L’Italia che cambia è andata in scena al convegno biennale del Centro Studi di Confindustria, dal titolo “Cambia Italia, riforme per crescere”, svoltosi in Fiera Milano City nelle scorse giornate di venerdì 16 e sabato 17 marzo 2012. «Quali sono i cambiamenti strutturali che possono rimuovere le cause del regresso e far tornare a crescere?»: da una simile domanda ha preso avvio un lungo susseguirsi di relazioni, interventi, testimonianze e dibattiti, nel tentativo di comprendere quale possa essere il contesto più favorevole per adottare le indispensabili riforme invocate oggi da più parti.
L’Italia è a un bivio storico: si gioca oggi il destino dei prossimi vent’anni. Può contrastare e vincere la spinta verso un declino molto più veloce di quello sperimentato nell’ultimo decennio. Una spinta che viene da forze demografiche (riduzione della popolazione in età di lavoro) e da forze economiche (produttività stagnante). Per farlo deve imboccare la strada delle riforme, senza ulteriori sbandamenti e ripensamenti.
Non sempre, però, le riforme portano ai risultati desiderati, come dimostra la stessa esperienza italiana. Quali sono i cambiamenti strutturali che fanno rimuovere le cause del regresso e fanno tornare a crescere? Qual’è il contesto più favorevole per adottarli?
Le lezioni che vengono da sei casi di successo (Brasile, Cile, Germania, Polonia, paesi dell’Est Europa e Svezia) indicano che occorre operare su più fronti: la stabilizzazione macroeconomica e l’apertura alla concorrenza, il quadro politico-istituzionale e il consenso sociale, la flessibilità e l’orientamento strategico di tutte le politiche. Indicano, inoltre, che le crisi acute e le pressioni internazionali costringono a superare le resistenze interne e che la finestra politica per agire si restringe con l’avvicinarsi della fine della legislatura.
Partendo da livelli di competitività molto bassi, secondo i parametri del World Economic Forum, l’Italia può trasformare gli attuali svantaggi in altrettante leve di rilancio e quadruplicare l’incremento annuo del PIL. E’ cruciale la capacità del sistema politico di rinnovarsi per riconquistare il ruolo di leadership del Paese..
scarica le Slides dell’intervento di Luca Paolazzi Direttore Centro Studi Confindustria (645,12 Kb)
Scarica il dossier del Centrostudi Confindustria “CAMBIA ITALIA. Come fare le riforme e tornare a crescere” (3.891,66 Kb)
L’ITALIA È A UN BIVIO STORICO: DECLINO O RILANCIO – Il tema è parso chiaro fin dal manifesto volto a promuovere l’evento: si gioca oggi il destino dei prossimi vent’anni. Il nostro paese può realmente contrastare e vincere la spinta verso un declino molto più veloce di quello sperimentato nell’ultimo decennio: una spinta che viene da forze demografiche (riduzione della popolazione in età di lavoro) e da forze economiche (produttività stagnante). Per farlo, però, deve imboccare la strada delle riforme, senza ulteriori sbandamenti o ripensamenti. Servono coraggio e determinazione, poi, perché tali riforme possano effettivamente condurci ai risultati desiderati, come dimostra la stessa esperienza italiana del passato.
Unanime il messaggio lanciato dagli innumerevoli e illustri ospiti: fare una svolta che sia netta, e mantenere la rotta intrapresa. Le lezioni che vengono da sei casi di successo (Brasile, Cile, Germania, Polonia, paesi dell’Est Europa e Svezia) indicano la necessità di operare su più fronti: la stabilizzazione macroeconomica e l’apertura alla concorrenza, il quadro politico-istituzionale e il consenso sociale, la flessibilità e l’orientamento strategico di tutte le politiche. Ci dicono, inoltre, che le crisi acute e le pressioni internazionali costringono spesso a superare le resistenze interne, e che la finestra politica per agire si restringe con l’avvicinarsi della fine della legislatura.
Partendo da livelli di competitività molto bassi, secondo i parametri del World Economic Forum, l’Italia può trasformare gli attuali svantaggi in altrettante leve di rilancio, e quadruplicare così l’incremento annuo del PIL. Cruciale diviene, dunque, la capacità del sistema politico di rinnovarsi per riconquistare il ruolo di leadership del paese: «l’Italia deve cambiare, e deve farlo in fretta» – volendo citare la voce, più volte ripresa, del Presidente della Provincia di Milano, Guido Podestà, al quale, insieme al Sindaco della città, Giuliano Pisapia, e al Presidente di Confindustria Lombardia, Alberto Barcella, è stato affidato l’ardito compito di aprire i lavori.
