CAMERA DEI DEPUTATI – XVI LEGISLATURA
COMMISSIONI RIUNITE
I (AFFARI COSTITUZIONALI) E II (GIUSTIZIA)
Resoconto stenografico
INDAGINE CONOSCITIVA
Seduta di mercoledì 14 settembre 2011
INDAGINE CONOSCITIVA NELL’AMBITO DELL’ESAME DEI PROGETTI DI LEGGE RECANTI DISPOSIZIONI PER LA PREVENZIONE E LA REPRESSIONE DELLA CORRUZIONE E DELL’ILLEGALITÀ NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE (C. 4434 GOVERNO, APPROVATO DAL SENATO, C. 3380 DI PIETRO, C. 4382 GIOVANELLI, C. 3850 FERRANTI, C. 4516 GARAVINI E C. 4501 TORRISI)
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca, nell’ambito dell’indagine conoscitiva attinente all’esame dei progetti di legge C. 4434 Governo, approvato dal Senato, C. 3380 Di Pietro, C. 4382 Giovanelli, C. 3850 Ferranti, C. 4516 Garavini e C. 4501 Torrisi, recanti disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione, l’audizione del professor Francesco Merloni, ordinario di diritto amministrativo presso l’Università di Perugia, del professor Bernardo Giorgio Mattarella, ordinario di diritto amministrativo presso l’Università di Siena, del professor Luciano Vandelli, ordinario di diritto amministrativo presso l’Università di Bologna, e del professor Carlo Federico Grosso, ordinario di diritto penale presso l’Università di Torino.
Do la parola agli auditi, ad iniziare dal professor Francesco Merloni, ordinario di diritto amministrativo presso l’Università di Perugia.
FRANCESCO MERLONI, Professore ordinario di diritto amministrativo presso l’Università di Perugia. Grazie, presidente. Con il professor Vandelli, come credo sia noto alle Commissioni, abbiamo curato di recente un lavoro sulla corruzione amministrativa e, quindi, ci soffermeremo soprattutto sui profili di contrasto alla corruzione con strumenti interni alle pubbliche amministrazioni, strumenti di diritto amministrativo. Nel nostro lavoro ci sono anche proposte relative agli strumenti penalistici. Eventualmente avremo modo di intervenire anche su questo tema, ma ovviamente noi non siamo esperti di diritto penale e, quindi, non ci soffermeremo particolarmente su questo punto.
Mi soffermerei intanto sui profili di carattere generale del disegno di legge del Governo per sottolineare un’impressione in rapporto al lavoro che noi abbiamo svolto di valutazione e di definizione del fenomeno della corruzione, ossia quello di una sostanziale insufficienza del disegno di legge, perché la lotta alla corruzione, proprio per la sua dimensione, non può ridursi a interventi che, presi individualmente, possono anche manifestare una qualche efficacia, quando però il problema a noi appare di sistema.
Per portare un esempio su cui nel nostro libro noi insistiamo, a nostro giudizio la lotta alla corruzione dovrebbe avere un andamento di lungo periodo e toni analoghi alla lotta alla mafia. Occorre mettere in piedi alcuni strumenti di sistema che facciano capire a tutti i funzionari pubblici – eventualmente torneremo sulla nozione di funzionario pubblico – che lo Stato ha deciso realmente di non scherzare più con il fenomeno della corruzione e che per farvi fronte esiste una vasta serie di strumenti, che non si esaurisce nella repressione penale, perché ovviamente la repressione penale non può che colpire alcune emergenze del fenomeno corruttivo, mentre, come sappiamo, il fenomeno corruttivo è diffuso nel corpo stesso dell’amministrazione. Noi dobbiamo fare in modo che i funzionari sappiano, nel comportarsi in alcuni modi, di trovare o una sanzione di tipo disciplinare o una sanzione di tipo penale o addirittura la riprovazione degli appartenenti alla stessa categoria dei pubblici funzionari. Per esempio, dobbiamo lavorare sul senso etico dei pubblici funzionari.
Da questo punto di vista, le innovazioni che si introducono sono largamente insufficienti. Occorre, come ci chiedono le convenzioni internazionali, non individuare semplicemente un Piano nazionale anticorruzione o un’Autorità anticorruzione, ma dimostrare che si ha in mente una politica anticorruzione seria e di lungo periodo.
Inizialmente mi soffermerei su due profili che mi sembrano i più problematici. Il primo è rappresentato dagli aspetti finanziari. La clausola di invarianza che viene indicata a noi sembra del tutto sproporzionata rispetto al tema della corruzione. La corruzione, secondo la quantificazione della Corte dei conti, pesa per 70 miliardi di euro l’anno. Pensare di sconfiggerla a costi invariati a noi appare francamente poco credibile. Ci rendiamo conto ovviamente dei problemi della finanza pubblica, però io segnalerei un punto: è possibile immaginare, salvo un costo iniziale di attivazione di alcuni strumenti, che la politica anticorruzione si autofinanzi, vale a dire che possa essere finanziata da tutte le sanzioni disciplinari pecuniarie che possono essere irrogate a funzionari pubblici o a corruttori privati, tutte destinate poi a rafforzare la politica anticorruzione?
