Audizione del professor Francesco Merloni, ordinario di diritto amministrativo presso l’Università di Perugia, del professor Bernardo Giorgio Mattarella, ordinario di diritto amministrativo presso l’Università di Siena, del professor Luciano Vandelli, ord

 

Concludo con due considerazioni. Ci sono alcuni reati di contorno che andrebbero valorizzati, ad esempio la falsa fatturazione perché si crea il «nero» che è la premessa della corruzione. Il falso in bilancio è un nervo scoperto. L’attuale disciplina del falso in bilancio è ridicola. Nessuno viene più condannato per falso in bilancio. Questa potrebbe essere un’occasione, perché si tratta di un reato attraverso il quale si creano possibilità per fenomeni corruttivi. Anche inquadrare questi problemi in un eventuale intervento coordinato di materie di tipo penale per la lotta alla corruzione mi sembra importante.

Vorrei terminare con una provocazione, forse un’eresia. Ricordo che tanti anni fa esisteva un reato che è stato molto criticato, tanto che il Parlamento l’ha abrogato. Mi riferisco al diritto di interesse privato in atti d’ufficio. Si diceva che fosse un reato elastico, un reato pericoloso per i pubblici amministratori. Sono stato un pubblico amministratore per dieci anni e l’interesse privato in atti d’ufficio mi terrorizzava.

Questo reato prevedeva una sanzione abbastanza elevata e consentiva le intercettazioni. La magistratura penale molte volte contestava l’interesse privato, il che era facile a farsi, e iniziava a indagare nella ricerca della corruzione.

Non suggerisco di tornare a un sistema del genere, che in astratto è barbaro, ma di trovare meccanismi per far riemergere la questione. L’interesse privato è stato abrogato ed è stato sostituito dall’abuso di atto d’ufficio. Dopodiché il Parlamento con voto unanime ha praticamente abrogato tale reato. Oggi più nessuno è condannato per abuso di atto d’ufficio; occorrono il dolo intenzionale e la violazione di legge.

Forse si potrebbe ripensare la questione, tornando indietro. Mi rendo conto che pronuncio un’eresia perché magari ci si trova su un terreno garantistico, ma, nel momento in cui il fenomeno corruttela diventa così inquinante per la vita pubblica, abbandonare alcuni livelli, alcune tacche di garanzia per rendere più incisiva la prevenzione, con la paura, potrebbe anche essere utile.

Quest’ultima è una mera provocazione, mentre le altre considerazioni che ho svolto non intendono esserlo.

PRESIDENTE. Do la parola ai deputati che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

GUIDO MELIS. Nel ringraziare gli auditi, volevo porre una domanda che pesca un po’ fuori dal disegno di legge.

In particolare, nella proposta di legge Giovanelli ed altri ci sono tre temi che volevo sollevare e che non sono stati toccati, anche se uno è stato sfiorato dal professor Mattarella. Mi riferisco allo spoil system. Vorrei sapere se voi ritenete che in materia di spoil system la revisione di questo sistema di governo della dirigenza, in particolare amministrativa, non dovrebbe essere affrontato più di petto dentro un provvedimento contro la corruzione.

Il secondo tema, che ha molto a che fare con lo spoil system e che noi affrontiamo nella proposta di legge Giovanelli, riguarda i capi di gabinetto. Uno dei fenomeni è dato dalle carriere che si formano per i cosiddetti gabinettisti, per cui ci sono magistrati, prevalentemente del Consiglio di Stato, ma anche di altre magistrature, che passano da un incarico all’altro, rimanendo estranei ai propri mondi di appartenenza, ma al tempo stesso costituendo un legame con quei mondi e rappresentando un tramite tra politica e attività che dovrebbero essere terze, funzioni giurisdizionali che dovrebbero essere terze. Nella nostra proposta di legge prevediamo un limite alla possibilità di essere capi di gabinetto o di stare nei gabinetti per la magistratura amministrativa e ordinaria. Mi piacerebbe sentire se qualcuno di loro può rispondere a questa sollecitazione.

