Congelamento, espansione, tagli, investimenti. La partita delle prospettive finanziarie 2014-2020 arriva con il Vertice del 22 e 23 novembre al suo snodo cruciale, dopo un anno e mezzo di colloqui e ipotesi. Le posizioni attualmente in campo appaiono più che distanti, forse addirittura inconciliabili. Da un lato ci sono le spinte espansive di Parlamento e Commissione, dall’altro le frenate dei Paesi membri. Facendo il quadro completo di tutti gli elementi sul tavolo è facile comprendere quanto la trattativa sia appesa a un filo.
Le regole. Per capire quanto la materia sia scivolosa, però, occorre fare il punto sulle sue regole. Il bilancio quadro dell’Unione europea per i sette anni che vanno dal 2014 al 2020 non potrà essere votato a semplice maggioranza da parte del Consiglio, ma dovrà incontrare il giudizio positivo dell’unanimità dei paesi membri. Subito dopo dovrà anche incassare il via libera del Parlamento. Ed è difficile che questo accada. Il motivo è che, al momento, la distanza tra il più rigido dei paesi, la Gran Bretagna, e la proposta della Commissione europea vale circa 200 miliardi di euro. Un divario che sembra difficile da colmare.
La proposta della Commissione. Ma facciamo un passo indietro per analizzare le diverse idee sul piatto. Tutto comincia con la proposta della Commissione, varata nell’ormai lontano giugno del 2011. Questa prevede 1.031 miliardi in impegni, ai quali si sommano circa 60 miliardi “fuori budget”, e 987 miliardi in pagamenti. Una differenza, quella tra impegni e pagamenti, che è grossomodo la stessa che c’è tra il limite mensile di una carta di credito e quanto effettivamente si utilizza. Un dato fa riferimento alla spesa massima, l’altro al denaro che si mette materialmente in cassa.
I paesi rigoristi. La Gran Bretagna, dal canto suo, si pone all’estremità opposta. Secondo la proposta presentata da Londra, il livello del budget comunitario dovrebbe essere congelato ai livelli del 2011 e poi dovrebbe avere solo il recupero della rivalutazione causata dall’inflazione (2% all’anno). A conti fatti, con questo sistema si arriva a circa 940 miliardi di euro per i sette anni. E si scende ancora di più se si considera un recupero dell’inflazione più basso. L’ideale, per Londra, sarebbe recuperare almeno 100 miliardi rispetto al livello fissato dall’esecutivo comunitario per i pagamenti, le disponibilità di cassa dell’Ue, pari a 987 miliardi di euro.
Le modalità di calcolo rendono ancora più complessa la partita. Se la Gran Bretagna fa riferimento al livello dei pagamenti, infatti, la Germania ragiona in percentuale rispetto al Pil. E parte da un dato: la proposta della commissione si attesta all’1,05% del prodotto interno lordo europeo. Per Berlino, invece, si deve arrivare all’1% secco. Che, tradotto in numeri, significa non più di 960 miliardi. Un dato che va confrontato con il livello degli impegni (1091 miliardi), con un taglio di oltre 130 miliardi di euro.
I tentativi di mediazione: Cipro e Van Rompuy. Sul piatto ci sono, poi, i due tentativi di mediazione: quello della presidenza cipriota e quello del presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy. Quest’ultima rappresenta lo snodo più recente delle trattativa. E si pone grossomodo a metà strada tra i paesi rigoristi e la Commissione. Il riferimento sono stavolta gli impegni della Commissione (1.091 miliardi), rispetto ai quali il taglio da effettuare è di circa 80 miliardi. Di questi, oltre 55 andrebbero recuperati su due capitoli chiave per l’Italia: la Pac (25,5 miliardi) e la politica di coesione (29,5 miliardi). Cipro, dal canto suo, si era fermata a una sforbiciata di 50 miliardi di euro; tagliando circa 25 miliardi tra Pac e fondi di coesione.
La spinta espansiva del Parlamento. Infine, c’è il Parlamento europeo che ha espresso con una risoluzione a fine ottobre la sua inclinazione verso la proposta della Commissione. Il bilancio, infatti, deve almeno confermare i livelli di spesa del periodo precedente su alcuni capitoli chiave per poter essere realmente efficace: Pac e fondi di coesioni, in sostanza, sono intoccabili. Secondo l’assemblea, allora, tutte le proposte arrivate dai paesi membri risultano irricevibili.
Cosa succede se il Vertice non decide. A complicare ancora di più la partita c’è il possibile esito in caso di mancata approvazione. Se non si raggiunge un accordo, infatti, si procede d’ufficio, prendendo l’ultimo anno delle ultime prospettive approvate (2007-2013), moltiplicandolo per sette e aggiungendovi una rivalutazione del 2%: in questo modo si arriverebbe a un valore di 1.027 miliardi di euro. Senza, però, poter introdurre nuovi capitoli di spesa e investimento rispetto al periodo precedente. Una soluzione d’emergenza, che lascerebbe tutti con l’amaro in bocca.
euractiv.it