Da questo punto di vista la clausola di invarianza, che è si ripete un po’ stancamente, in questo caso non avrebbe giustificazione, se vogliamo dare il segnale al corpo dei potenziali corruttori che si vuole fare sul serio.
Dal punto di vista organizzativo il disegno di legge adotta una soluzione, ossia fare della CiVIT l’Autorità anticorruzione. La mia personale impressione è che essa non sia in grado di svolgere questo compito, cioè che non sia in grado di svolgere il compito di Autorità nazionale anticorruzione, non che non possa avere compiti in materia di lotta alla corruzione. In particolare, per come la CiVIT è nata ed è stata costituita, la vedrei bene come strumento che lavora sui funzionari pubblici, molto meno come uno strumento di coordinamento della lotta penale alla corruzione. Non ne ha gli strumenti.
Porto solo un esempio, con due riferimenti stranieri. Il Committee on Standards in Public Life inglese è uno strumento di grandissimo prestigio, che esprime pareri al Parlamento e alle pubbliche amministrazioni sui comportamenti corretti dei pubblici funzionari. È uno strumento che è stato considerato largamente utilizzato nella stessa concezione di quali debbano essere i comportamenti corretti nella pubblica amministrazione.
Le Commissions de déontologie francesi sono commissioni che esprimono pareri vincolanti sulle autorizzazioni ai funzionari ad assumere incarichi presso altri soggetti, soprattutto privati. Il problema ovviamente è il conflitto potenziale di interessi tra lo svolgimento di una funzione pubblica e la presa d’interessi privati.
La CiVIT potrebbe essere uno strumento analogo alla Commission de déontologie e curare e rendere omogeneo il comportamento delle pubbliche amministrazioni nel concedere le autorizzazioni relative agli incarichi esterni. La CiVIT può essere valorizzata limitatamente come Autorità anticorruzione. Io penso che non ci sia un’alternativa a una vera e propria autorità di governo che si ponga il problema del coordinamento complessivo della lotta alla corruzione da parte di tutte le pubbliche amministrazioni e la CiVIT non mi sembra attrezzata. Già per i compiti che ho indicato andrebbe comunque rafforzata rispetto all’estremamente fragile struttura amministrativa di cui dispone adesso.
Accanto ad autorità indipendenti e autorità di governo, a mio giudizio, se vale il parallelo che ho fatto all’inizio con l’Autorità antimafia, dovrebbe costituirsi anche una Commissione parlamentare bicamerale. La lotta alla corruzione, secondo me, costituisce una priorità del tutto paragonabile alla mafia per attacco all’imparzialità della pubblica amministrazione e ai costi del funzionamento delle amministrazioni e, quindi, anche il Parlamento, secondo il nostro giudizio, dovrebbe dotarsi di uno strumento che verifichi costantemente l’attuazione della legislazione anticorruzione ed eventualmente sia in grado di aggiornare costantemente la qualità di tale legislazione.
Ci sono poi questioni particolari, che però penso possano essere oggetto più di domande da parte delle Commissione.
BERNARDO GIORGIO MATTARELLA, Professore ordinario di diritto amministrativo presso l’Università di Siena. Svolgerò alcune osservazioni generali sul disegno di legge e poi alcune specifiche su singoli articoli.
Per quanto riguarda le osservazioni generali, a me sembra che questo disegno di legge abbia l’approccio giusto nella prevenzione alla corruzione, perché la lotta alla corruzione si compie, in primo luogo, come asseriva il professor Merloni, con misure amministrative preventive, quindi con una strategia molto ampia e articolata e non soltanto con una strategia di repressione penale.
Vorrei ricordare, ma sicuramente le Commissioni lo conoscono, un documento, a mio parere, prezioso e ancora molto attuale, della Camera, il rapporto del 1996 del Comitato di studio sulla prevenzione della corruzione presieduto da Sabino Cassese, che contiene indicazioni piuttosto concrete, in parte recepite in questi quindici anni dalle norme, in parte assai palesemente smentite, in parte in attesa di essere attuate.
A mio parere, l’approccio giusto per la prevenzione della corruzione mi sembra seguito in questo disegno di legge, che però – anche in questo caso concordo con il professor Merloni – mi sembra incompleto. Contiene poche questioni e potrebbe essere molto arricchito, anche utilizzando i contenuti delle altre proposte di legge in discussione.