Il terzo tema è rappresentato dagli arbitrati, un altro grande fenomeno nel quale, secondo me, alligna, se non altro, la possibilità della corruzione. Anche in tale ambito non sarebbe il caso di introdurre paletti molto seri, soprattutto per chi sta nelle magistrature? Grazie.

PIERLUIGI MANTINI. La mia domanda è se si ritiene utile l’istituzione di codici etici nella pubblica amministrazione, fermi restando tutti i limiti che essi presentano anche nella tradizione statunitense? Si tratta di uno strumento che non è stato molto usato nella nostra pubblica amministrazione e a cui collegare anche un potere disciplinare.

Che cosa pensate poi delle white list? Questo meccanismo, che è molto praticato in punti vivi dell’esperienza recente – non a caso sono state citate la ricostruzione in Abruzzo, Expo e l’emergenza carceraria – rischia di essere ritenuto una soluzione efficace, tanto che l’articolo 5, come ci informa l’ANCE, andrebbe rafforzato e che le white list dovrebbero essere obbligatorie.

Io nutro un dubbio, però, nel senso che mi spaventa la parola white. Noi abbiamo di fatto una certificazione antimafia rafforzata, alcuni controlli in più, rischi di lesione del principio di concorrenza, perché non ci si può rivolgere al mercato secondo le regole europee di trasparenza e di gare, ma solo a coloro che sono iscritti nell’elenco, ma non è garantito da alcuna parte che chi è iscritto in quell’elenco sia veramente white. Anche oggi c’è una difficoltà a contrattare per chi avesse carichi pendenti o situazioni non trasparenti. Si rischia con questo strumento di santificare una sorta di lista chiusa, un rimedio che in effetti tale non è e, nonostante questo strumento sia piuttosto di moda, le mie perplessità restano e volevo conoscere il vostro parere.

La considerazione finale è che voi – mi riferisco soprattutto ai professori e ai colleghi di diritto amministrativo per la loro formazione – parlate di un’amministrazione che è figlia della legge n. 241 del 1990, della separazione tra politica e gestione, in cui lo spoil system è un po’ eccezionale, in cui l’accesso agli atti diventa un diritto civico e non a caso, come giustamente propone il professor Vandelli.

È tutto molto giusto, però quella pubblica amministrazione è molto a rischio, e lo sappiamo, per politiche di segno diverso, spoil system compreso, ma non solo per politiche di una parte di Governo. È molto a rischio nella nostra società, tanto che i fenomeni corruttivi si annidano nei meccanismi discrezionali delle pubbliche amministrazioni.

Ritorno sul tema di maggiori misure e severità sulle gare che non si bandiscono e che vengono occultate, nonché sul principio di concorrenza sulle grandi scelte. La riqualificazione delle grandi aree non può dipendere dalla rendita di posizione; dovrebbero esserci meccanismi che prevedano sempre una richiesta minima pubblica, un progetto di fattibilità pubblico, e poi meccanismi di gara e di confronto concorrenziale.

È il caso di Sesto, per capirci, ma tutta l’Italia è attraversata da misure di riqualificazione di aree dismesse. Quelle scelte non possono rimanere criptiche, mentre magari cerchiamo di incutere il regime di terrore, reintroducendo l’interesse privato in atto d’ufficio o il mercimonio della funzione, che esiste in altri Paesi. Per carità, si potrebbe fare.

Mi rivolgo al professor Grosso: il caso Verdini, la richiesta di autorizzazione delle intercettazioni, su cui io ho votato sì, riguarda un’imputazione di tentato abuso d’ufficio. Mi pare che il professor Grosso abbia fatto un sorriso, ma è la storia della nostra Repubblica, la nostra storia. Cerchiamo di misurare il vecchio problema del dito e della luna: non vorrei che si creasse una sorta di Stato di terrore, dimenticandoci, invece, i pochi ambiti su cui si potrebbe incidere.

