I lavoratori stranieri possono perdere il posto di lavoro, ma come possono permanere sul territorio nazionale per trovare una nuova occupazione, se il loro periodo è limitato a sei mesi? Sono stato in provincia di Caserta e ho notato una situazione estremamente preoccupante rispetto agli immigrati. C’è un addensarsi in quella zona, in cui ci sono lavori stagionali, ma, come voi sapete bene, non solo lavori stagionali, bensì anche occupazioni irregolari di diversi immigrati a cui è scaduto il permesso di soggiorno.
Io valuterò di proporre opportune iniziative di concerto col Ministro dell’interno, con il quale stiamo operando d’accordo, sulla questione della graduazione dei costi di permesso di soggiorno per trovare un’equilibrata soluzione.
Un altro problema di integrazione riguarda i cittadini extracomunitari giunti nel nostro Paese a seguito della crisi in Libia. È necessario predisporre le opportune procedure, ove persistano le esigenze umanitarie, per un rinnovo dei titoli di soggiorno, ma ho motivo per credere che una parte di essi possa, se lo vuole, e credo che lo voglia, ritornare in Libia, quando la situazione si calmerà e trovare possibilità di reimpiego.
Un altro problema è la questione dei minori ricongiunti o non accompagnati. Ho preso contatto sulla questione perché il problema dei minori, soprattutto di quelli non accompagnati, è estremamente grave. Si constata un tasso piuttosto preoccupante di chiusura nei gruppi etnici o anche di scivolamento nell’ambiente della delinquenza minorile. È necessario attuare in proposito strumenti che scongiurino questi rischi.
Nel medio termine il grande rischio, che è poi fonte di conflitti, è la separazione tra cittadini italiani e cittadini stranieri, che non riguarda nella vita quotidiana solo le giovani generazioni, ma anche alcune aree urbane: è un fenomeno intergenerazionale, quello dei nuovi ghetti. Mi sembra che il punto focale sia partire dalla scuola per arrivare agli anziani attraverso iniziative in congiunzione con gli enti locali che facciano maturare contatto e conoscenza. Sarà questa, come preciserò poi più avanti, una delle linee di intervento che intendo curare.
Passando a un’altra questione – stiamo parlando di questioni a breve e medio termine – nel marzo 2012 entrerà in vigore l’accordo di integrazione nell’ambito del Piano per l’integrazione nella sicurezza. Il Piano rappresenta lo strumento di pianificazione per le politiche dell’integrazione e parte dal presupposto della complessità del fenomeno migratorio, che richiede una definizione urgente in una cornice culturale. È un testo importante davanti a un’esigenza che noi dobbiamo ribadire e che io ho ribadito anche davanti ai gruppi di stranieri che ho visitato, per esempio a Firenze, dopo l’uccisione di alcuni senegalesi.
C’è bisogno di sicurezza per tutti, per gli italiani e per tutti coloro che operano e risiedono a qualunque titolo nel nostro territorio nazionale. Mi sembra un fatto fondamentale. Integrazione e sicurezza, accoglienza e legalità sono tutte facce dello stesso problema per creare una convivenza positiva, una convivenza civile.
Questa convivenza civile ha bisogno di regole, ma anche di ethos condiviso e io credo che l’ultimo anno sia stato particolarmente importante, l’anno delle celebrazioni dei 150 anni dell’Unità nazionale, per rifondare o per ridare fiato a questo ethos nazionale condiviso. Del resto, il nostro non è un problema che affrontiamo in solitudine, ma con tutti i grandi Paesi europei e occidentali. Il problema del nostro tempo è come vivere insieme tra diversi. Io credo che ci troviamo innanzi a un processo che deve coinvolgere tutte le parti della società, tra cui le istituzioni, che debbono fare la loro parte. C’è, però, la necessità di una cultura che si sviluppi, permettetemi di affermarlo, alla base o nella radice del nostro tessuto nazionale. Non si può parlare di ethos condiviso, se non si parla di lingua e di lingua italiana. Il Ministero dell’interno ha lavorato molto bene, impegnando somme crescenti del Fondo di integrazione per la formazione linguistica e per percorsi di educazione alla cittadinanza.
È stata molto importante la collaborazione della RAI. Sto studiando con la RAI – ho parlato con la dottoressa Lei in proposito – la possibilità di creare una sinergia sui temi dell’integrazione. Sono sufficientemente anziano per ricordarmi quello che l’ente RAI ha fatto per far crescere la coscienza diffusa dell’identità italiana e la conoscenza della lingua. Forse oggi non ci sarà un solo maestro Manzi, ma io credo che nella missione della RAI questo sia un fatto di una data importanza.
Un altro aspetto di grande importanza, cui ho già accennato, è prevenire i conflitti sociali nei territori ad alta concentrazione di stranieri. Fatti di cronaca a Torino, Firenze e Roma mi hanno indotto ancora una volta a riflettere sulla sfida per le nostre città. Siamo in un momento di crisi, in un momento particolare, in cui concentrazioni di immigrati possono essere un fatto estremamente negativo per loro stessi e per gli altri cittadini, facile detonatore per problemi sociali.