LO STATO DEI FATTI: L’ITALIA ALLA SFIDA DEL CAMBIAMENTO – «La crescita economica è cambiamento, un cambiamento che è insieme quantitativo e qualitativo»: è Luca Paolazzi – Direttore del Centro Studi Confindustria e curatore, insieme a Mauro Sylos Labini, della pubblicazione intitolata “Cambia Italia, come fare le riforme e tornare a crescere” e presentata al convegno biennale – ad introdurre il tema delle due giornate di studio. «Per comprendere la vera natura della crescita e le reciproche interrelazioni tra quantità e qualità basti pensare a come funzionano, intrecciandosi continuamente, le forze della demografia e dell’innovazione, i due grandi motori cioè in grado di spostare in avanti la potenza e le condizioni di benessere (non solo economico) di un paese».
Entrambi agiscono sulla domanda e sull’offerta: la demografia determina, gradualmente ma inesorabilmente, stazza e composizione dei mercati di sbocco e le caratteristiche del capitale umano; l’innovazione introduce, caleidoscopicamente e con salti, nuovi beni di consumo, che mutano gli stili di vita fino a rivoluzionarli, e nuovi processi e macchinari e forme organizzative, che accrescono la produttività dei fattori impiegati.
Nel pensiero condiviso negli ambienti della Confindustria, tre sembrano essere gli aspetti importanti (e troppo spesso ignorati) da cogliere nel dibattito sulla crescita. Primo: la crescita economica è pervasiva, perché in grado di coinvolgere i vari campi della vita sociale. Secondo: avviene senza soluzione di continuità, sebbene con un’intensità non sempre costante, ed è influenzabile ma ineludibile, determinata come risulta da condizioni esterne al singolo paese; può essere, quindi, governata, entro certi limiti, giocando d’anticipo, oppure subita, se si reagisce in ritardo. Il terzo aspetto discende dai precedenti: poiché la crescita è cambiamento, sempre più qualitativo e fondato sulla conoscenza nei Paesi avanzati, l’idea e l’elogio della decrescita perdono di conseguenza contatto con la realtà e fondamento materiale, proprio mentre vengono illuminate da una luce diversa sia la ormai lunga stagione di stagnazione dell’Italia sia il significato e la valenza delle riforme.
Fondamentale diviene, dunque, l’approdo di simili considerazioni: nella chiave di lettura adottata riguardo all’essenza della crescita, è impossibile non rendersi conto di quanto l’economia e la società italiane siano state incapaci di cambiare rispetto alle misure intraprese dagli altri sistemi-paese. Potrà sembrare un paradosso, data la spiccata diversità dell’Italia di oggi da quella di una decina di anni fa: di nuovo, però, si deve notare quanto meno diffuse che altrove (e decisamente inadeguate, per essere benevoli) siano state le trasformazioni messe in atto, frutto di accidentalità molto più che di un disegno impresso da politiche buone e forti. È l’economia italiana nel suo complesso, e in media, che si sta impoverendo.
Da qui nasce una domanda di cambiamento, la cui risposta può essere attualmente ricercata guardando alle buone pratiche dei casi di studio delle riforme: è stato questo il percorso suggerito e seguito nella ricerca e nei dibattiti del convegno. Le riforme sono e restano cruciali: perché se la crescita è la manifestazione e il frutto del cambiamento del tessuto economico e sociale, le riforme sono il veicolo con cui cambia il contesto normativo e istituzionale, la cornice entro cui si muovono le scelte delle persone, in qualità di consumatori, imprenditori, cittadini.
I CASI DI SUCCESSO NEL MONDO: LEZIONI PER LE RIFORME – Per comprendere come si sia arrivati alla difficile situazione che stiamo vivendo, quale tragitto sarebbe opportuno seguire e attraverso il verificarsi di quali condizioni si potrebbe compierlo, è molto utile, nell’intento stesso delle proposte avanzate, esaminare l’esperienza internazionale: un’opinione ampiamente condivisa tra i partecipanti, decisi a raccogliere la sfida del cambiamento lanciata dalla crisi.
L’Italia non è stato il solo paese a trovarsi nella necessità di dover rovesciare una tendenza alla stagnazione insediatasi da tempo, per rimettere in moto il processo di sviluppo. Si possono citare numerosi altri casi: Regno Unito, Paesi Bassi, Germania e Svezia, per rimanere nel novero dei paesi avanzati; Polonia, altre economie dell’Europa centro-orientale, Cile e Brasile, tra le nazioni emergenti, le quali hanno dovuto attraversare anche veri e propri cambi di regime politico e difficili transizioni. Queste economie hanno saputo cogliere, in toto o in parte, i momenti storici propizi per modernizzare le istituzioni economiche ed ottenere così risultati molto significativi nella performance economica.
