In primo luogo, si è accorto che la disoccupazione in Italia di italiani è aumentata e sta aumentando e che dovremmo dare una risposta ai nostri cittadini?
In secondo luogo, questo Governo ha appena aumentato l’età pensionabile e, dunque, un sessantenne è una persona che deve ancora continuare a lavorare, ragion per cui forse non ci servono tutti questi immigrati. Dai dati che ha citato, se non ho capito male, 600 mila permessi di soggiorno per motivi di lavoro sono scaduti, perché gli immigrati che li detenevano hanno perso il lavoro. Forse converrebbe utilizzare le risorse per incentivare il ritorno a casa di questi cittadini stranieri.
Ciò si collega anche alla cittadinanza per i minori. Se vogliamo dare la cittadinanza ai minori, compiamo un atto, a mio avviso, gravissimo e molto inumano. Quando un cittadino extracomunitario perde il lavoro, perde il permesso di soggiorno e deve ritornare a casa, mettiamo in orfanotrofio suo figlio, perché è cittadino italiano? Non penso che sia fattibile e nemmeno giusto. È giusto, invece, aspettare che questo cittadino minore, nato in Italia, a diciott’anni possa avere il riconoscimento di cittadino italiano. A quel punto, potrà, se supererà gli esami di conoscenza della cultura e della lingua, rimanere in Italia da solo senza i familiari, che magari rimanderà a casa e che con le rimesse riuscirà a mantenere in modo più decoroso, perché il costo della vita è molto più basso nel loro Paese.
A maggior ragione dovremo dare una mano alla cooperazione ai Paesi esteri e soprattutto fare in modo che non ci siano queste zone d’ombra per tutti i cittadini che perdono il lavoro, i quali dovrebbero essere rimandati il prima possibile nel loro Paese di origine con le proprie famiglie.
Se non ricordo male, ci sono state alcune sperimentazioni in tal senso in alcune regioni per dare un contributo, che è servito ed è stato utilizzato da molti cittadini extracomunitari. Essi hanno capito che l’Italia non è il Paese del Bengodi e che in questo momento non c’è possibilità di lavoro. Forse conviene loro ritornare con i risparmi che hanno accumulato nel loro Paese e aprirsi la loro piccola azienda o il loro piccolo negozio.
Sta succedendo un fatto, a mio avviso, molto grave. I fenomeni di intolleranza stanno aumentando e questa è una situazione preoccupante. Perché stanno aumentando? Analizziamo il motivo. Forse c’è la percezione, giusta o sbagliata che sia, da parte di molti cittadini che i cittadini extracomunitari abbiano più diritti dei cittadini italiani. Hanno più diritti perché stranamente, molto spesso, se non vengono messi vincoli quando si elaborano i bandi di destinazione delle case popolari, arrivano prima i cittadini extracomunitari dei nostri cittadini, che sono nel nostro Paese da generazioni a rendere ricco questo Stato.
Forse avviene perché, quando vanno all’ospedale al pronto soccorso, vedono che ci sono tantissimi extracomunitari, soprattutto irregolari, che non utilizzano il pronto soccorso per vere emergenze, ma semplicemente come ambulatorio medico e che non devono neanche pagare il ticket, che noi invece paghiamo, come tutti i cittadini.
Forse avviene perché, quando finalmente siamo riusciti ad adeguare la tassa di soggiorno ad altri livelli europei – mi sembra che in Francia sia molto più alta dei 200 euro di cui si parlava – subito il Ministro e questo Governo che hanno chiesto sacrifici ai cittadini italiani, hanno sostenuto che forse bisogna ridimensionare tale tassa e fare in modo che sia equiparata al reddito.
Io ricordo che, se un cittadino italiano vuole un passaporto, sostiene alcune spese e ogni anno paga un bollo che in cinque anni mi sembra sia molto superiore ai 200 euro che si chiedono agli extracomunitari.
Se si devono compiere sacrifici, facciamoli compiere a tutti e facciamo vedere ai cittadini che nessuno è agevolato, ma che tutti rispettano le regole e tutti, dunque, hanno il giusto.
Potrà sembrare strano, ma in due città governate dalla Lega, come Treviso e Verona, l’integrazione con gli extracomunitari è molto positiva. Le comunità di stranieri in queste due città, che provengano dall’Africa o dai Paesi dell’Est, riconoscono di essere governate da amministrazioni buone, che fanno rispettare le regole. Anche i cittadini extracomunitari capiscono che prima vengono i cittadini del Paese di origine e dopo arrivano loro, in base alle esigenze e anche alle attività.
