L’economia mondiale trattiene il respiro. Raramente le sorti di un continente intero e, di riflesso, dell’economia globale sono dipese in tal misura da un singolo vertice. Dati i precedenti, suonare ancora una volta l’allarme rievoca la favola del pastorello di Esopo. Ma non se ne dubiti: un insuccesso del vertice Ue stanerebbe un lupo famelico e insaziabile, tale da sbranare l’intero progetto europeo già alla riapertura dei mercati lunedì.
Ha fatto bene il premier Mario Monti a enfatizzare che non possiamo permetterci mancate decisioni, e sbaglia malamente i calcoli chi magari spera segretamente che il governo torni da Bruxelles a mani vuote.
Molta attenzione è stata giustamente data alla necessità di procedere decisamente verso un’autentica unione economica e monetaria, come dal titolo del rapporto dei quattro presidenti (Barroso, Draghi, Juncker e Van Rompuy). Il rapporto rappresenta senz’altro un importante salto di volontà politica sinora assente, ma – a questo punto – le sue proposte sono ormai il minimo necessario, ed anche quelli che vengono presentati come meri suggerimenti dovranno invece trovare concreta attuazione.
Non è poco, ma dopo due anni di mezze misure, è ora che l’impegno di «fare tutto il possibile per salvare l’euro» divenga realtà. Ma anche un tale importante risultato rischierebbe di risultare vano se non si risponderà nel contempo anche a preoccupazioni più immediate. Questo in due modi: rimettendo in carreggiata il programma con la Grecia e avviando con successo quelli con la Spagna e Cipro (che il destino vuole venga investito dal 1 luglio della sproporzionata responsabilità della presidenza del Consiglio Ue – altro risvolto insensato di una governance europea tutta intergovernativa).
Cominciando dalla Grecia, poichè è evidente che una sua fuoriuscita scatenerebbe, appunto, il lupo, è necessario un segnale chiaro, che dia alla troika ampia flessibilità di rinegoziare un programma ormai non solo superato di fatto, ma anche errato nelle sue premesse. Queste si basavano sulla tesi che fosse possibile correggere i conti pubblici con, se non proprio una “contrazione espansiva,” almeno una contrazione contenuta. È risultato invece evidente quello che molte analisi avevano già indicato come inevitabile: un aggiustamento pronunciato in una situazione di crisi già avanzata e di credibilità dispersa quale quella greca non può che portare ad un avvitamento a spirale dell’economia.
A tale conclusione era in effetti arrivato anche lo stesso Fmi due anni fa, in un capitolo del World Economic Outlook sulle correzioni fiscali, efficacemente intitolato “Sarà doloroso?” (“Will it hurt?”). La risposta era, sì, molto probabilmente, se non si dosa bene la cura: vi è cioè un limite di velocità nella correzione dei conti pubblici, oltrepassato il quale l’economia sbanda fuori strada.
Non si perda quindi ancora tempo in un prolungato gioco di scaricabarile: è già evidente che i creditori ufficiali non potranno che rinegoziare il loro aiuto, e non solo rispetto al tasso di interesse e la durata del sostegno, ma anche al ritmo di aggiustamento. Detto questo, è altrettanto chiaro che la Grecia non può sottrarsi a una buona dose di aggiustamento: l’elettorato può votare contro l’austerità quanto vuole, ma alla fine non potrà evitarla.
Anche se il Paese decidesse di spezzare ogni rapporto e ripudiare l’intero debito, non sarebbe infatti in grado di coprire le proprie spese interne, data la persistenza di un disavanzo primario. (Si noti, al riguardo, la differenza notevole dall’Italia, rispetto anche alla Spagna: secondo le previsioni Fmi, l’Italia registrerà già quest’anno l’avanzo primario più elevato della zona euro, fatto trascurato dai mercati e che il governo farebbe bene a ricordare più spesso). Ma la questione è se l’austerità greca debba arrivare sino a quei 5 punti e mezzo del Pil previsti nell’accordo con la troika nei prossimi due anni. Non solo è improbabile, ma non è necessario. Che la troika e i suoi padroni (che dovrebbero lasciarla un po’ più libera nei negoziati sul campo, come è tradizione nelle missioni del Fondo Monetario) ci pensi bene e presto, pena l’affondamento collettivo.
Oltre alla Grecia, va data risposta veloce e flessibile anche alla Spagna e a Cipro. In entrambi i casi è stato perso già troppo tempo prima di richiedere gli aiuti, in un malposto senso di orgoglio. Entrambi i Paesi cercano un intervento a favore delle banche (che, come più volte osservato, sarebbe bene fosse erogato direttamente).
È questo uno degli strumenti dell’Efsf-Esm, come anche i prestiti precauzionali e gli interventi sui mercati del debito pubblico (questi ultimi auspicati anche dal premier Monti), che furono aggiunti all’arsenale nel luglio 2011 – ma senza però alterare il requisito di “stretta condizionalità” richiesto per i prestiti salva-Stati tradizionali.
La logica di questi altri strumenti è però diversa, di intervento preventivo, flessibile, e veloce – e quindi non soggetto a protratti negoziati sulla condizionalità. Si mostri finalmente l’alacrità e la flessibilità sinora assenti.
Ancora una volta, con speranze però sempre più labili, il mondo chiede coraggio e immaginazione nelle decisioni dei leader europei. Se no, veramente, sarà troppo tardi per gridare al lupo, e forse già da lunedì mattina.
Alessandro Leipold, Il Sole 24 Ore