Sin dalla loro introduzione nell’ordinamento giuridico, avvenuta con la disposizione per la ricostruzione dell’Abruzzo, dei lavori Expo 2015 e per il Piano straordinario carceri, le white list hanno subìto forti ritardi nella fase attuativa e hanno visto il susseguirsi di formulazioni incomplete e inefficaci che ne hanno fortemente limitato la portata. Tra le principali criticità riscontrate, si segnala ad esempio l’eccessiva estensione dei soggetti da iscrivere
negli elenchi che la norma inserita nel decreto-legge Abruzzo prevedeva. A questo proposito, l’ANCE ha ripetutamente proposto una loro limitazione solo ai settori a maggior rischio di infiltrazione, come successivamente identificati con la direttiva Maroni del 23 giugno 2010.
Un altro limite delle liste, nella loro forma attuale, sussiste nel loro carattere facoltativo, rispetto al quale abbiamo opposto la necessità di prevedere l’obbligatorietà per i soggetti che intendono operare in quelle determinate attività economiche.
Il risultato di queste problematiche è la sostanziale inefficacia delle liste fino ad ora costituite, al punto che taluni, da un’osservazione del tutto superficiale dei dati finora disponibili, sollevano dubbi sulla loro reale validità, senza soffermarsi sulle cause effettive di tale insuccesso.
Per chi ha seguito con attenzione la genesi e l’evoluzione dello strumento si tratta, purtroppo, della cronaca di una morte annunciata. Di fronte alle difficoltà osservate, non riusciamo a individuare una chiara volontà a rendere lo strumento veramente efficace e in grado di difendere le imprese dai tentativi di infiltrazione criminale. Tutto questo ci preoccupa perché non riusciamo a promuovere un confronto franco e trasparente nel merito dei reali problemi, ma possiamo soltanto assistere al costante depotenziamento e indebolimento della misura.
Ci sfuggono, infatti, le motivazioni che portano a ripensamenti rispetto a un testo normativo, con la conseguenza di stravolgerne spesso il significato iniziale. Appare indispensabile tornare all’idea originale. È necessario che le white list siano riferite alle sole attività d’impresa particolarmente esposte al rischio di inquinamento mafioso e che l’iscrizione a tali elenchi sia condizione essenziale per l’esercizio della relativa attività. È inoltre necessario che vengano da subito previste le modalità con cui dovranno essere eseguiti i controlli periodici da parte delle prefetture. Si tratta di previsioni già contenute nell’emendamento presentato al Senato a firma del senatore Vizzini.
A tale proposito, presidente, noi abbiamo predisposto una proposta di emendamento che, se lei lo autorizza, vorremmo lasciare agli atti delle Commissioni, per rendere più chiara la volontà che abbiamo espresso nella nostra audizione. Grazie.
PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendono porre quesiti o formulare osservazioni.
RAFFAELE VOLPI. Signor presidente, intendo prima di tutto ringraziare gli auditi. Porrò una domanda brevissima e una considerazione altrettanto breve su una situazione che ho avuto modo di verificare.
Innanzitutto, immagino che Transparency International creda molto negli indicatori che utilizza, quindi oggi i suoi rappresentanti si saranno trovati a disagio nel venire in questo contesto di corrotti. Ciò detto, rispetto all’attività di lobbying vi chiedo che posizione avete. Cito un esempio molto pratico: se come parlamentare, piuttosto che come consigliere regionale, vengo contattato da un’associazione di categoria, ad esempio l’ANCE, nel momento in cui si tratta di produrre una legge regionale che riguarda il territorio, come considera questa circostanza Transparency International? E come viene valutata la possibilità dell’associazionismo di categoria di intervenire sulla formazione delle leggi?
MARIO TASSONE. A Transparency International vorrei chiedere quale tipo di affidabilità riconosce al GRECO. Lo chiedo perché qualche informazione in mio possesso si discosta da entusiasmi diffusi anche attraverso questo documento.
Inoltre, nel documento che Transparency International ha messo a disposizione delle Commissioni si parla di settori considerati più corrotti. Nel rapporto 2010 spiccano i partiti politici, il Parlamento, seguiti dai pubblici ufficiali. Anche a questo proposito, quale affidabilità riconoscete a questa informazione? Mi sembra un rapporto che si affida a luoghi comuni, anche perché non c’è dubbio che i pubblici ufficiali abbiano molto più potere rispetto al Parlamento. E cosa significa «Parlamento»? È un dato generico?
Vorrei capire chi ha responsabilità maggiore per quanto riguarda un’azione criminosa legata alla criminalità organizzata: il capo dell’ufficio tecnico o l’assessore?