Invito il Ministro a svolgere un’analisi su ciò che ho appena riferito e a far sì che non ci siano questi squilibri. Quando c’è una percezione sbagliata da parte dei cittadini, c’è sempre, purtroppo, in modo sbagliato, qualcuno che sbaglia e sta facendo del male a persone che non c’entrano nulla. Che siano cittadini extracomunitari o italiani, a me dà sempre fastidio quando vedo bambini o persone che vengono picchiate solo per il colore della pelle. Leviamo questa disparità e vedremo che probabilmente anche questo intervento servirà per diminuire tali situazioni.
Concludo con un’ultima domanda tecnica. Lei aveva comunicato che i cittadini stranieri minori nati in Italia sono il 7-8 per cento della popolazione italiana e ha poi aggiunto che rappresentano il 7,5 per cento della popolazione scolastica. Presumo che ci sia stato un errore, perché sarebbe una cifra veramente esorbitante.
LINDA LANZILLOTTA. Voglio ringraziare il Ministro per l’illustrazione delle linee di azione del suo ministero, nonché per la visione complessiva entro cui ha inserito tali linee, una visione che attiene ai mutamenti globali dentro cui il nostro Paese è immerso e di cui tutte le questioni della cooperazione, dell’integrazione e della gestione dei flussi migratori sono parte essenziale.
Condivido gran parte delle considerazioni svolte, ma credo che non debba essere sottovalutata la questione del legame tra accoglienza e legalità. Le questioni che venivano poste dal collega della Lega, al di là della connotazione ideologica con cui possono essere state poste, sono, però, fondamentali. Solo se la nostra comunità sentirà che questo processo avviene nel rispetto della legalità sarà più accogliente e più consapevole dei diritti e dei doveri reciproci e, quindi, l’integrazione e l’accoglienza, che devono essere un fatto diffuso della cultura civica del nostro Paese e non possono essere solo un processo che viene dall’alto, saranno più facili. La legalità è presupposto anche della sicurezza.
Volevo porre una domanda su questioni cui lei forse ha accennato e in cui non voleva entrare, ma che credo siano molto importanti. Non c’è dubbio che la questione dell’immigrazione oggi subisca l’impatto della crisi economica, che in parte fa perdere posti di lavoro proprio nei settori, per esempio, della cura della persona, in cui molti immigrati extracomunitari sono occupati – talvolta si tratta degli immigrati di lunga durata -;la crisi economica del ceto medio fa sì infatti che ci sia una contrazione della domanda in questo senso. Aumentano inoltre i bisogni sociali della popolazione italiana con la conseguente tensione tra popolazione italiana e popolazione extracomunitaria nell’accesso ad alcuni servizi pubblici.
Da questo punto di vista, essendo convinta del fatto che, in prospettiva, se vogliamo fare politiche per la crescita, il contrasto del declino demografico sia una questione essenziale, mi domando come il Governo voglia affrontare il tema del rapporto tra crisi e gestione delle politiche per l’immigrazione, in considerazione del fatto che i soggetti che sono i gestori delle politiche pubbliche e private sono colpiti da una crisi finanziaria molto grave. Mi riferisco, da una parte, al sistema degli enti locali e, dall’altra, alle associazioni di volontariato e agli enti che in genere sono preposti al finanziamento di queste politiche. Penso, per esempio, alle fondazioni bancarie, la cui crisi si rifletterà nei prossimi anni in modo molto pesante. Già oggi si vede l’impatto di questa crisi sulla contrazione dell’offerta di servizi.
Capisco che ci sia una questione di scenario, ma penso anche che il Governo debba valutare e farsi carico di come conciliare tutti gli aspetti di questo complesso problema.
GIANCLAUDIO BRESSA. Nel ringraziare il Ministro, nel salutarlo e nell’augurargli buon lavoro, osservo che, per quanto mi riguarda, personalmente ho ritenuto l’istituzione di questo ministero, anche se senza portafoglio, come l’atto forse più significativo di questo Governo. Mettere insieme cooperazione internazionale e integrazione ha dato il segno di un passaggio culturale di cambiamento da una dimensione emergenziale a una dimensione di integrazione per quanto riguarda le politiche dell’accoglienza nel nostro Paese.
L’illustrazione delle linee programmatiche che lei oggi ci ha reso, signor Ministro, ha consolidato in me l’idea dell’importanza di questo passaggio politico-istituzionale, che credo possa essere un punto di partenza importante per recuperare i gravi ritardi che nel corso di questi anni sono stati accumulati in questo settore e in queste politiche.
Volevo porle solo due brevi domande e richieste. Ho apprezzato molto una delle considerazioni che lei ha svolto, quando ha sostenuto che pensarsi italiani aiuta a integrarsi. È esattamente uno dei punti di partenza che hanno sorretto il mio partito nell’ispirare le proposte di legge che sono state presentate in tema di cittadinanza, che ovviamente non ho intenzione in questo momento di illustrare, perché sono agli atti dei lavori di questa Commissione.
