Il Paese, come il resto dell’Europa, è in sofferenza: non si può negarlo. Le parrocchie e le formazioni sociali che vivono a contatto con la gente lo constatano ogni giorno.Tutto rincara e il budget familiare diminuisce. Cambiano così le abitudini, si rivede l’ordine delle scelte.
Con i provvedimenti adottati è stato portato al sicuro il Paese, facendo proprie – pur con qualche adattamento – le indicazioni comunitarie. Bisogna però che si approfitti il più possibile di questa stagione, in cui si è costretti a dare una nuova forma ai nostri stili di vita: uscire dall’immobilismo; cominciare a fare manutenzione ordinaria del territorio; continuare nella lotta all’evasione fiscale; semplificare realmente alcuni snodi della pubblica amministrazione; dotarsi di strumenti pervasivi e stringenti nel contrasto alla corruzione e al latrocinio della cosa pubblica.
Soprattutto, azionare tutti gli strumenti e investire tutte le risorse a disposizione – dello Stato, dell’imprenditoria, del credito, della società civile – per dare agli italiani, a cominciare dai giovani, la possibilità di lavorare: non solo per sopravvivere, ma per la loro dignità.
Ma anche approfittarne per rinnovare i partiti, tutti i partiti: non hanno alternativa se vogliono tornare – com’è fisiologico – ad essere via ordinaria della politica ed essere pronti – quando sarà – a riassumere direttamente nelle loro mani la guida del Paese.
Per intanto dal Governo sono attese soluzioni sospirate per anni. Come Vescovi chiediamo di tenere insieme equità e rigore. La congiuntura ci deve migliorare, non appiattire e ancor meno schiacciare. Si dovrà probabilmente lavorare molto prima di tornare a vedere risultati importanti, ma quel che conta sono i segnali affidabili e concreti che devono arrivare dalla classe dirigente. Senza uscire dal novero delle nazioni industrializzate, anzi preservando nella ragionevole flessibilità gli insediamenti che coltivano le specificità e le eccellenze, dobbiamo perseguire un’economia sociale di mercato, nella linea della cooperazione e dei sistemi di un welfare condiviso.
Il modello economico perseguito lungo i decenni dal nostro Paese è stato ed è una prodigiosa combinazione tra famiglia, impresa, credito e comunità. È l’insieme che va reinterpretato e rilanciato, recuperando stima nelle imprese familiari e locali, a cominciare da quelle agricole e artigianali. Nella realtà odierna nessuno può pensare di preservare automaticamente delle rendite di posizione. Bisogna sapersi misurare con le mutazioni incalzanti che costringono ad un pensare nuovo.
Bene sommo è la persona, e la persona che lavora; per questo vanno create le condizioni perché le opportunità di impiego non sfumino, e con esse le abilità manageriali e i capitali necessari all’impresa. La globalizzazione è una condizione ineluttabile, con aspetti che, se non governati, possono modificare radicalmente i destini di un popolo: per questo dobbiamo starci dentro con la nostra cifra sociale, superando con la necessaria gradualità gli strumenti che sono inadeguati, per raggiungere, nelle condizioni date, la soluzione meglio condivisa.
È necessario affrontare i singoli problemi nell’orizzonte di una strategia di fondo. Con animo sgombro da pregiudizi, si tratta di riconoscere ciò che effettivamente segna un avanzamento, quale che sia il soggetto proponente.
Ora la strada e il tempo del confronto vanno percorsi fino in fondo, con onestà intellettuale e indistruttibile fiducia nel comune desiderio di riuscire nell’impresa. Da diversi ambienti giungono voci che riconoscono e incoraggiano l’iniziativa della Chiesa a fronte dei bisogni crescenti. Tra questi, scorgiamo la povertà alimentare, di alloggio, di medicine.
Noi Pastori accogliamo questi appelli che si moltiplicano anche da aree fino a ieri sufficienti; siamo grati per i riconoscimenti, anche se la Chiesa non li cerca agendo anzitutto per fedeltà al proprio Signore, consapevole della propria bimillenaria esperienza di evangelizzazione e promozione umana. Nessuno peraltro può dubitare di questa presenza discreta e quotidiana, sostenuta dall’amore a Cristo e al mondo: la fede genera carità e la carità nasce dalla fede. I riconoscimenti raccolti li trasmettiamo naturalmente ai nostri amati sacerdoti e diaconi, ai consacrati e al grande stuolo dei volontari delle parrocchie e delle aggregazioni laicali che quotidianamente sono riversi sul servizio della carità. A loro diciamo la nostra parola di incoraggiamento per intensificare – insieme – ogni ulteriore sforzo e generoso impegno, affinché si rafforzi il reticolo di solidarietà che manifesta la maternità della Chiesa.
