di Savino Pezzotta
La situazione economica e sociale non ha bisogno di antagonismi, ma di forme cooperative che sappiano tutelare le persone più deboli, creare lavoro e innescare la crescita. La riforma del mercato del lavoro, per i modi con cui è stata condotta, per i problemi che stanno di fronte al Paese, per le tensioni sociali in essere e per gli elementi evocativi che pone, deve essere collocata nella cosiddetta “fase due” dell’iniziativa del governo per superare la crisi e ridare stabilità al nostro sistema economico. Sulla “fase due” grava il duplice compito di dare risposte innovative ai problemi che da troppi anni si trascinano e nello stesso tempo di neutralizzare gli effetti socialmente negativi generati dai necessari provvedimenti della manovra “Salva Italia”.
Eravamo tutti coscienti che arrivati sull’orlo del burrone occorreva uno sforzo per risalire la corrente e sappiamo che la “strategia del salmone” è faticosa e in molti casi dolorosa. Non avevamo altre scelte che fare quelle fatte. Sicuramente gli interventi sulle pensioni, sui prezzi, sui fisco hanno provocato un cambiamenta nei modi di vivere delle persone meno abbienti e forse innescato tensioni recessive. Ed è proprio partendo da queste considerazioni che ritengo che la fase che si avvia con il confronto tra le parti sociali richieda attenzioni più alte di quelle che abbiamo avuto fin ora.
Una vera riforma del mercato del lavoro non può essere avulsa da un disegno chiaro su come operare per la crescita, né tanto meno non può non prendere in considerazione l’esigenza di accompagnarsi a un progetto di modernizzazione, d’innovazione e di riforme che investano la nostra base produttiva, dei servizi e della pubblica amministrazione.
All’Italia serve un nuovo paradigma culturale e tecnologico del fare impresa e della competitività e avere come cuore centrale, non l’Articolo 18 su cui si è perso solo tempo, ma il tema della produttività. In Germania, tra il 1998 e il 2008, la produttività è aumentata del 22%, in Francia del 18% e in Italia del 3%: questi pochi dati ci dicono che la questione vera sta qui. L’aumento della produttività non si ottiene
comprimendo il valore del lavoro che in questi anni si e già troppo deprezzato a causa della precarietà, dei licenziamenti, della disoccupazione e da un troppo lungo periodo di stasi economica. L’Italia ha oggi bisogno di una fase di crescita che contenga elementi di equità, solidarietà. Di tutele e promozioni.
Occorre salvaguardare il sistema sociale di Welfare anche attraverso le necessarie riforme che ne rilanci la dimensione egualitaria e universale, superando incrostazioni, sprechi, privilegi.
A mio parere sarebbe utile tracciare cinque obiettivi di medio e lungo periodo. Vediamoli.
1. Partiamo dal sostegno ai redditi dei ceti meno abbienti e delle famiglie: non si diventa piu competitivi comprimendo i redditi famigliari o quelli delle persone a bassa intensita reddituale. Anzi questa comprensione sta già creando problematicita sui terreno della domanda interna e crea tensioni recessive. Per sostenere la crescita sarebbe utile contenere le rendite, far crescere la domanda e a produttività.
2. Poi si è molto parlato in questi anni di flessibilita e poi ci siamo ritrovati con un’estensione di lavori precari, quando invece avevamo bisogno di una flessibilità vera e arricchente e ben pagata. Bisogna che veramente si separi il concerto di flessibilità da quello di precarietà. La flessibilità in entrata va certamente equilibrata con quella in uscita e pertanto andrebbero introdotte delle norme che introducano percorsi verso il tempo indeterminato, compensazioni per i lavori a tempo determinato. Non è detto che il cosiddetto ”contratto unico” sia la strada migliore, come mi crea perplessità l’ipotesi delle tutele crescenti con l’anzianità, chi ci garantisce che si possa determinare un’azione per evitare il consolidarsi delle tutele crescenti. Certamente l’apprendistato andrebbe rafforzato sui terreno della formazione anche ricorrendo al sistema universitario, ma rappresenterebbe, per il suo legame con la formazione, comunque una possibilità maggiore di altre.
3. Di fronte ai processi di riorganizzazione, ristrutturazione e d’innovazione che necessariamente investiranno le nostre imprese, la Cassa integrazione resta ancora uno strumento importante e significativo, anche se occorre operare per uscire dalla logica dell’ammortizzatore per entrare in una dimensione più attiva che coinvolga il pubblico maa anche il sistema delle imprese.Va pensato e attuato un nuovo sistema di politiche attive del lavoro, una riforma dei servizi per l’impiego e forme nuove di tutela per i periodi di difficoltà lavorativa.
4. La formazione, la riqualificazione e il reimpiego dovrebbero essere gli assi portanti del nuovo modello. L’evoluzione tecnologica rischia di rendere obsolescenti in poco tempo i lavori, da qui la necessità di fare della conoscenza e della formazione permanente uno strumento di tutele e di difesa dei lavoratori. Non condivido l’idea del “reddito di cittadinanza”, il lavoro nella molteplicita dei suoi aspetti non ha valore solo economico, ma anche sociale e personate. Si deve invece operare perché a ognuno sia garantita l’opportunità, secondo le proprie capacità, di partecipare. Da piu parti si è affermato che la “concertazione” e il “dialogo sociale” hanno fatto il loro tempo e sono superati. Forse è cosi. In una società plurale che vuole essere ordinata non credo si possa fare a meno di forme di partenariato socio-economico. Non tutto è riassumibile nelle istituzioni e nella rappresentanza politica. C’è una rappresentanza sociale cui occorre garantire lo svolgimento del suo ruolo. In questa direzione vanno definite nuove forme della “governance sociale” per tendere a realizzare dei patti sociali e momenti di forte coesione sociale.
5. Infine, l’Articolo 18: è diventato un’ossessione e molte volte la polemica su questo tema è solo servita a nascondere altre responsabilità. E’ solo una questione simbolica, dagli scarsi effetti pratici. Come sappiamo l’Articolo 18 riguarda solo la possibilità che il lavoratore licenziato senza giusta causa, e pertanto per ragioni discriminatorie, possa ricorrere al giudice per essere reintegrato al suo posto di lavoro. Tutto qui. Si sa anche che le cause sull’articolo in questione sono molto poche. Sarebbe cosa saggia lasciarlo dove sta almeno che lo si voglia usare come simbolo di passaggio da una stagione all’altra, ma questo sarebbe poco saggio. Basterebbe per risolvere alcuni problemi una buona riforma del processo del lavoro o un rafforzamento dei collegi di conciliazione e arbitrato.