Quando lei invita a rompere lo schematismo dello ius sanguinis e dello ius soli e a concentrarci sullo ius culturae, esattamente che cosa intende? Intende la frequentazione di cicli scolastici come condizione fondamentale, essenziale ed esclusiva per l’attribuzione della cittadinanza ai minori? Questa è la prima domanda.
La seconda domanda – mi rendo conto che coinvolge lei ma anche la responsabilità del Ministro dell’interno – va a segnalare uno dei punti critici della situazione dell’immigrazione nel nostro Paese.
Lei giustamente ha portato come esempio i 600 mila contratti di lavoro subordinato e autonomo che tra il 2009 e il 2010 sono scaduti e che hanno dato origine a una condizione ope legis di irregolarità. Quali sono le intenzioni del Governo per cercare di uscire da questa situazione, per molti aspetti drammatica?
Credo che chiunque abbia a che fare con i problemi della vita quotidiana sia a conoscenza di situazioni, personali o di persone che si conoscono, di irregolarità dal punto di vista della legge, ma che rappresentano uno dei punti di forza del sistema di assistenza e di lavoro del nostro Paese. Noi ci troviamo di fronte a persone che non sono più in condizione di poter essere in possesso del permesso di soggiorno, ma che continuano a lavorare e a operare per il benessere della nostra comunità, sia dal punto di vista dell’economia che dell’assistenza.
Credo che intervenire su questo punto sia particolarmente urgente e chiedo al Ministro se il Governo ha già alcuni punti fermi su questo tema e alcune risposte che ci può fornire.
ROBERTO ZACCARIA. Signor Ministro, non ripeto le osservazioni che ha svolto Gianclaudio Bressa, perché l’elemento che caratterizza la sua competenza per tutti noi è molto significativo nella lettura dei problemi che abbiamo di fronte.
Anch’io credo che ci siano profili legislativi, da ultimo quello collegato alla cittadinanza. Si potrebbe parlare anche dei temi collegati all’asilo, che in Italia pongono difficoltà tra l’ordinamento costituzionale, l’attuazione legislativa e le pratiche per effetto degli interventi comunitari.
Con molto garbo lei ha parlato del rapporto tra Governo e Parlamento su questo argomento e ha affermato che sta osservando con interesse le proposte di legge. Ha parlato, in particolare, di quelle collegate al tema dei minori. Non ha citato, ma lo faccio io, il Capo dello Stato, che con i suoi ripetuti interventi ha compiuto più di un atto puramente informale, vale a dire ha espresso un’indicazione che per il Parlamento ha un valore, almeno in termini di metodo, vincolante.
Le vorrei porre una domanda sul piano delle pratiche amministrative. Quando si è parlato della tassa che ha colpito e che colpisce in misura molto rilevante particolari categorie di persone, determinando vere e proprie barriere all’ingresso che sono difficilmente giustificabili in termini di principio, lei ha accennato, ed è questo il senso della domanda che le voglio porre, al Piano per l’integrazione e all’accordo di integrazione che è stato stipulato in attuazione di normative recentemente approvate.
Nel linguaggio giornalistico questi Piani per l’integrazione e l’accordo che da essi scaturisce configurano una sorta di punteggio collegato ad alcuni crediti, i quali, in linea di principio, possono anche essere giustificati. Ho guardato a suo tempo il regolamento che disciplina questi punteggi e le confesso che, se noi vogliamo considerare le posizioni di alcuni soggetti come titolari di diritti, far scaturire da una prova di conoscenza della lingua italiana o di integrazione dal punto di vista residenziale o di scelta del medico di base una serie di condizioni che vanno a incidere su posizioni soggettive che hanno natura, a mio modo di vedere, di diritti fondamentali, ciò può essere molto delicato.
Sappiamo tutti che è opportuno che chi sta in questo Paese cerchi di conoscere la lingua italiana, ma l’esempio che lei ha simpaticamente portato e che a noi è ben noto mostra che spesso la conoscenza della lingua italiana in alcune categorie di queste persone è molto avanzata. In altre, quelle più anziane, ci possono essere maggiori difficoltà.
La mia preoccupazione è che ci sia un attento monitoraggio di questi strumenti per non far scaturire da un giudizio discrezionale di valutazione della conoscenza della lingua o addirittura in alcune condizioni residenziali la perdita di quello che io continuo a credere sia un diritto fondamentale. Certo è un diritto fondamentale in misura più calibrata quello che può avere uno straniero regolare ad avere il permesso di soggiorno e la carta di soggiorno, quindi a progredire, ma auspico che non possa consegnarlo a una dimensione di irregolarità per valutazioni di natura spesso fortemente discrezionale.