La mia principale osservazione sempre generale su questo disegno di legge è che esso si occupa molto di corruzione amministrativa e molto poco di corruzione politica, mentre, come dimostrano anche le cronache degli ultimi mesi o anni, la corruzione politica non è meno importante. Io ritengo che il Parlamento dovrebbe anche occuparsi della classe politica.
Svolgo alcuni esempi. Nel disegno di legge c’è una disciplina della trasparenza amministrativa, che peraltro è in buona parte ripetitiva o esplicativa di norme già vigenti. La trasparenza amministrativa va benissimo, ma perché non comprendervi anche la trasparenza dell’attività e degli interessi della classe politica?
Lo scandalo dei rimborsi per i parlamentari britannici di un paio d’anni fa è scoppiato perché sul sito internet del Parlamento britannico è possibile verificare come questi rimborsi vengono spesi. Se qualcosa del genere fosse possibile anche in Italia sarebbe sicuramente un passo avanti.
Altro esempio: nel disegno di legge è contenuta una disciplina dell’incandidabilità. Perché non rivedere anche la disciplina dell’ineleggibilità e delle incompatibilità parlamentari che risale agli anni Cinquanta ed è molto antiquata? Perché non introdurre una disciplina del conflitto di interessi dei parlamentari?
Mi è capitato di dirlo altre volte ad altri vostri colleghi. I parlamentari sono quasi gli unici funzionari pubblici in Italia a non essere soggetti ad alcuna norma sul conflitto di interessi. L’altra categoria di funzionari pubblici non soggetta ad alcuna norma sul conflitto di interessi è quella dei componenti degli uffici di staff, i capi di gabinetto, i capi degli uffici legislativi, i consulenti vari che, come pure le cronache hanno dimostrato, si trovano in una situazione particolare.
Un altro elemento che manca in questo disegno di legge è una disciplina dei conflitti di interessi, delle regole di comportamento e dell’incompatibilità di coloro che lavorano negli uffici di diretta collaborazione dei politici.
Sempre per quanto riguarda la sfera politica, forse sarebbe utile anche qualche intervento in materia di spoil system, di rapporto fra politica e dirigenza amministrativa. Ahimè, la tendenza legislativa anche recentissima è quella piuttosto di accentuare lo spoil system e indebolire i controlli reciproci fra politica e amministrazione. La mia principale osservazione generale è che questo disegno di legge si occupa lodevolmente di corruzione amministrativa, ma si occupa poco di corruzione politica.
Mancano poi alcune cose che si sono perse un po’ per strada, come per esempio le previsioni in materia di appalti pubblici e quelle relative ai poteri informativi dell’autorità, ma immagino che dei poteri dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici abbia parlato il presidente Giampaolino. Manca un aspetto che è contenuto in un’altra proposta di legge, e cioè la disciplina dei contratti in deroga, dei contratti di emergenza, delle gestioni straordinarie o commissariali; e manca la disciplina degli incarichi esterni dei dirigenti amministrativi o dei magistrati e così via.
Una serie di altre idee potrebbero essere tratte, come ripeto, dal rapporto del 1996 del Comitato Cassese. Per esempio, mi pare importante intervenire per rafforzare i corpi tecnici dello Stato. Viene infatti continuamente lamentata la debolezza dell’amministrazione come contraente nel bandire, nell’aggiudicare e nel seguire l’esecuzione dei contratti.
Come ultima osservazione generale, direi che dal punto di vista del coordinamento legislativo alcune di queste norme, piuttosto che stare in una legge a sé stante, potrebbero confluire in altre leggi vigenti. Dal punto di vista dell’ordine normativo sarebbe preferibile. Per esempio, se si tratta di attribuire nuovi poteri alla CiVIT, invece di avere una legge a sé stante, sarebbe meglio emendare il decreto legislativo n. 150 del 2009.
Svolgo alcune rapide osservazioni su singole previsioni. Per quanto riguarda l’Autorità nazionale anticorruzione, anch’io penso che questo sia un passo avanti rispetto alla situazione attuale. Si chiariscono, forse non del tutto, i rapporti fra la CiVIT e la struttura anticorruzione del Dipartimento della funzione pubblica, ma io farei un passo in più. Sono abbastanza d’accordo con quanto diceva prima il professor Merloni, soprattutto per quanto riguarda le dotazioni di mezzi della CiVIT, che attualmente sono assolutamente ridotte. A questo proposito vorrei ricordare che la struttura anticorruzione dell’Unione europea, l’OLAF, costa 100 milioni di euro l’anno, ma ne recupera più di 300. È vero quindi che la prevenzione della corruzione è una politica che si autofinanzia.