In tutti i casi citati, quel che emerge è che riformare è un percorso accidentato, e che per intraprenderlo non basta approvare nuove norme, ma occorre che queste siano applicate e accettate mediante la profonda trasformazione della mentalità e delle abitudini di politici e cittadini. Le esperienze dei paesi che hanno avuto successo in un simile percorso aiutano proprio a comprendere come i cambiamenti nascono, incontrano resistenze, ma si rafforzano con il tempo, grazie ai risultati concreti in termini di benessere che con essi maturano. Rispetto ad un’analisi esclusivamente quantitativa sulle determinanti e sugli effetti delle riforme, un approccio comparato basato su una serie di casi di studio consente di comprendere quali siano stati i contesti e le condizioni migliori per realizzare le riforme, e di approfondire in modo dettagliato i fattori propizi al compimento dello stesso processo riformista. Sebbene non sia appropriato né accurato (non è mai superfluo precisarlo) pensare di poter ricavarne prescrizioni automatiche e generali in grado di funzionare sempre e comunque in ogni paese e circostanza, è prezioso sapere che alcune costanti esistono e forniscono utili suggerimenti: varrà la pena tenerne conto.
L’AGENDA PER L’ITALIA: IL “LAVORO” A FAVORE DEI GIOVANI – I giovani italiani sono disincantati e preoccupati: il tasso di disoccupazione degli under-24 si aggira intorno al 30 per cento, e anche i fratelli maggiori riscontrano molte difficoltà nel trovare un lavoro dignitoso. Eppure qualcosa sta cambiando (almeno pare): stimolo all’imprenditorialità, norme per l’accesso alle professioni, riordino dei contratti d’entrata, deduzioni al reddito d’impresa, nuovi ammortizzatori sociali e flessibilità in uscita. Ecco un breve elenco di interventi recentemente realizzati o attualmente in fase di attuazione, promossi dal Governo Monti: sono questi i temi oggi in fase di definizione e discussione, su cui si giocherà il futuro (speriamo florido) del nostro amato paese.
– Imprese under-35. Il decreto sulle liberalizzazioni introduce la società semplificata a responsabilità limitata: solo un euro di capitale per costituirla e un minor numero di controlli e verifiche. Prima, la più piccola società richiedeva un capitale di decine di migliaia di euro e spese molto elevate, soprattutto dal notaio. Secondo le nuove norme, però, quando uno dei soci supera i 35 anni è costretto a dimettersi.
– L’accesso alle professioni. Il decreto liberalizzazioni rende meno rigido il sentiero verso le carriere professionali: la durata del tirocinio, tranne che per le professioni sanitarie, non potrà essere superiore a diciotto mesi e, per i primi sei mesi, potrà essere svolto nell’ultima parte degli studi. Tra gli emendamenti è stata introdotta anche la modifica che prevede la possibilità per il tirocinante di vedersi “riconosciuto un rimborso spese forfettariamente concordato, dopo i primi sei mesi di tirocinio”. Non solo: nel decreto è stata introdotta una norma che prevede le procedure per l’assegnazione di 550 posti di notaio e due concorsi entro la fine del 2013 e del 2014 per nominarne fino ad un massimo di 500 nuovi l’anno; nella commissione Industria del Senato, poi, è stato introdotto un emendamento del Pd che stabilisce tempi certi per la definizione e la conclusione dei concorsi.
– Il lavoro somministrato. Il 24 febbraio 2012 è stato varato il decreto legislativo sul lavoro interinale: gli interinali vengono equiparati, per il periodo di durata della missione, ai dipendenti; un’equiparazione che, per molti, era già in vigore. La novità principale va rintracciata, ad ogni modo, nella cancellazione della causale (“picchi di lavoro e stagionalità”), nel caso in cui si tratti di giovani, disoccupati, lavoratori in mobilità, over-50, stranieri, e in tutte quelle situazioni in cui c’è un accordo anche a livello locale con le parti sociali: non ci sarà più bisogno di giustificazione per assumere con questa tipologia contrattuale. Interessanti, e parzialmente discordanti, i pareri delle parti coinvolte: per il governo e per Cisl e Uil, è un modo per dare un’opportunità in più a chi ne ha bisogno; per la Cgil, il decreto rischia di incrementare di fatto la già eccessiva parcellizzazione del lavoro.
– Deduzioni al reddito d’impresa. Nella manovra finanziaria di fine 2011 sono stati introdotti degli aiuti fiscali alle imprese che assumono giovani e donne: a partire dal 2012, le imprese potranno dedurre dal reddito di impresa, per ogni lavoratore di età inferiore a 35 anni assunto a tempo indeterminato, 10.600 euro l’anno (importo che sale addirittura a 15.200 euro, nelle aree svantaggiate).