Le reti degli insegnanti che operano in questo campo hanno richiamato l’attenzione sull’attuazione di questi Piani, proprio perché evidentemente non sfugge a nessuno il carattere discrezionale di alcune valutazioni. Mi interessava una sua opinione con riferimento a questi profili.
PRESIDENTE. Prima di dare la parola alla collega Pollastrini, sospendo la seduta per dieci minuti per permettere una verifica del funzionamento dell’impianto dei microfoni.
BARBARA POLLASTRINI. Signor Ministro, anch’io desidero ringraziarla e rivolgerle i miei auguri per il suo lavoro. La costituzione del suo nuovo ministero ha rappresentato per me – sono sincera – una nota davvero positiva.
Le deleghe del suo dicastero, a partire da quelle su cui oggi si è maggiormente soffermato – cooperazione ed integrazione – possono essere intese in due maniere, come una somma di competenze – peraltro, assai significative e rilevanti in sé – oppure contenere un’ambizione in più, quella di seminare le condizioni per uno spirito di coesione e di un nuovo civismo. Ascoltando la sua relazione, mi sembra che, nella dichiarazione del suo programma e nel suo sentimento culturale e politico, sia emersa questa seconda opzione. Allora, se è così, mi permetto di dirle che avrà – per quello che conta – la mia personale partecipazione al suo lavoro e sicuramente l’appoggio del gruppo del PD. Dico questo anche per quella che sarà un’inevitabile e dura battaglia, per un ministro pur autorevole come lei, per ottenere gli investimenti e le risorse indispensabili affinché i progetti possano trasformarsi in programmi effettivi.
Prima di rivolgerle alcune domande, mi permetto di aggiungere una considerazione. Come tutti sappiamo, si sta discutendo di crescita e della fase B del governo. Il senso di questo dicastero – come lei ha detto – sta, nella consapevolezza di chi lo dirige, di creare un ministero dell’Italia nella globalizzazione. Oggi, nel mondo, in Europa e in Italia si discute di crescita. Personalmente credo che, seppur nell’emergenza italiana ed europea, ci sia un modo di affrontare il tema della crescita che tenti di voltare pagina rispetto al passato, intendendo la crescita come una frontiera che tenga insieme finalmente l’economia, lo sviluppo compatibile e l’allargamento della democrazia. Ciò non è semplice, in una fase in cui la stessa democrazia non è considerata essenziale.
Ora, la missione del suo ministero – cooperazione e integrazione – è inestricabilmente legata alla grande questione dell’allargamento dei diritti umani. Difatti, cooperazione e integrazione attengono a questa grande materia. Gli stessi diritti umani sono, a loro volta, da interpretare in modo più attuale e consono, vale a dire unitariamente. Come lei ci proponeva per l’integrazione e la cooperazione, più in generale, anche i diritti umani vanno letti in modo indivisibile, come diritti sociali, politici e civili. D’altra parte, questo punto ci viene indicato anche dalla Comunità europea e dal pensiero più avanzato, trattandosi di un aspetto che riguarda la visione della persona, cioè la dignità e l’unicità della persona come bene e valore appunto indivisibile.
Se è così, oltre che sottolineare i punti e i traguardi indicati da lei stesso e dai miei colleghi – sono intervenuti gli onorevoli Bressa e Zaccaria a proposito della legge sulla cittadinanza, con riferimento, in particolare, ai bambini che nascono in Italia – vorrei porle alcune domande.
In questa visione unitaria dei diritti umani, politici e sociali, il suo ministero potrà, vorrà e avrà gli investimenti, oltre alla volontà politica e – come ha detto lei – allo slancio etico, per occuparsi, in particolare, dei diritti umani delle donne e dei bambini in Italia e nel mondo? Le rivolgo questa domanda specifica perché – come lei sa – fra gli ultimi del mondo e ormai purtroppo anche del nostro Paese, ci sono le donne e i bambini. In Italia, le condizioni di rischio di povertà e di povertà in particolare dei bambini sono drammatiche e spesso non considerate e non studiate sufficientemente. Ugualmente, le condizioni di mancanza di rispetto per le donne, ma anche di violazione dei loro corpi e dei loro diritti, da noi come nel mondo, sono un dramma che segna questa strana modernità, che ci offre molto, togliendoci, però, tantissimo in termini di dignità della persona.
Come lei sa, esiste una Commissione interministeriale che ha il compito particolare della lotta alla tratta e al traffico degli esseri umani, che si è interessata specificatamente della lotta alla tratta delle donne e dei bambini. La mia domanda è molto semplice. Nel quadro di un impegno più generale per i diritti umani, la cooperazione e l’integrazione, il suo ministero potrà chiedere che, oltre a un’attenzione culturale, anche risorse e investimenti siano destinati al grande tema del rispetto dei diritti delle donne e dei bambini, non solo del nostro Paese, ma nel mondo?