiche migratorie. Se si segmenta la massa amorfa e temuta dell’immigrazione e si focalizza l’attenzione su gruppi e fabbisogni ben individuati, si può progredire verso un approccio pragmatico alla questione. Lo stesso decreto-flussi 2019 individua gruppi specifici di beneficiari.
Linee d’indirizzo
1. Un primo punto su cui agire riguarda la programmazione triennale degli ingressi prevista dalle leggi in vigore. Il CNEL potrebbe farsi promotore della raccolta delle richieste delle categorie interessate, specificate per il tipo di figura necessario (lavoratori stagionali in agricoltura o nell’industria alberghiera, infermieri nella sanità, ecc.) e valutate insieme alle parti sociali, elaborando una proposta di piano triennale.
Una maggiore apertura verso il lavoro stagionale potrebbe rappresentare un primo prudente passo avanti. Come mostra l’esempio del Trentino-Alto Adige, migliaia di lavoratori sarebbero interessati a entrare e lavorare per qualche mese, rientrando poi al loro paese e ripresentandosi l’anno successivo. La possibilità di rientro legale è generalmente più attraente del soggiorno illegale. L’esperienza degli Stati Uniti lo conferma. Dopo un certo tempo di ottemperanza alle regole di rientro allo scadere del permesso (per es. cinque anni), il permesso per lavoro stagionale potrebbe essere convertito in permesso di soggiorno per lavoro standard, come già avviene con i decreti-flussi attuali(2) .
Il permesso per lavoro stagionale riguarda prevalentemente lavoratori a bassa qualificazione, e può rappresentare un’alternativa ai rischiosi viaggi per mare e all’ingresso per asilo. La concessione di permessi per lavoro stagionale potrebbe inoltre essere utilizzata per incentivare il rientro in patria di chi ha perso il lavoro, e quindi perde o sta per perdere il permesso di soggiorno: si potrebbe offrirgli una priorità per futuri ingressi per lavoro stagionale. Un’altra manovra possibile nell’ambito delle norme potrebbe riguardare la conversione del permesso di soggiorno nel caso degli studenti che completano un corso di studi in Italia. Anch’essa compare nel decreto flussi 2019, ma andrebbe notevolmente rafforzata.
2. Altre iniziative richiedono modifiche legislative. Una di queste potrebbe consistere nell’ingresso sotto sponsor per un anno, nell’ambito di quote prefissate, già previsto dalla legge del 1998 ma abrogato dopo una breve esperienza. Una cospicua fidejussione garantiva il rientro se l’immigrato non trovava lavoro entro un anno, mentre l’ospitalità con gli oneri relativi doveva essere assicurata dagli sponsor. Si potrebbe anche prevedere oltre allo sponsor un’istituzione di accompagnamento, ossia il coinvolgimento accanto ai parenti ospitanti di attori locali, pubblici o della società civile, per offrire corsi di italiano e sostegno nei percorsi d’integrazione. Il sistema dello sponsor è particolarmente adatto per il caso dei lavoratori a qualificazione medio-bassa: sono quelli che hanno più bisogno di qualcuno che li assista nel non facile processo di insediamento in un nuovo paese. Responsabilizzare i parenti e istituzionalizzarne il ruolo è una strategia che risponde alle dinamiche informali e poco controllate delle reti etniche: valorizza il rapporto con la rete familiare e nello stesso tempo lo rende più trasparente.
3. Soprattutto nell’ambito dei servizi domestici e di assistenza presso le famiglie un dispositivo di conversione del permesso di soggiorno potrebbe consentire un incontro tra offerta immigrata e domanda di lavoro italiana nel caso di persone che entrano con permessi turistici, senza passare attraverso le trafile del lavoro nero e delle sanatorie. Dopo tre anni di soggiorno e di lavoro, potrebbe essere introdotta una regolarizzazione caso per caso, come già avviene in altri paesi europei (per es. Francia e Spagna). Un tetto annuale disposto dalla programmazione triennale potrebbe calmierare il settore.
4. Nella programmazione degli ingressi è inoltre auspicabile tenere conto di due fattori. Il primo è la conoscenza previa della lingua italiana, opportunamente certificata. Il secondo è la frequentazione di corsi di formazione professionale nei paesi di origine promossi o riconosciuti dalle autorità italiane: finora gli investimenti in questo campo non sono stati adeguatamente raccordati con la politica degli ingressi, ossia non hanno avuto come sbocco l’autorizzazione a immigrare in Italia con un permesso di lavoro. Il possesso di questi requisiti dovrebbe fornire una preferenza in ordine all’ingresso in Italia. I criteri accennati potrebbero essere organizzati in un sistema a punti, sul modello canadese.
I candidati all’ingresso potrebbero ricevere per es. un punteggio di 20 punti su 100 se conoscono la lingua italiana al livello considerato necessario; 30 su 100 se hanno frequentato un corso di formazione riconosciuto dalle autorità italiane; 30 su 100 se hanno parenti stretti in Italia o uno sponsor in grado di ospitarli e di pagare la prescritta fidejussione; 20 se la loro qualifica rientra tra quelle richieste in sede di programmazione.
5. Almeno in via transitoria andrebbe introdotta una misura per la convertibilità del permesso di protezione speciale introdotto dal DL 113/18. Vanno altresì studiate soluzioni per i richiedenti asilo non riconosciuti come rifugiati ma rimasti sul territorio. La partecipazione a un corso di formazione professionale, una conoscenza certificata dell’italiano, l’inserimento nel mercato del lavoro potrebbero dare adito a un permesso di soggiorno temporaneo, da convertire successivamente in un permesso di durata più lunga (per es. tre anni) se la persona interessata trova un’occupazione.
(1) Con la consulenza di Alberto Guariso, giurista
(2) La conversione stagionale/lavoro oggi è prevista dal comma 10 art. 24 e richiede solo che il lavoratore abbia lavorato almeno 3 mesi e abbia un offerta di lavoro; le ultime quote erano 4.750 x conversioni stagionali/lavoro.