Audizione del professor Francesco Palazzo, ordinario di diritto penale presso l’Università degli studi di Firenze

 

Inoltre, si tratta di una fattispecie nota negli ordinamenti europei, per esempio di Spagna e Germania, anche se in Spagna non gode da parte di alcuni di un’ottima stampa, perché si sostiene che abbia un contenuto offensivo estremamente evanescente. Certamente il contenuto offensivo di una fattispecie di corruzione per la funzione è più evanescente delle attuali nostre fattispecie vigenti, ma si potrebbe anche osservare che esiste pur sempre, in primo luogo, quel valore, di cui parlavo all’inizio, della dignità e dell’onore dell’esercizio delle funzioni, che è indubbiamente pregiudicato in forma, a mio avviso, estremamente grave da chi non si limita a vendere l’atto, ma vende addirittura l’intera funzione.

In secondo luogo, è vero che il pericolo di una violazione, di una lesione del buon andamento dell’imparzialità è particolarmente remoto, ma è anche vero che è estremamente vasto, perché rivela la potenzialità e la disponibilità del pubblico ufficiale ad agire su tutto il versante delle sue competenze.

Esprimo, dunque, parere favorevole sull’introduzione del reato di corruzione per la funzione, ma osservo anche che tale fattispecie presenta un problema, quello del trattamento sanzionatorio. Non può essere un trattamento sanzionatorio particolarmente elevato proprio per la tenuità del suo disvalore. Dovremmo, quindi, seguire la strada di Spagna e Germania nel prevedere questa fattispecie, se la si volesse introdurre, come fattispecie autonoma e non calata dentro la tradizionale fattispecie di corruzione per atto.

Il secondo punto riguarda la ristrutturazione delle fattispecie esistenti. Si coglie in molti dei progetti di legge una tendenza evidente alla costruzione di quella che in gergo si chiama la macrofattispecie della corruzione. Far refluire tutte le fattispecie proprie e improprie, antecedenti e susseguenti che noi oggi conosciamo in un’unica macrofattispecie, ovviamente con un’unica pena edittale.

Tale tendenza risponde certamente a un’idea non peregrina, tanto che noi conosciamo in Europa due tecniche di previsione della corruzione per atto: la tecnica sintetica unitaria della Francia, ispirata a maggiore pragmatismo, come da tradizione, e la tecnica analitico-pluralistica delle diverse fattispecie di Germania e Spagna.

Per noi italiani, che abbiamo sempre seguito questa seconda tendenza, anche perché siamo più vicini alla tradizione culturale tedesca in termini di diritto penale, la macrofattispecie costituirebbe una svolta certamente dirompente, che potrebbe dar luogo ad alcune perplessità, se la si sospettasse motivata da quelle non particolarmente nobili ragioni che ho asserito essere quelle probatorie.

Comunque sia, è opportuno tenere presente che, anche se si addivenisse all’idea della macrofattispecie, ciò comporterebbe necessariamente una conseguente dilatazione della discrezionalità commisurativa del giudice, perché in definitiva toccherebbe poi al giudice muoversi nella macrofattispecie e individuare il disvalore concreto del fatto sub iudice. Si verificherebbe fatalmente un incremento della discrezionalità giudiziale. In ogni caso sarebbe raccomandabile che, anche se si addivenisse all’idea della macrofattispecie corruttiva, la corruzione per la funzione di cui ho parlato prima ne restasse fuori.

Molti progetti di legge introducono norme premiali per il cosiddetto collaboratore processuale o, più francamente, per il delatore. A mio avviso – consentitemi di non motivare analiticamente il mio parere per esigenze di tempo – sarebbe comunque più plausibile la previsione di una circostanza attenuante premiale che non di una causa di non punibilità.

Mi permetterei di osservare, a questo proposito, che forse in Italia sarebbero maturi i tempi per introdurre una generale circostanza di collaborazione processuale, vale a dire una circostanza comune per tutti i reati. Essa darebbe una maggiore legittimazione a norme premiali che non incontrano sempre il favore né dell’opinione pubblica, né degli studiosi.

Credo di non essere uomo sospetto, avendo io difeso l’Italia in sede internazionale, quando furono introdotte le prime norme di collaborazione processuale per il pentitismo dei terroristi e ritengo, perciò, di poter affermare che l’idea di prevedere una norma premiale di collaborazione in una materia come la corruzione presenta, oltre alle tradizionali obiezioni che sono state a suo tempo, circa 20-30 anni fa, rivolte a tutte le norme premiali, anche alcune perplessità ulteriori.

Un conto sono il terrorismo e la mafia, realtà diverse dallo Stato e contro lo Stato, un altro la corruzione che alligna negli apparati pubblici interni allo Stato. Il fatto che lo Stato non abbia i mezzi per intervenire dall’interno e sia costretto a operare e a servirsi della delazione potrebbe forse destare perplessità.

Per quanto riguarda gli interventi di tipo sanzionatorio, il terzo e penultimo punto, è difficile esprimere un’opinione, per una ragione ben nota: i quadri edittali delle nostre pene in Italia e la previsione da parte del legislatore di tali quadri edittali sono inficiati dal tema della prescrizione, un fattore di inquinamento che può costringere all’elevazione dei limiti di tali quadri edittali a limiti che ci portano a essere anomali in Europa.

Io non so se sia troppo audace pensare a un intervento che operi più che sulle pene edittali, il che ci porterebbe a violare il principio di proporzione, che l’Europa ha oggi a livello sostanzialmente costituzionale, direttamente sulle prescrizioni, come forse raccomanda la Convenzione ONU di Merida.

Per quanto riguarda le pene accessorie, mi pare positiva la previsione dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici per tutte le figure corruttive, il che, però, non esime, a mio giudizio, dall’onere di rivedere la disciplina dell’incandidabilità alle funzioni di parlamentare, di consigliere regionale e di consigliere comunale. Non sono un amministrativista, ma mi sembra che la disciplina dell’incandidabilità sia piuttosto confusa e soprattutto ricca di disordine e di disparità di trattamento.

Il quarto e ultimo punto riguarda le fattispecie che ho definito contigue. In merito il parere a intervenire è incondizionatamente e vivamente favorevole. Le fattispecie contigue vanno dal falso in bilancio ai reati tributari, sui quali è stato compiuto un intervento recente, non saprei valutare in questo momento quanto incidente allo scopo, fino alla corruzione privata e all’abuso di ufficio.

A mio giudizio, le due fattispecie forse più utili potrebbero essere proprio la corruzione privata e l’abuso d’ufficio. Esse rispecchiano i due fenomeni che costituiscono le forme di manifestazioni più recenti, più nuove e più temibili della corruzione.

La corruzione privata sarebbe una fattispecie da introdurre ex novo, certamente con il requisito del danno per l’impresa, altrimenti si rischierebbe di violare l’autonomia.

L’abuso d’ufficio è un tema, me ne rendo conto, delicatissimo e forse è un po’ espressione di una mia ingenuità. È notorio, però, che molte corruzioni non riescono a essere approvate, pur essendo sostanzialmente tali, e che rimane visibile e, quindi, accertabile processualmente un abuso di ufficio. L’abuso di ufficio oggi è, però, difficilmente perseguibile per le ragioni assai note, tra le quali, non ultima, quella di una difficoltà di arrivare a giudizio e a sentenza definitiva per un reato che prevede una pena sostanzialmente bassa.

Ringrazio il presidente e le Commissioni per l’attenzione.

PRESIDENTE. Ringrazio ancora a nome di entrambe le Commissioni il professor Palazzo per la chiarezza e gli auguro buon lavoro. Dichiaro conclusa l’audizione.


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