ROBERTO ZACCARIA. I ringraziamenti sono di rito, ma sono sentiti, perché i vostri contributi ci hanno segnalato problemi importanti. Sono emerse diverse questioni. Io non sono un penalista, ma parto da questo discorso, che è stato introdotto dal professor Mattarella e poi sviluppato dal professor Grosso.

Ieri abbiamo sentito il professor Palazzo, il quale si era esercitato per cercare di portare una razionalità in questa materia. Il problema è che esso non si risolve con le norme penali e che comunque le norme penali che ci sono, se le analizziamo, per un motivo o per l’altro, non riescono bene a essere applicate. Il professor Grosso oggi ha parlato della prescrizione, di alcune fattispecie di reato, non solo dell’interesse privato ma anche dell’abuso d’ufficio. Proprio sull’abuso ufficio ieri il professor Palazzo ci riferiva che alcune fattispecie penali, se potessero avere maggiore incisività, potrebbero essere uno strumento finale per reprimere alcuni comportamenti, mentre in realtà sono norme scritte sulla sabbia, sono poco utilizzabili. Capisco il problema di non inasprire le pene, ma se poi, per alcuni motivi, tutto il sistema penale specifico non riesce bene a essere attivato, anche quello si pone come elemento di preoccupazione.

Peraltro, il professor Palazzo ha fatto anche un riferimento alla Costituzione, parlando dell’articolo 54 sulla disciplina e l’onore, concetti che non possono restare soltanto come ammonimenti morali, ma che devono avere una strumentazione che li renda effettivi. Con riferimento agli strumenti premiali si era parlato della possibilità di costruire una circostanza attenuante di carattere generale che potesse lavorare anche in queste situazioni.

Un’altra questione che apprezzo riguarda i conflitti di interesse che coinvolgono i politici. Sfondiamo una porta aperta per alcuni di noi, nel momento in cui manca la norma madre. Nella scorsa legislatura la Commissione affari costituzionali aveva costruito, qualcuno può sostenere tardivamente, un sistema di conflitti di interesse molto ampio e significativo, che poi avrebbe portato ad affrontare e a rivisitare le norme su ineleggibilità, incompatibilità e incandidabilità. Abbiamo materiale vecchio, ma anche questa è una notazione importante.

Anche in relazione agli strumenti che vengono adombrati, come la CiVIT, noi siamo pieni di autorità indipendenti; in I Commissione stiamo svolgendo anche un’indagine conoscitiva per cercare di capire se si debba porre un po’ di ordine in questa materia, perché non c’è provvedimento legislativo che non veda in queste Autorità la salvezza generale. Non ci si pone il problema neanche dell’indipendenza effettiva. Siamo di nuovo messi male, se affidiamo tutto a organismi che poi non godono dell’indipendenza necessaria.

Oggi è stato audito anche il presidente della Corte dei conti. Anche la Corte dei conti riveste certamente un ruolo importante, però a volte un problema di indipendenza si pone anche al suo interno, non è una questione secondaria.

Il professor Vandelli sostiene che va bene che il provvedimento sia considerato il primo passo e che ci possiamo anche ragionare. Il problema è, però, che, se il primo passo non va nella direzione giusta, ma è un po’ ondeggiante, è come quando si deve prendere un bivio. All’inizio due strade di un bivio sono vicine, però, se si cammina su una strada che può essere insufficiente, anche il primo passo potrebbe andare in una direzione sbagliata.

DONATELLA FERRANTI. Vorrei porre alcune domande solo al professor Grosso, anche perché altri argomenti sono stati trattati dai colleghi che mi hanno preceduto, ringraziando comunque tutti per essere venuti e per averci dato spunti interessanti di riflessione.

Come premessa credo di aver compreso da tutti gli interventi come sicuramente, anche se alcuni in parte affermano che si va nella direzione giusta, questo provvedimento, se non adeguatamente rimpinguato, modificato e rettificato, sia forse un’occasione mancata. Se non viene perfezionato con una convergenza di emendamenti che verranno discussi e, ci auguriamo, accettati anche dalla maggioranza, si rimane in un inizio di azione che può essere molto poco efficace.