Concludo rivolgendo una domanda al mio amico ingegner Bonifati. Come Commissione antimafia abbiamo avuto più volte le visite graditissime dei presidenti della Confindustria Luca di Montezemolo ed Emma Marcegaglia (molto brava perché dice agli altri quello che devono fare ma non ci ha ancora detto cosa intende fare Assindustria per tanti problemi di carattere economico), che ci hanno assicurato che c’era un gruppo interno di lavoro soprattutto prendendo lo spunto dalla vicenda Lo Bello.
Sulle white list sono d’accordo con lei, ingegner Bonifati. Le racconto, a beneficio anche colleghi della I Commissione presenti, una vicenda: la Commissione antimafia, all’antivigilia dello scoppio della vicenda P3 o P4, si recò ad audire il procuratore antimafia, l’allora prefetto Gabrielli, ora capo della protezione civile, i quali riferirono che tutto andava bene, ma dopo tre giorni scoppiò il caso. In quell’occasione non ci dissero nemmeno che c’era un problema, quindi come vedete queste liste sono un fatto molto relativo.
Quale gruppo esiste di controllo reale? Ad esempio, si fanno o non si fanno i controlli sul calcestruzzo depotenziato? I collaudi sono seri oppure si risolvono semplicemente con la cena o il pranzo con l’imprenditore o l’industriale edile, tanto per intenderci?
ORIANO GIOVANELLI. Innanzitutto voglio ringraziare gli auditi per il loro contributo e rassicurarli che come Partito democratico prendiamo molto sul serio il lavoro sia di Transparency International sia di Cittadinanzattiva, ma anche di ANCE, che frequenta maggiormente, per altri aspetti, queste sedi di interlocuzione con il mondo delle istituzioni.
Per quanto riguarda le considerazioni svolte dal rappresentante di Cittadinanzattiva, poiché anch’io attribuisco al ruolo attivo dei cittadini una valenza particolarmente considerevole per il contrasto del fenomeno corruttivo, chiedo se vi siano esperienze legislative concrete anche di altri Paesi europei che in qualche modo si possono attagliare al nostro ordinamento per rendere efficace una norma che possa essere inserita in questo provvedimento.
Per quanto riguarda le considerazioni esposte da Transparency International, intendo dire che, con riferimento ai sette punti non ancora soddisfatti dalla normativa presentata dal Governo e dalla maggioranza, molti sono presenti nei provvedimenti dell’opposizione. Vorrei sapere se questi provvedimenti sono stati esaminati, dal momento che nessuno ha fatto riferimento alle proposte di legge presentate dai gruppi di opposizione, che sono abbinate all’esame del disegno di legge approvato dal Senato.
PIERLUIGI MANTINI. Siamo sicuri che l’autorità da rafforzare debba essere solo la CiVIT e non anche l’autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, che è sostanzialmente priva di poteri? Parliamo di tutti i casi di omissione di gara o di gravi alterazioni delle gare.
Ricordo, come ho fatto in altre occasioni, che l’autorità di vigilanza ha solo poteri sanzionatori per l’omissione delle informazioni da parte delle stazioni appaltanti. Ora, è piuttosto ridicolo istituire un grande sistema di osservatori regionali, nazionali e via dicendo per poi sanzionare l’eventuale omissione di informazioni. Forse, quindi, si dovrebbe riorientare su questa authority la possibilità di intervenire in via preventiva sulle gravi omissioni o violazioni delle regole di concorrenza, di gara, che peraltro sono il principale veicolo della corruzione.
In secondo luogo, non ho sentito finora – anche, forse, per la configurazione dei soggetti auditi – sottolineare la necessità dell’abolizione di questa distinzione tutta italiana tra corruzione e concussione. Questo, invece, è un tema che a pieno titolo dovrebbe rientrare in queste misure di riforma, come sollecitato anche dall’Europa.
PRESIDENTE. Do la parola agli auditi per la replica.
QUINTILIANO VALENTI, Rappresentante di Transparency International Italia. Per rispondere alle considerazioni sulla possibilità di controllare, con i sistemi di valutazione attuali, l’intervento in fase preventiva, come si è detto, noi siamo completamente d’accordo. Anche per risolvere il problema prima richiamato, dobbiamo rifarci alla definizione di corruzione: se l’intento è quello dell’abuso del potere istituzionale per scopi privati, il discorso diventa ben chiaro; se c’è qualche altro scopo nella transazione, le cose non possono essere accettate.
