In base a questa norma qualunque beneficio, qualunque sussidio, qualunque contributo destinato a un privato non può mai essere erogato se non preceduto da parametri e criteri di carattere generale. Nessuno potrebbe prendere qualcosa dalle pubbliche amministrazioni se esse non avessero deciso i criteri; a quel punto un dirigente, applicando gli indirizzi generali per qualunque soggetto dell’ordinamento, adotterebbe quei criteri per tutti. Questo è uno dei precetti più disattesi del nostro ordinamento, e mi pare che nessuno stia monitorando il meccanismo.
Aggiungo soltanto un commento – ci sarebbero ovviamente molte cose da dire – sul tema della trasparenza a cui è stato fatto riferimento. Userò termini molti netti, chiedo scusa per la approssimazione. Io credo che ormai, a parte il tema dell’accesso ai documenti e alle informazioni, per quanto riguarda i provvedimenti siamo in una fase nuova. L’accesso è uno strumento vecchio.
Fino al 1990 la nostra amministrazione era tutta chiusa e riservata; vigeva un principio di riservatezza. Nel 1990 irrompe l’accesso per i soggetti interessati. Oggi, secondo me, per i provvedimenti non è più l’ora di consentire soltanto ai soggetti interessati di visionare ciò che è pubblico. I provvedimenti amministrativi dovrebbero essere pubblicati sui siti delle pubbliche amministrazioni e resi accessibili a chiunque e non solo a chi deve dimostrare alla pubblica amministrazione di possedere un titolo giuridico, un diritto garantito dall’ordinamento, un interesse legittimo specifico. Poter accedere a queste informazioni deve essere un diritto civico per chiunque faccia parte dell’ordinamento.
Dedico un accenno, facendo comunque riferimento a cose già dette dai colleghi Merloni e Mattarella, a questo, ahimè, disordinatissimo spoil system. Io credo che dovremmo fare semplicemente chiarezza su un punto: possiamo avere, anche opportunamente, una fascia di posizioni fiduciarie, ma quella fascia deve corrispondere a una funzione di indirizzo, di direttiva, di orientamento, di regolazione, di programmazione. I provvedimenti puntuali appartengono alla dirigenza, a cui si accede con pubblico concorso.
Sul tema delle nomine vorrei offrire un’indicazione che serva anche come strumento. Il problema è una selezione trasparente con responsabilizzazione e ricorso a criteri certi. Per essere concreto e breve, accennerò all’esperienza del Comune di Bologna, dove gli incarichi da assegnare sono stati pubblicati sul sito del comune con invito alle persone interessate a presentare il proprio curriculum. Si trattava di 23 posizioni; sono arrivati circa 500 curricula di vario tipo, molto interessanti, anche da parte di molti giovani.
Questi curricula sono stati esaminati da un gruppo di tre persone particolarmente autorevoli, le quali – si trattava di nomine tutte quante spettanti al sindaco – hanno presentato un proprio report al sindaco, indicando per ciascuna posizione i curricula che parevano più attinenti e più idonei. Su questa base il sindaco ha proceduto alle nomine. Gli indirizzi che erano stati approvati dal Consiglio comunale lasciavano la responsabilità, com’è per legge, al sindaco, che avrebbe potuto discostarsi da queste indicazioni. Nei fatti – ed è tutto pubblicato sul sito del comune di Bologna – è risultato che 21 posizioni su 23 riflettono pienamente le indicazioni di quei saggi.
Credo che sia stata un’esperienza interessante. Il comune di Milano, a quanto mi risulta, sta mettendo in atto un procedimento molto simile. Credo che potrebbe essere un’indicazione anche per il legislatore.
CARLO FEDERICO GROSSO, Professore ordinario di diritto penale presso l’Università di Torino. Io sono un professore di diritto penale, però sono d’accordo con chi ha affermato poco fa che il diritto penale è l’estrema ratio nell’affrontare il tema della corruzione e che in prima battuta bisogna utilizzare gli strumenti amministrativi di controllo, monitoraggio e trasparenza.