Mentre la crisi perdura, chiediamo che sollecitamente si avvii la sospirata fase di ripresa e degli investimenti in grado di creare lavoro, che è la priorità assoluta. L’approccio finanziario, infatti, senza concreti e massicci piani industriali, sarebbe di ben corto respiro. Solamente ciò che porta con sé lavoro, e perciò coinvolge testa e braccia del Paese reale, ridà sicurezza per il presente e apre al futuro. Perché questo accada, è necessario che lo Stato e gli enti locali siano solventi e lungimiranti e gli istituti bancari non si chiudano in modo indiscriminato alle richieste di piccoli e medi imprenditori: non ogni ristrutturazione va valutata con diffidenza; è necessario considerare, caso per caso, situazioni e persone, l’onestà insieme all’affidabilità, e alla quota di controllabile rischio senza il quale non può darsi alcun salto nella crescita.
C’è bisogno – e questo è il momento – che la gente ritrovi l’entusiasmo per le relazioni e si rimetta assieme in modo creativo per far girare il ciclo del lavoro. Gioverà poi memorizzare gli insegnamenti di questa stagione che dovranno persistere anche oltre la stretta. Mi riferisco alla capacità di sacrificio e di adattamento, virtù dell’anima che talora, nell’abbondanza, sembra venir meno, senza essere finora mai scomparsa, tanto da riemergere come riserva preziosa.
In secondo luogo, l’energia scaturente dai vincoli familiari, supporto indispensabile nelle emergenze, sostegno che mentre dà educa, e mentre educa non lascia mai soli. Anche in questo tornante stretto della vicenda nazionale sono state le famiglie a rivelarsi punto di forza che, nel momento del bisogno, hanno saputo spremere il meglio di sé e sorreggere l’intero sistema.
Quindi l’attitudine al risparmio, anche piccolo, che in certi momenti viene irriso con sufficienza per essere meglio depredato dalla cultura dello spreco, quando invece è risorsa semplice e benefica nelle fasi di congiuntura. Infine, la tenuta delle reti di prossimità e pronto intervento che, grazie anche alla provvidenza dell’otto per mille, la comunità cristiana assicura indistintamente ad utilità di tutti.
Senza dire poi dell’esito rigenerante che ha l’atteggiamento dell’accoglienza, in risposta alla fame di relazioni e di compagnia. Ci sono condizioni che solo l’abbraccio genuino può sciogliere in chi è paralizzato dalla paura e dalla solitudine. Solamente chi ha sperimentato l’abbraccio fraterno e incondizionato che scatta spontaneo dal tessuto di una comunità – seppur non risolve d’incanto i problemi concreti – può lenire le ferite dell’anima, stemperare il risentimento, riaccendere la fiammella della fiducia, rinnovando energie esauste.
Sul contributo perdurante – e semmai intensificato – dei cattolici al difficile momento della Nazione e dell’Europa non è dato di dubitare.Viva è la coscienza della «responsabilità verso il prossimo (che) significa […] volere e fare il bene dell’altro» (Benedetto XVI, Discorso ai soci del Circolo San Pietro, 24 febbraio 2012), e degli altri, di tutti gli altri, secondo una logica del tutto inclusiva. Si continua – mi pare – lungo la strada intrapresa, magari con meno clamore, eppure puntando ad una reale efficacia, sviluppando le iniziative che i vari soggetti aggregativi decidono liberamente di assumere sul versante eminentemente politico.
Sul fronte ecclesiale, e sul crinale in cui l’ecclesialità si intreccia con la socialità, osserviamo che il confluire delle associazioni e dei movimenti di ispirazione cristiana nei tre organismi da tempo attivi – il Forum delle Associazioni familiari, Retinopera e Scienza & Vita – prosegue in termini di confronto su tematiche nodali per l’impegno dei laici.
A questi si aggiungono le scuole di impegno socio-politico che, proprio agli inizi di questo mese di marzo, hanno avuto un importante momento di confronto nazionale, e che sono espressione dell’inventiva pastorale e formativa della Chiesa. Queste scuole intendono realizzare, rispetto alla presenza dei cattolici sul territorio, un accompagnamento che fornisca il sostegno culturale e morale necessario, un accompagnamento appropriato perché mai deve dividere le comunità, né renderle di parte, né esporle a possibili strumentalizzazioni. Si intende elaborare ora una sorta di modello ideale di scuola che sia di riferimento e indicazione, persuasi tutti noi che la formazione richiede organicità, articolazione disciplinare, metodo di maturazione, percorsi di esperienza in cui il rapporto con la realtà è decisivo.
L’ormai prossima beatificazione di Giuseppe Toniolo, esponente esemplare del laicato italiano, si pone come un’occasione speciale, non solo per rivisitarne la figura, ma per evidenziare gli elementi di quel ceppo da cui è derivato, per il nostro Paese, un cattolicesimo incisivo e fecondo. Siamo certi che sarà un evento di Chiesa e di popolo.