Vorrei far presente all’onorevole Volpi che la lobbying negli Stati europei è un punto ancora controverso, nel senso che a Londra…
RAFFAELE VOLPI. Non ho chiesto questo. Vorrei essere preciso. Ho chiesto qual è la percezione, rispetto ai vostri parametri di giudizio, del rapporto fra un consigliere regionale e un’associazione di categoria, nel momento in cui tale associazione sollecita interessi che sono ovviamente legittimi. Vorrei capirlo, perché generalizzare il rapporto mi sembra che sia troppo facile. Dove inizia il momento in cui c’è qualcosa di diverso? Voi come potete misurarlo?
QUINTILIANO VALENTI, Rappresentante di Transparency International Italia. Si guarda all’esistenza o meno di interessi privati in queste relazioni. Se ci sono vantaggi privati nella transazione, tale transazione non è accettabile da noi.
Le volevo far presente, onorevole Volpi, però, che è una sorta di lobbying: il 40 per cento della capitalizzazione che c’è a Londra è supportato da lobbying. Un lobbying compiuto in un dato modo piuttosto che in un altro, senza questo interesse personale privato, è accettabile.
EUGENIO ZANIBONI, Rappresentante di Transparency International Italia. Vorrei aggiungere alcune brevi considerazioni, Se normalmente i parlamentari sono stati sempre espressione del territorio e le liste vengono bloccate e praticamente si perde il contatto col territorio, è normale che si creino associazioni esponenziali che si rivolgono come società civile.
D’altronde, se andate a leggere il primo capitolo della Convenzione dell’UNCAC, quello che parla della partecipazione della società civile ai processi contro la corruzione, quindi di un coinvolgimento educativo della società civile, è normale che poi noi dobbiamo trovare alcuni interlocutori.
Ringrazio anche l’onorevole Giovanelli, perché ci ha edotto sulla presenza di altre proposte di legge, dei quali non abbiamo avuto conoscenza. Noi siamo a disposizione di tutti coloro che vogliono essere coadiuvati nelle scelte per quanto riguarda l’istruzione – andiamo nelle scuole – e la formazione anche a livello più specialistico e legislativo.
Per quanto riguarda il GRECO, ci è stata posta una domanda specifica. Si tratta di organismi indipendenti creati all’interno delle convenzioni. La convenzione, una volta ratificata, non rimane nel vuoto, ma ha alcuni meccanismi di implementazione. Si creano Commissioni in cui ciascuno Stato ha un proprio componente, che visitano a rotazione gli Stati e verificano qualità e quantità dell’implementazione della convenzione oggetto d’esame in quel Paese.
Dopodiché, passa un dato periodo di tempo e viene elaborato un paper, un report, che noi abbiamo sottoposto all’attenzione delle Commissioni e che può essere un utile strumento di consultazione, su cui viene specificato rispetto ai punti previsti dalla convenzione – in questo momento l’Italia è sotto i riflettori; abbiamo ricordato che dal 3 al 7 ottobre ci sarà un’altra visita – sono stati realizzati solo determinati punti e quali restano da fare. Non c’è alcun interesse specifico a favorire uno Stato piuttosto che un altro, perché si tratta di parametri oggettivi.
Ci è stata posta anche una domanda rispetto al CPI (Corruption Perception Index), l’indice di percezione della corruzione elaborato da un’università tedesca. Esso si affina nel corso del tempo; sono tecniche affinate ormai da quindici anni. Inoltre, tiene conto soprattutto di questionari inviati a tutti i livelli, dal vertice della società fino alle classi meno abbienti, sulla percezione della corruzione nel proprio Paese.
È un indice che va affinato. Può essere criticato, ma comunque viene ritenuto attendibile. Grazie.
VINCENZO BONIFATI, Rappresentante dell’ANCE. Per rispondere alla domanda dell’onorevole Tassone, che ha chiamato direttamente in causa l’ANCE sull’aspetto di come dobbiamo porci di fronte ad alcuni problemi che ormai fanno parte delle cronache giudiziarie, quali il cemento depotenziato, l’efficacia dei collaudi, le procedure di contrasto ai sistemi di corruzione, ricordo all’onorevole che abbiamo lasciato fin dal maggio 2009 un documento in Commissione antimafia con alcuni allegati tecnici in cui abbiamo spiegato il problema del ciclo del calcestruzzo, del ciclo delle cave e di come nasce il cemento depotenziato.