Sono stato amministratore locale per tanto tempo, moltissimi anni fa, e poi consigliere regionale. Fin da allora mi sono sempre battuto perché il controllo, la programmazione e la trasparenza diventassero un valore in nome del principio che è stato testé enunciato: non ci deve essere un diritto individuale d’accesso, bensì la pubblicizzazione dei dati, in modo che l’amministrazione sia trasparente, una casa di vetro.
Questo disegno di legge mi sembra che cominci a porre alcuni dati estremamente positivi in questa direzione. Forse – e sono d’accordo con chi mi ha preceduto – è il primo passo e si potrebbe andare ancora più in là, però il mio giudizio è positivo. Ben venga l’Autorità nazionale anticorruzione, anche se la sua istituzione corrisponde a un obbligo di legge. Molto bene anche la trasparenza intesa come pubblicizzazione dei dati, in modo che chiunque possa accedere agli stessi; si tratterà poi evidentemente di verificare come questa pubblicizzazione sarà realizzata. Positivo anche quanto stabilito in alcuni degli articoli successivi, come ad esempio la tutela del funzionario che pubblicizza certe pratiche scorrette.
Bisogna andare in questa direzione. Forse il nostro Paese è un po’ in ritardo. Come diceva a ragione chi mi ha preceduto, io ricordo che prima degli anni Novanta c’era la segretezza ed era molto difficile riuscire a convincere le pubbliche amministrazioni a pubblicizzare le informazioni, anche perché probabilmente allora mancavano gli strumenti informatici idonei.
Detto questo, a me sembra che il punto più carente di questo disegno di legge sul terreno non penale riguardi il tema della incandidabilità. Io sarei molto più incisivo sia sul tema dell’incandidabilità sia sul tema della disciplina complessiva delle incompatibilità e ineleggibilità.
Ritengo che anche l’aggancio alla sentenza penale definitiva di condanna potrebbe essere superato in via cautelare. È vero che c’è la presunzione di non colpevolezza, ma se sussiste una sentenza ben motivata di primo grado sul piano della cautela si potrebbe anticipare il momento in cui valutare se consentire o meno a un soggetto privato di adire a cariche pubbliche, in considerazione di ciò che purtroppo molte volte è accaduto.
Dato che sono un penalista, vorrei soffermarmi specificamente su quello che io stesso ritengo essere forse il terreno meno interessante, ma comunque importante, dell’ intervento penale. A me sembra che su questo piano si individuino le carenze maggiori del disegno di legge. È stato giustamente sollevato il dubbio che elevare le sanzioni non serva. Anch’io sono dell’idea che le sanzioni penali non debbono necessariamente essere elevate, c’è però un punto da considerare. Il punto fondamentale è che bisognerebbe mantenere o portare a livelli adeguati soprattutto i minimi sanzionatori per evitare quel fenomeno di ampia impunità che è stato denunciato precedentemente.
Direi che le norme penali di questo disegno di legge vengono effettivamente incontro a questa esigenza poiché aumentano le sanzioni penali prestando molta attenzione a incrementare gli attuali limiti minimi. Mi sembra però che l’aumento delle sanzioni penali e dei limiti minimi non sia il discorso fondamentale. Credo che bisognerebbe cominciare davvero a pensare – e mi rimangio qui quanto ho sostenuto per anni – di utilizzare con decisione lo strumento premiale nell’ambito del contrasto alla corruzione sul terreno penale.
Ricordo che ai tempi di Tangentopoli Di Pietro, con l’ausilio di un importante professore di diritto penale, il professor Federico Stella dell’Università Cattolica, aveva elaborato un progetto di legge su cui allora ero stato estremamente critico perché ero sempre stato molto sospettoso nei confronti di un’utilizzazione massiccia del pentimento. Ci possono essere dei motivi per cui pentirsi e un individuo potrebbe collaborare non dicendo il vero. Il pentimento presenta una serie di problemi e mi pareva che in materia di corruzione questi problemi potessero essere rilevanti.
