Barca: “Nel sud 3,5 miliardi di investimenti entro l’anno”

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«Destabilizzare il Sud, il suo endemico equilibrio tra clientela e rendita parassitaria, liberare energie intellettuali e imprenditoriali con un conflitto di idee anche duro ma vivo, partecipe. Non un rito, il solito che si conosce. E non un euro se non ci sono idee ma solo palmi di mano che si tendono nel segno dell’elemosina».

Il sud dell’Italia ha bisogno di essere shekerato dice Fabrizio Barca a cui Mario Monti ha affidato un tema di faticosa illustrazione: la coesione territoriale. Il mondo cambia veloce e il ministro, talentuoso figlio della pubblica amministrazione, si ritrova seduto nella stanza nella quale, con ben altri propositi, ha sostato anche Umberto Bossi.

Ministro, intanto il premier l’ha mandata a L’Aquila a tentare di dare una speranza a quella città e una logica ai soldi da spendere. L’Aquila è sud o nord?
«Direi sud, il territorio non marittimo dell’Abruzzo è afflitto dalla secolare convinzione che lo Stato abbia due facce: quella centrale, romana, come entità di pura erogazione d’aiuti, un benefattore cieco e assente dal tuo destino, e quella locale, divoratrice di risorse, da cui bisogna diffidare (dopo essersela fatta amica naturalmente) sempre e comunque».

L’Aquila ha fatto i conti prima con il terremoto e poi con i tremori dei suoi dirigenti: molte parole e poche idee, molte proteste e poca energia.
«Bisogna sbrogliare la matassa legislativa, alleggerire la somma di norme e cavilli che bloccano la ricostruzione e soprattutto intaccare il monopolio dei professionisti locali. Se si liberano energie positive si libera L’Aquila dalla sua afflizione e si inizia finalmente a prendere la cazzuola in mano».

Trova il modo di spiegare agli amministratori meridionali che i soldi a volte affamano?
«Senza una strategia culturale prima che politica ed economica gli investimenti non producono benessere, alimentano i soliti canali. I fondi Mezzogiorno nel periodo 20072013 ammontavano a circa 40 miliardi di euro».

Spesi?
«E qui viene il dispiacere: siamo al venti per cento delle risorse disponibili».

Ma com’è possibile, si è fatto un’idea delle ragioni di questa ignavia primordiale?
«La mia idea è che non basta stanziare soldi, bisogna essere vicini ai destinatari di quei fondi. Invece Roma e Bruxelles hanno firmato l’assegno e girato le spalle, impegnati in faccende più serie e fatto intendere che quei finanziamenti forse sarebbero stati revocati, deviati, rimodulati. Il pensiero che insomma non tutto era oro che luccicasse ha mietuto vittime e ucciso la speranza. A questo aggiunga che la leadership politica meridionale è ancora sotto di una modestia significativa».

Lei ha meno di un anno per far vedere cosa sa fare. In un anno cosa riuscirà a spendere e come?
«Tre miliardi e mezzo di euro. Non sono molti, ma abbastanza per segnare l’inversione».

Il primo miliardo lo dà alla scuola.
«Ecco, si fermi un attimo: il primo miliardo va alla scuola perché il mondo della scuola ha promosso una rete di intelligenze, di dirigenti capaci che sono pronti, hanno una visione, conoscono le necessità e i destini delle risorse. Per questo dico che senza le idee i soldi non servono».

Le idee sulla scuola.
«Formazione, qualità dell’insegnamento, nuova proposizione del sapere, dignità dell’habitat. Ho bisogno che i diciassettenni e i diciottenni di Enna e di Bitonto, di Matera e di Reggio Calabria godano di un pacchetto supplementare di istruzione. Gli facciamo imparare bene l’inglese, li facciamo viaggiare. Gli diamo supporto e allungamento dell’orario scolastico, gli insegniamo meglio e più a lungo greco e latino. Gli coloriamo la scuola, la facciamo divenire più bella, confortevole, gradevole. Non solo le aule digitali ma il complesso dei muri deve divenire decente, deve mandare un messaggio di speranza e di ripresa».

Quando inizia a spendere il miliardo?
«Circa un terzo se ne va via quest’anno, due terzi l’anno prossimo. Sono 500 scuole. Sono tante, ma ce la faremo».

Faccia anche le ferrovie per mandare i ragazzi a scuola.
«Un miliardo e mezzo liberato. A sud di Salerno, fino a Reggio, ad est fino a Bari. Poi la dorsale jonica. Questi sono impegni di spesa (il totale fa sette miliardi) decisi, validati, possibili».

Che siano impegni decisi non c’è alcun dubbio. Il problema è quando li vedremo convertiti in buone azioni.
«In dieci anni vedrà tutte le ferrovie realizzate. Ma da subito saprà quale tratto realizziamo entro il 2012, quale nel 2013. Quale opera si concluderà domani, quale altra dopodomani».

Bisogna essere ottimisti, ma non c’è ragione sufficiente.
«All’interno del rumore antico delle compensazioni solite, dei soliti crediti di imposta, dell’identica forma di raccolta delle risorse, c’è un nucleo imprenditoriale, umano e culturale che parla una lingua nuova e diversa. A Napoli mi chiedono di rompere i monopoli, a Barletta gli industriali hanno visioni chiare e avanzano richieste possibili. Noi dobbiamo fare in modo che il bene collettivo, il bene comune abbia un senso comune, sia sulla bocca di tutti».

C’è bisogno di shekerarlo un po’ questo Sud.
«Agitarlo un pochino come quei drink. Fargli cambiare idea, imporgli un passo diverso. Ma c’è Sud e Sud. C’è la Lucania che va forte e la Calabria che patisce. Ci sono zone del ragusano dove l’assistenza per la terza età è a livelli formidabili e il campo della tutela dell’infanzia e della vecchiaia, i due poli della vita, è arato. E poi la nuova formazione: ci sono 500 milioni di euro. Altri soldi che spenderemo presto».

Presto, e possibilmente bene.
«Bisogna giungere a modelli efficienti di comunicazione e controllo popolare. Con una parola grossa: democrazia partecipata».

Il Sud si può redimere?
«A Sud dell’Italia vive un terzo della popolazione ma si produce un quarto del Pil nazionale e un decimo dei beni esportati. Significa che questa recessione peserà ancora e di più sulle spalle già fragili di questa parte del Paese. Non c’è altra possibilità che cambiare assetto di marcia e modo di pensare».

Dammi un’idea e io ti do i soldi.
«I soldi vengono alla fine. Dimmi cosa ne vuoi fare e in quanto tempo li vuoi spendere. Raccontami della tua filiera produttiva, e ce ne sono alcune di vera eccellenza, e convincimi che il tuo proposito è dentro la logica del bene comune».

Familismo amorale, scriveva Banfield.
«Se riusciamo a innestare un conflitto positivo, ampliare la base dell’elaborazione progettuale, dare schemi e offrire realtà che possano essere emulate, romperemo i tanti monopoli locali, i feudi che si elevano grazie al malgoverno. C’è bisogno di mobilità del pensiero, di dare potere alla conoscenza e gambe ai talenti del Sud».

 

Antonello Caporale, La Repubblica \ Affari e finanza

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