Noi siamo assolutamente favorevoli all’inasprimento di questi controlli, che non riguardano la volontà dell’esecutore delle opere, perché chi controlla la fornitura del calcestruzzo è chi ha il possesso del ciclo della cava. Questo è uno dei meccanismi che abbiamo spiegato negli atti depositati presso la Commissione antimafia in un’epoca non sospetta, perché sono passati tre anni, ovvero come avviene la produzione del cemento depotenziato.
Chi ha il possesso della cava nei trenta chilometri di raggio intorno alla cava stessa detiene il controllo assoluto della fornitura di tutto ciò che deriva dai materiali inerti della cava, calcestruzzo compreso, perché una betoniera non può percorrere più di un’ora con il calcestruzzo preconfezionato al suo interno, altrimenti esso si ammalora e non può essere gettato.
Il motivo di interesse della criminalità organizzata nell’accaparrarsi questa specifica attività è quello di agire proprio sul depotenziamento del calcestruzzo. Voi immaginate che un impianto di calcestruzzo produce alcune centinaia di migliaia di metri cubi l’anno: basta mettere mezzo quintale di cemento in meno per ogni metro cubo di calcestruzzo e potete rendervi conto di quali siano i numeri in gioco senza dover minacciare nessuno, se non magari il capo cantiere, anche all’insaputa dell’imprenditore o del titolare dell’azienda.
Spesso parliamo di aziende, come nel caso degli episodi accaduti per la realizzazione della Salerno-Reggio Calabria, quotate in Borsa, strutturate, di grandi dimensioni, dove diventa sostanzialmente impossibile il controllo delle singole forniture, a meno che non vengano messi in piedi meccanismi di controllo a monte.
Il cemento depotenziato è sofisticato, non solo perché è difficile controllarlo, ma anche perché spesso con le betoniere vengono portati anche i cubetti – così si chiamano i misuratori per la prova di schiacciamento del calcestruzzo – col dosaggio giusto. In tale ambito si innesca anche un altro meccanismo di intimidazione nei confronti del personale di cantiere, che per paura, per le intimidazioni subite, non lo comunicano nemmeno ai propri superiori. Negli atti dei collaudi vengono allegate le prove di schiacciamento sui cubetti di calcestruzzo di quella relativa fornitura che sono assolutamente regolari. Sono, però, i cubetti a essere a norma del calcestruzzo richiesto, non il calcestruzzo che viene gettato, non solo nel dosaggio, ma anche nella qualità.
VITTORINO FERLA, Rappresentante di Cittadinanzattiva. Svolgo solo alcuni flash. Concordo con quanto affermava l’onorevole Mantini rispetto all’aumento dei poteri delle Autorità di vigilanza sui contratti di lavori pubblici.
Rispetto alle indicazioni dell’onorevole Giovanelli, noi non abbiamo tracciato una mappatura della normativa a livello internazionale sul tema «cittadini e trasparenza», ma certamente possiamo presentare due o tre esempi.
La questione del diritto di accesso è sicuramente molto più ampia negli altri Paesi, con la disponibilità di informazione per i cittadini in generale e non soltanto per coloro direttamente interessati al provvedimento. Per esempio, vige l’obbligo da parte dei ministri di rispondere in Parlamento nel caso in cui la Corte dei conti segnali sprechi particolari nell’ambito di un dato ministero. Ciò avviene, per esempio, in Gran Bretagna.
Nei Paesi anglosassoni vige invece la trasparenza totale dei reclami nell’ambito degli ospedali pubblici. Essa ovviamente in prima battuta riguarda i servizi, ma sappiamo bene che presenta inevitabilmente ricadute rispetto ai costi di tali servizi, dunque degli appalti e dei processi che stanno alla base di questi temi.
Si tratta in generale di rimettere a sistema alcune norme. Penso, per esempio, al comma 461 della legge finanziaria per il 2008 relativo alla valutazione delle amministrazioni pubbliche, o ancora alla confisca e all’uso sociale dei beni dei corrotti, una norma rimasta sostanzialmente inapplicata, anche perché probabilmente non si celebrano i processi.
Penso anche, per esempio, agli organismi indipendenti di valutazione. È piuttosto singolare che nella riforma Brunetta si preveda comunque un generico coinvolgimento dei cittadini, ma quando poi la CiVIT procede a definire i criteri per l’individuazione di soggetti che partecipano ai nuclei di valutazione non c’è alcun riferimento all’eventuale presenza di rappresentanti del mondo della società civile, delle organizzazioni dei cittadini, che, invece, sarebbero rilevanti nella valutazione dell’azione pubblica. Grazie.
PRESIDENTE. Dichiaro conclusa l’audizione e sospendo la seduta per cinque minuti.