Professor Grosso, lei ha avuto la possibilità, insieme alle altre, di valutare anche la nostra proposta, la C. 3850, che si pone nell’ottica penalistica, ossia di quella parte che manca al disegno governativo e che, secondo noi, anche se sicuramente non è la prima parte di azione di uno Stato, è comunque una parte essenziale.

Nel ringraziarla degli spunti di riflessione che ci ha offerto, volevo sapere con maggiore precisione se lei ritiene utile o no dal punto vista sistematico superare la distinzione, cui ha accennato, attualmente esistente tra corruzione in atto di ufficio o per attività contrarie all’ufficio e quella tra corruzione e concussione? Ieri sotto questo profilo il professor Palazzo ci ha rappresentato una «pericolosità» di lasciare troppo poi alla discrezionalità del giudice nell’accertamento, in una macroconfigurazione della corruzione che assorba le figure che esistono attualmente e che noi abbiamo sintetizzato nel nuovo articolo 319 del codice penale, l’articolo 1 della nostra proposta. C’era una perplessità ieri da parte del professor Palazzo, anche se riconosceva che ciò avrebbe consentito, sotto il profilo proprio delle indagini, di avere un’agilità o comunque una maggior speditezza proprio nelle fasi di accertamento.

Volevo poi avere una sua opinione su quella che noi abbiamo configurato come riparazione pecuniaria, cioè sull’imporre comunque un rientro di somme pari all’ammontare di quanto indebitamente ricevuto a prescindere dal risarcimento dei danni che possa essere incamerato dall’amministrazione lesa nel suo prestigio.

Quali potrebbero essere a suo avviso le misure per rendere più efficace la deterrenza delle forme di corruzione, con riferimento non soltanto all’applicazione della pena e, quindi, al limite di pena edittale aumentato nel minimo o nel massimo, ma anche alle misure interdittive e alle misure cautelari reali? Lei ha accennato alla forma del pentitismo e all’introdurre meccanismi, come è avvenuto per il terrorismo ed esiste per la mafia. Noi nella nostra proposta ci siamo limitati a prevedere una circostanza del genere speciale e attenuante che riduce di molto la pena per chi dà concreti aiuti alla raccolta di elementi decisivi. Ovviamente è diversa la forma del prevedere un’ipotesi di non punibilità, che crea molti problemi in questo ambito, gli stessi che ci sono sicuramente con riguardo al terrorismo e alla mafia. In quest’ambito francamente ci destano alcune perplessità in più.

Aggiungo un’ulteriore domanda, che potrebbe essere rivolta anche agli altri professori, nel caso in cui lo ritenessero opportuno. Mi colpisce nel disegno governativo la parte in cui si cerca di dare protezione a colui che all’interno dell’amministrazione si fa coraggio e denuncia il fenomeno. Mi sembra – ma vorrei un suggerimento in più – che, sebbene nel disegno governativo sia prevista una protezione, questa sia un po’ generica e non efficace e vorrei capire se ci possono essere strumenti più idonei per far sì che ci sia una sollecitazione concreta al rispetto delle regole e un’effettiva situazione di protezione per il dipendente. Grazie.

PRESIDENTE. Do la parola agli auditi per la replica.

CARLO FEDERICO GROSSO, Professore ordinario di diritto penale presso l’Università di Torino. Ringrazio l’onorevole Ferranti per le sue domande. Effettivamente ero stato generico su questi aspetti perché non avevo capito che avrei potuto anche affrontare il tema relativo alle proposte di legge che sono abbinati al disegno di legge approvato dal Senato.

Svolgo una premessa in riferimento al dominio del terrore. Forse il diritto penale è il dominio del terrore e la sostanza è la sua assenza, soprattutto con riferimento ai reati di una data gravità. In questa prospettiva io pensavo a un incremento dei minimi edittali, perché l’azione penale diventasse, dato che la corruzione è un fenomeno, a mio avviso, molto grave, uno strumento penale con valore incisivo.