Come dicevo, forse si potrebbe fare qualche passo in più nel senso di attribuire ulteriori poteri alla CiVIT, soprattutto poteri di impulso per promuovere e stimolare iniziative delle amministrazioni. In questo momento, con l’attuazione del decreto n. 150 del 2009 le pubbliche amministrazioni devono predisporre programmi per la trasparenza e per l’integrità, e normalmente le amministrazioni hanno un approccio molto burocratico, come diceva prima la dottoressa Bianco. Fanno ciò che sono costrette a fare, non inventano niente. Ci vuole qualcuno che le stimoli a introdurre nuove misure di prevenzione della corruzione.
Per quanto riguarda l’articolo 2 sulla trasparenza, ripeto che non dice molto di più rispetto a norme già esistenti. Forse potrebbe dire di più nel senso di introdurre per alcuni tipi di procedimenti, quali le autorizzazioni, quanto ci chiede la direttiva servizi, imporre cioè alle amministrazioni un obbligo di assistenza nei confronti dei privati per spiegare come la legge va applicata, come vengono normalmente interpretate le previsioni legislative.
Per quanto riguarda l’articolo 3 e le modifiche al Testo unico sul pubblico impiego, sono un po’ scettico circa l’accrescimento del flusso di nuove informazioni che dovrebbero affluire presso il Dipartimento della funzione pubblica. L’esperienza dimostra che più informazioni ci sono meno sono utilizzate. Sarei quindi più selettivo.
Allo stesso modo – e qui condivido quanto diceva la dottoressa Bianco – mi sembra un po’ vago l’ambito di applicazione della norma, che pure è importante, sulle restrizioni successive all’impiego.
Non ho particolari osservazioni sugli articoli 4 e 5, che mi sembrano utili. Ho invece qualche dubbio di legittimità costituzionale sull’articolo 6, cioè sui principi generali per le regioni e gli enti locali. Mi sembra che questo possa essere al massimo un buon consiglio, perché in materia di organizzazione amministrativa regioni ed enti locali decidono da soli le proprie regole.
Per quanto riguarda l’articolo 8, come ripeto, mi parrebbe utile approfittare dell’occasione per disciplinare non solo l’incandidabilità, come è giusto fare, ma anche l’ineleggibilità e l’incompatibilità, e magari anche introdurre un meccanismo di controllo più efficace sull’applicazione delle norme sull’incandidabilità che, come l’esperienza dimostra, vengono spesso violate.
Sono abbastanza scettico, infine, sull’inasprimento delle sanzioni penali. Mi sembra che nella prevenzione della corruzione non siano le sanzioni penali a mancare, quanto semmai il fatto che non vengono mai applicate. Forse inasprirle potrebbe addirittura contribuire a renderne poco probabile l’irrogazione.
LUCIANO VANDELLI, Professore ordinario di diritto amministrativo presso l’Università di Bologna. Ne approfitto per consegnarle, presidente, il volume a cui faceva riferimento il professor Merloni, a cui aggiungo un volume sui controlli e la lotta alla corruzione.
Mi inserisco nel solco aperto dai professori Merloni e Mattarella. Io credo che in buona misura questo disegno di legge muova passi nella direzione giusta. Naturalmente penso che nessuno si illuda che questo problema possa essere affrontato con un progetto di legge. Mi piacerebbe che il provvedimento si chiamasse «prime disposizioni», per dare la sensazione di una politica di lungo periodo che si apre con un’attenzione costante del Parlamento su questi temi.
Mi piacerebbe che si avviasse un circuito di regole, monitoraggio sull’andamento delle regole, revisione e integrazione delle stesse, con un processo in progress che cerchi di seguire tutti i vari rami e filoni di questo tema, che ha un’ampiezza di approcci davvero straordinaria.
Da questo punto di vista faccio presente che tra le altre cose occorrerebbe monitorare quanto si muove nei vari ambiti di produzione legislativa. Anche la manovra ci interessa vistosamente, e farò un solo esempio. Il tema dei controlli dei revisori presso gli enti è trattato nella manovra che si sta votando in questi giorni alla Camera secondo criteri che prevedono per le regioni, attraverso un meccanismo indiretto, un elenco di revisori dotati di certi requisiti professionali dal quale si effettua un’estrazione. Questa impostazione riguarderebbe le sole regioni, mentre ad esempio negli enti locali sono i consigli comunali a eleggere i propri revisori.
Mi pare che ci sia un’esigenza di coerenza e coesione nell’ordinamento che andrebbe monitorata in tutti i vari risvolti. E ci sono disposizioni vigenti, secondo me importantissime, che vengono largamente disattese. Ne cito soltanto una che a mio avviso sarebbe un grande strumento e una grande occasione di correttezza amministrativa. Si tratta di uno degli articoli fondamentali della legge n. 241 del 1990 sul procedimento amministrativo, l’articolo 12.