– Apprendistato. Recentemente riordinato con un Testo Unico entrato in vigore il 25 ottobre 2011, è il contratto di lavoro che potrebbe diventare il percorso di ingresso privilegiato per i giovani nelle imprese: è il contratto, in termini di aliquote da pagare, più vantaggioso per le stesse imprese. Tre le tipologie previste: (1) l’apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale, (2) l’apprendistato professionalizzante o “contratto di mestiere” e (3) l’apprendistato di alta formazione e ricerca. Nelle indicazioni del ministro Fornero va però potenziata, rispetto alla forma attuale, la componente formativa. Al tavolo con le parti sociali si discute anche della durata possibile.
– Contratti d’entrata e premi di stabilità. La complessa tipologia dei contratti in entrata potrà essere oggetto di una razionalizzazione. L’obiettivo è rendere più facile il passaggio da un lavoro all’altro e combattere il fenomeno delle false collaborazioni e delle Partite-Iva “coatte”. In cantiere anche la proposta di un aggravio di contributi a tempo determinato, con il sostegno dei sindacati ma non delle imprese. Tra gli altri strumenti sul tavolo, ci sarebbe anche un premio di stabilità per quelle aziende che trasformano i contratti precari in stabili.
– Nuovi ammortizzatori sociali. Il ministro Fornero ha fatto capire di voler ridisegnare il quadro degli strumenti in campo: la revisione entrerebbe in vigore “con gradualità”; l’anno di applicazione, probabilmente, sarà il 2017. Due gli elementi fondamentali: la cassa integrazione e l’indennità di disoccupazione.
– Articolo 18. Il tema della flessibilità in uscita è il punto doloroso: non a caso, sarà l’ultimo argomento trattato sul tavolo tra ministro e parti sociali. In questo momento, l’articolo 18 prevede il reintegro del lavoratore nel posto di lavoro in caso di licenziamento senza giusta causa. Tra le ipotesi, c’è quella di una norma che sospenda l’articolo 18 per chi proviene da contratti precari, in cambio di un risarcimento economico che cresca con l’anzianità di lavoro: la tutela dell’articolo 18 rimarrebbe, dunque, per tutti quelli che hanno già un contratto da dipendente in essere.
VALORIZZARE LA CULTURA: SERVE UNA METODOLOGIA PER LE RIFORME ITALIANE – È ufficiale: l’Italia è in recessione. Ma abbiamo la possibilità di riprenderci, seguendo un percorso obbligato che passi attraverso qualità, creatività, innovazione e produttività: caratteri efficaci solo agendo sulla leva della formazione. È questa la convinzione maturata al termine del convegno “Cambia Italia” di Confindustria, come emerso dalle parole dell’attuale Presidente del Consiglio dei Ministri, Mario Monti, e del Presidente della stessa Confindustria, Emma Marcegaglia.
Dall’osservazione della realtà si comprende quanto il nostro paese possa fruttuosamente ispirarsi alle esperienze di successo di altre realtà territoriali. È quanto le condizioni attuali rappresentano: un’occasione irripetibile, da non sprecare. Altissima è la posta in gioco: la perdita di terreno rispetto ai concorrenti. L’Italia rischia di diventare economicamente irrilevante in breve tempo – ha ammonito Klaus Schwab, Fondatore ed Executive Chairman del World Economic Forum – se non argina l’emorragia di competitività messa in luce dai pilastri del World Economic Forum, nella cui graduatoria globale il nostro paese figura soltanto al 43° posto (mentre era al 29° nel 2000, sebbene tra le due classifiche siano cambiati metodologia e numero di paesi considerati).
L’Italia, non solo economicamente, si trova a un bivio: deve reagire, per questo, con vigore, determinazione, coesione, costanza e coerenza, in ogni sfera del vivere economico, civile, demografico e sociale; e trasformare i grandi svantaggi competitivi in altrettante leve di rilancio. Per far sì che la svolta appena intrapresa non duri una sola e particolare stagione (quella attuale), però, occorre che si radichi una cultura delle riforme come bene collettivo: è questo il compito più difficile, la cui responsabilità ricade sulle spalle della politica e dei partiti – ne sono convinti (e ce lo spiegano) gli illustri personaggi intervenuti nella seconda giornata di studi: dal Presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, a Diana Bracco, Presidente dei Progetti Speciali per l’Expo 2015; dai leader di diversi schieramenti politici presenti all’incontro, fino allo “special guest” Josè Manuel Barroso, attuale Presidente della Commissione europea.
L’approvazione riscontrata nei sondaggi per il metodo di lavoro del Governo Monti e la voglia di cambiamento degli Italiani, che numerose indagini demoscopiche hanno misurato, sottolineano che nella popolazione del paese, assimilabile al clima della Germania dopo la riunificazione (ci hanno raccontato gli esperti), la coscienza della necessità delle riforme è molto più diffusa di quanto comunemente si pensi: in ciò l’Italia appare già cambiata e pronta a raccogliere le nuove (e vecchie) sfide.