Io sono, in linea di principio, favorevole alla sostituzione delle pene detentive con pene alternative, salvo per i fenomeni che si ritengono di primaria importanza sul terreno criminale, in quanto aggrediscono beni fondamentali. Ho l’impressione che la corruzione appartenga a questo ambito.

Quanto all’interesse privato, lanciavo una provocazione, evidentemente per attirare l’attenzione sul fenomeno. È stato ricordato dall’onorevole Zaccaria che ieri il mio collega professor Palazzo aveva giustamente indicato la mancanza ormai di una norma di chiusura, come c’era una volta. Una volta esisteva l’interesse privato in atti d’ufficio e addirittura l’abuso innominato. Pur con tanti disguidi e con tante difficoltà per gli amministratori, funzionavano come valvola di sicurezza per tutto ciò che non rientrava nei fenomeni più gravi, ma oggi tutto ciò non c’è più, queste fattispecie sono state abrogate nella sostanza e c’è un vuoto. Bisogna verificare come colmare questo vuoto senza dare troppo spazio alla discrezionalità giudiziale a danno degli amministratori. Forse è un problema irrisolvibile, però vale la pena di ripensarci.

Passo alle domande puntuali. Sui punti specifici del vostro progetto, onorevole Ferranti, come ho affermato, io sono assolutamente favorevole all’abrogazione della concussione e alla dicotomia del fenomeno in estorsione qualificata dalla qualità di pubblico ufficiale e assolvimento della concussione per induzione nella corruzione. È una semplificazione molto rilevante.

Anch’io nutro notevoli perplessità sulla creazione di una fattispecie unica di corruzione che coinvolga sia la corruzione in atti d’ufficio, sia quella con riferimento ad atti contrari ad atti d’ufficio, sia l’eventuale corruzione con riferimento alla funzione esercitata, la nuova fattispecie amplificata che si tende a introdurre anche sul piano della codificazione, oltre che su quello giurisprudenziale. Ho paura che si deleghi alla magistratura una scelta eccessiva sulla selezione della pena. Preferirei la tipizzazione con pene più definite e con la magistratura più vincolata alle scelte del Parlamento, perché tutte le volte che il Parlamento abdica a favore della magistratura nelle scelte politiche il fenomeno mi preoccupa, perché si intorbidiscono i rapporti fra poteri dello Stato. Su questo punto avrei alcune perplessità.

Per quanto concerne la norma sulla riparazione pecuniaria sono d’accordo, mi sembrerebbe un incentivo molto forte, un’ulteriore modalità di contrasto.

Per quanto riguarda l’aspetto della premialità, tutto sommato, se si imbocca questa strada, io sarei ancora più coraggioso e arriverei, selezionando e studiando i casi, anche a riconoscere forme di non punibilità e non soltanto forme di circostanze attenuanti generali, seguendo il modello che il Parlamento ha già adottato a partire dalla normativa sul terrorismo, quando si è affrontato il problema con riferimento a quel fenomeno, vedendo che cosa capita quando il modello dovesse essere sperimentato.

Per quanto riguarda le sanzioni ulteriori rispetto a quella detentiva, sono favorevole. Si introducono ulteriori elementi di terrorismo, ma ho l’impressione che «a mali estremi, estremi rimedi». Forse è un giudizio falsato da pregiudizi, però imboccherei la strada con attenzione. Voi siete più bravi di me e avete un’esperienza molto più specifica per valutare come operare in questo settore, però l’idea tutto sommato la condivido, come sanzione non sostitutiva, ma aggiuntiva, data la gravità del fenomeno nel momento in cui lo si vuole combattere anche sul piano della prevenzione.

Sulla protezione del funzionario, non credo che sia un problema. Oggettivamente i funzionari possono essere intimiditi e avere paura. È possibile che questa normativa sia effettivamente inadeguata sul piano della tutela, però non abbandonerei il principio. Cercherei, invece, di rafforzare la tutela sul piano dell’incisività.