Tuttavia, di fronte all’estensione del fenomeno corruttivo, può darsi che oggi utilizzare questo strumento possa rappresentare una scommessa. Se si concedessero non soltanto diminuzioni di pena ma anche forme di non punibilità a colui che entro certi termini denuncia, collabora, fa emergere fenomeni di corruzione, può darsi che alla fine i conti tutto sommato tornino.
Ammesso che il Parlamento decidesse di imboccare questa strada, che in questo progetto di legge non è stata assolutamente considerata, e la si sperimentasse, se per certi versi gli effetti fossero negativi, si potrebbe sempre tornare indietro. Però sarebbe il caso di provare.
Quando si era sotto l’incalzare del terrorismo, la scommessa sul pentitismo ha portato risultati rapidi e immediati. La collaborazione di giustizia ha prodotto grandi risultati anche in materia di contrasto alla criminalità organizzata, anche se in quel settore, come sappiamo, ci si è trovati di fronte a difficoltà e a dover fare i conti con una serie di collaborazioni inquietanti. La magistratura ha comunque cercato di gestire questi fenomeni. Io credo che oggi come oggi, di fronte al dilagare del fenomeno, la scommessa debba essere accettata. Questa problematica dovrebbe quindi essere introdotta nel provvedimento, tentando di trovare una sua disciplina.
Forse bisognerebbe avere il coraggio di introdurre anche nuove fattispecie di reato, così da evitare e contrastare forme di corruzione indiretta. Ho osservato che in altre proposte di legge presentati da alcune forze politiche, ma non nel disegno di legge approvato dal Senato, si prevede di introdurre il reato di traffico di influenze. In effetti col traffico di influenze si potrebbero contrastare efficacemente fenomeni triangolari e trasversali di accordi corruttivi che sfuggono all’attuale disciplina. Credo che colpire tutto ciò che sfugge all’attuale disciplina sia in questo momento storico assolutamente importante.
Allo stesso modo si potrebbe pensare di estendere le incriminazioni per corruzione all’attività privata. Questa è una richiesta che molti penalisti fanno da anni. La corruzione nella gestione di impresa è un fenomeno molto pesante anche dal punto di vista economico. Anche questo aspetto, secondo me, dovrebbe essere affrontato con decisione.
Ci sono poi alcuni dettagli tecnici su cui sono un po’ perplesso, come per esempio la semplificazione. Abolire la concussione, creare un delitto di estorsione più grave se vi è violenza e ricondurre tutto alla corruzione se c’è mera induzione potrebbe essere una soluzione pratica, che eviterebbe una serie di situazioni difficili nel momento dell’accertamento processuale. Tutto sommato anche qui si potrebbe sperimentare.
Una volta si era addirittura provato a estendere la concussione, allargando il reato più grave alla cosiddetta concussione ambientale. Quella sarebbe una linea del tutto opposta perché si amplierebbe la corruzione. Sarebbe una buona cosa soprattutto se questa iniziativa fosse correlata all’introduzione del riconoscimento a chi collabora con la giustizia in modo da far emergere il fenomeno corruttivo.
C’è un ultimo punto che mi sembra importante. I tempi della giustizia sono quelli che sono. L’attuale limite prescrizionale della corruzione è estremamente risicato. Molto sovente i reati di corruzione vanno in prescrizione. Sette anni e mezzo sono obiettivamente pochi per certi fenomeni corruttivi, così come sette anni e mezzo sono quisquilie per certi reati economici. Secondo me, un’attenzione all’allungamento dei tempi della prescrizione con riferimento a questo tipo di reati sarebbe assolutamente importante.
Il diritto penale interviene sempre nel momento repressivo. È meno importante, ma il diritto penale come prevenzione agisce nella misura in cui «fa paura». Oggi ho l’impressione che le norme sui delitti contro la pubblica amministrazione siano deboli; dato lo sfaldamento dei nostri processi penali, l’allungamento dei tempi, ciò che comunque può capitare e il fatto che in ogni caso la galera rimane qualcosa di molto lontano, bisognerebbe cercare di ricostituire questa prevenzione generale. Allungare la prescrizione potrebbe essere un modo, come pure elevare i minimi edittali.