Come ultima battuta, prima si faceva cenno al fenomeno dell’arbitrato. È un discorso particolare. Ricordo che quando sono stato vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura abbiamo affrontato di petto il problema con riferimento alla magistratura ordinaria e abbiamo vietato che i magistrati ordinari facessero arbitrati. Allora erano ammessi a fare gli arbitrati i componenti della Corte di appello di Roma, un’assoluta stravaganza per la magistratura ordinaria, che noi abbiamo vietato. Auspicavamo che fosse vietata anche per i consiglieri di Stato, perché si tratta di una forma di corruzione implicita. È evidente, è una follia che i magistrati siano distolti dal loro lavoro per svolgere un’attività di giustizia privata lautamente pagata.

È un aspetto molto particolare, ma ha attirato la mia attenzione, perché tanti anni fa ci avevo ragionato a lungo e contiene tanti aspetti specifici su cui occorre ragionare. Io credo che il divieto sia assolutamente essenziale.

FRANCESCO MERLONI, Professore ordinario di diritto amministrativo presso l’Università di Perugia. Svolgo un flash sulla questione, su cui non sono stato direttamente interpellato, delle misure premiali e sul tema dell’interdizione. Il tema dell’interdizione va visto anche sotto il profilo dell’affidamento dell’imparzialità del funzionario.

Quando il funzionario ha dichiarato di aver commesso una corruzione, pur con tutta la premialità che si vuole, non può rientrare nella pubblica amministrazione, non può essere più funzionario. Su questo punto l’interdizione va mantenuta come pena autonoma, commisurata alla gravità soprattutto dell’attacco che tale funzionario fa all’apparire imparziale. Questo mi sembra fondamentale.

CARLO FEDERICO GROSSO, Professore ordinario di diritto penale presso l’Università di Torino. Scusi se la interrompo. Una volta la sospensione condizionale della pena non si estendeva alla pena accessoria.

FRANCESCO MERLONI, Professore ordinario di diritto amministrativo presso l’Università di Perugia. Esattamente. Sotto il profilo della garanzia dell’imparzialità non solo nell’essere, ma nell’apparire imparziale la premialità deve essere comunque disgiunta dall’interdizione, che deve invece essere proporzionata alla gravità del comportamento e quindi all’incidenza dell’imparzialità sul mancato affidamento.

Sul tema dello spoil system mi limito a dire che di per sé non è corruzione. Il problema è come limitarlo e delimitarlo preventivamente. La Corte costituzionale già ci dice molte cose abbastanza precise, e forse una legge dovrebbe adottare in via definitiva il criterio per cui, come affermava il professor Vandelli, chi è chiamato ad assumere provvedimenti amministrativi non può essere soggetto a spoil system. Esso ha uno spazio nelle pubbliche amministrazioni, ma deve essere predeterminato dalla legge. I provvedimenti organizzativi di un ministero, ad esempio, dovrebbero quindi stabilire quali siano gli spazi di spoil system.

Detto questo, coloro che saranno nominati sulla base di un criterio fiduciario – che è giusto che ci sia seppure entro certi limiti – saranno scelti da un lato con criteri basati sulla fiduciarietà (di un direttore generale o di dipartimento o del segretario generale di un ministero ci si deve poter fidare), ma dall’altro con criteri di professionalità che permettano di delimitare le scelte. In procedimenti come quelli adottati dal Comune di Bologna la fiduciarietà è fatta precedere da forme selettive basate su requisiti di tipo professionale e di competenza.

Mi sembra, per esempio, che la legge potrebbe introdurre questo come principio generale valido per tutte le pubbliche amministrazioni.

BERNARDO GIORGIO MATTARELLA, Professore ordinario di diritto amministrativo presso l’Università di Siena. Rispondo molto rapidamente alle domande dell’onorevole Melis, con cui concordo su tutto. Per quanto riguarda lo spoil system, sono assolutamente d’accordo anche con quanto diceva il professor Merloni e aggiungerei che non si tratta solo di «fare pulizia» tra le norme di spoil system, come la Corte costituzionale ha cominciato a fare, ma forse un buon passo sarebbe eliminare del tutto le norme che consentono incarichi dirigenziali a soggetti esterni. Bisogna prendere atto che non hanno funzionato bene.

Concordo sulla disciplina dei capi di gabinetto; sarei contrario invece a vietare del tutto ai magistrati amministrativi di assumere cariche negli uffici di staff, ma sono favorevole a limitarle. Sono anche d’accordo sugli arbitrati di cui ha parlato il professor Grosso.

Rispetto alle domande poste dall’onorevole Mantini, convengo sull’utilità di ampliare il ricorso a codici etici, ma si tratta di una materia nella quale le amministrazioni pubbliche hanno bisogno di essere stimolate. Lo fanno se devono. Una dimostrazione è data dai codici etici delle università: fino a pochi mesi fa ne erano stati adottati due o tre, adesso che sono obbligatori per legge tutte le università stanno provvedendo, a volte con risultati interessanti. Una norma forse servirebbe.

Sulla questione della white list non sono un esperto, ma condivido le preoccupazioni dell’onorevole Mantini. Mi rendo conto che sono provvedimenti necessari, ma sono anche estremamente discrezionali e di fatto non sindacati dai giudici. Anche qui una disciplina legislativa analitica potrebbe essere d’ausilio.

Per quanto riguarda le domande dell’onorevole Zaccaria, risponderei solo sulla questione della CiVIT e delle autorità indipendenti. Io non sono convinto che sia proprio necessaria un’autorità indipendente in materia di corruzione. Credo che le norme internazionali che ce lo impongono siano fatte su misura per ordinamenti che non hanno una magistratura indipendente come l’abbiamo noi. Però un’autorità indipendente dobbiamo crearla e soprattutto nella prospettiva della disciplina del conflitto di interessi forse è utile. Le discipline del conflitto di interessi che funzionano bene, come quelle americane e canadesi, sono infatti quelle in cui esiste un soggetto autorevole e indipendente dal potere politico che individua la soluzione del conflitto.

Infine, per quanto riguarda la norma sui whistleblower, coloro che denunciano, sono d’accordo sul fatto che potrebbe essere arricchita stabilendo non soltanto che denunciare la corruzione non è una colpa, ma che è addirittura un merito. Visto che, per esempio, abbiamo messo in piedi un sistema di valutazione dei dipendenti pubblici, perché non tenere conto di queste condotte ai fini dell’inserimento nella fascia più alta?

LUCIANO VANDELLI, Professore ordinario di diritto amministrativo presso l’Università di Bologna. Sono già stati trattati vari punti. Seguendo la Corte costituzionale, credo che una disciplina complessiva generale dello spoil system che si applichi a tutte le pubbliche amministrazioni dovrebbe prevedere una delimitazione ai massimi livelli e soltanto nei casi previsti dalla legge, requisiti precisi e predeterminati, non stabiliti nel momento in cui il titolare del potere di nomina esercita il potere, limiti rigorosi ai contratti esterni, perché molto spesso allo spoil system si mescola il fenomeno dell’attribuzione di incarico a dirigenti interni rispetto a persone arruolate appositamente al di fuori della pubblica amministrazione e da ultimo poteri e funzioni da attribuire ai funzionari soggetti a spoil system distinguendo nettamente i ruoli.

In materia di arbitrati, credo che nel nostro ordinamento ci sia un punto dolente. In sostanza si riconosce di avere una giustizia che non soddisfa la domanda al punto tale da dover anche mettere a disposizione propri dipendenti e propri magistrati per formare e favorire una via alternativa più rapida ed efficiente. Temo che un fenomeno di questo genere non sia rimediabile in un breve periodo. Ritengo quanto meno importante che, laddove ci sia la presenza di un funzionario pubblico e in particolare di un magistrato, questo non sia mai su richiesta di parti private e nemmeno di parti pubbliche, ma sia designato dagli organi di autogoverno o comunque all’esterno del collegio.

PRESIDENTE. Ringrazio gli intervenuti e dichiaro conclusa l’audizione.

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