Sono in aumento gli episodi di intolleranza in alcuni quartieri periferici. I dati dell’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali, che dipende dal Ministero della cooperazione e dell’integrazione, indicano che dal 2009 al 2011 si è passati da 373 segnalazioni a 767 e a 1.050 circa fino al 31 dicembre. Mille casi segnalati non sono poi tanti, ma è interessante la crescita.
Io sono in contatto con il Ministro Profumo proprio perché considero la scuola – con la necessità di evitare di distinguere scuole per bambini stranieri e scuole per bambini italiani – come un luogo decisivo di integrazione per i bambini e per i genitori.
Ci sono segnali altamente positivi. Sono stato a Torino e ho visitato il quartiere di San Salvario, che era il quartiere terribile dei conflitti. Ho notato come una collaborazione tra politiche di riqualificazione promosse dalle istituzioni e capacità dei cittadini di farsi parte attiva abbia cambiato il volto del quartiere.
Qualcosa sta cambiando anche nell’Esquilino a Roma e ci sono piccoli Comuni che ritrovano la loro vitalità. Il regista Wim Wenders ha documentato il fatto a Riace e a Caulonia in Calabria, comuni che ritrovano vitalità in un incontro tra coppie straniere e anziani.
I programmi sono tanti, ma questi programmi e questi processi di integrazione vanno accompagnati e io mi muoverò in questa consapevolezza. Come ho comunicato anche alle organizzazioni di gente di origini non italiane che mi hanno visitato, il Ministro per l’integrazione non si occuperà solo degli immigrati, perché gli italiani sono tra gli attori preminenti dell’integrazione. Il 2012 è l’anno dell’invecchiamento attivo e c’è la necessità di coinvolgere tutte le fasce della popolazione in questo processo.
In questo quadro emerge il problema dei giovani immigrati, soprattutto giovani latinoamericani, con alcuni fenomeni preoccupanti, quali la creazione di mafie giovanili di ecuadoregni e filippini in diverse zone del nostro Paese, tra cui Genova. Sto lavorando con il Ministro Profumo a un’iniziativa per la formazione al lavoro dei giovani stranieri, ribadendo la centralità della scuola a tutti i livelli, anche dell’apprendimento dell’italiano, e accendendo un focus particolare in questo senso.
Non voglio tediarvi e tralascio il discorso sull’accesso ai servizi pubblici essenziali, che va facilitato, ma vorrei insistere su due aspetti.
Il primo è quale rapporto c’è tra integrazione e cooperazione. A volte abbiamo tutti pensato e abbiamo tutti affermato, anche nelle differenti culture e sensibilità che animano il nostro Paese, che la cooperazione è un modo per far restare i cittadini stranieri nel loro Paese. Se noi guardiamo ai termini della cooperazione e alla scarsità di risorse disponibili, ci rendiamo conto che questo discorso, che è possibile e pensabile, è in realtà privo di sostanza, perché la cooperazione italiana si trova nelle condizioni che noi tutti sappiamo.
Io mi impegno – non è questo forse il luogo dove affermarlo, ma io credo che lo sia – a una ripresa della cooperazione italiana, perché sono convinto che nel nostro Paese ci siano e possano emergere risorse in proposito. Sono anche convinto, da parte mia, che un Paese come l’Italia per il suo interesse internazionale e per la sua proiezione internazionale debba accettare la sfida della cooperazione in determinati Paesi del Sud del mondo.
Questo non è solo un compito umanitario – fatto peraltro decisivo, che dà senso ed etica alla nostra politica – ma è anche un interesse nazionale. Noi stiamo scomparendo dall’orizzonte, il che significa anche dal mercato, di tanti Paesi del mondo.
È un aspetto di cui parlerò e su cui ho intenzione di lavorare, ma c’è un altro discorso importante, perché interventi concreti di cooperazione allo sviluppo possono anche servire a qualificare i migranti nel nostro Paese. Poche esperienze sono state compiute al riguardo, proprio perché i due temi, cooperazione e integrazione, sono stati separati.
Noi possiamo qualificare l’immigrazione nel nostro Paese, immigrazione di cui abbiamo bisogno e che non è solo un problema, ma è anche una risorsa, anche in considerazione della crisi demografica del nostro Paese. Forse è necessario pensare a meccanismi in grado di svincolare i lavoratori, adeguatamente formati attraverso le iniziative in materia di cooperazione allo sviluppo, dal rispetto del sistema delle quote fissate nei decreti, purché vi siano richieste del mercato del lavoro, come si fa con altre categorie professionali.
Sono convinto anche, e lo sto facendo in questi giorni con l’ambasciatore cinese, con cui avrò una riunione di lavoro proprio domani, che sia necessario gestire il rapporto con le comunità presenti in Italia attraverso le istituzioni e i rappresentanti dei loro Paesi. La comunità cinese, per esempio, che è in particolare sofferenza in questi giorni in Italia e a Roma, ha un volto più articolato di quanto si creda e si sostenga. Al suo interno è una comunità di quasi 300 mila persone e presenta alcuni problemi.
In questo senso, senza forzature, ho intenzione di procedere insieme su binari di cooperazione e integrazione. Sono convinto che l’integrazione sia una grande questione culturale, sociale e storica, ma anche che la politica internazionale, le relazioni internazionali, la cooperazione internazionale, vadano connesse al discorso di integrazione. Non per nulla la missione del mio ministero si colloca, e io spero che lo farà efficacemente, nel contesto culturale e storico della globalizzazione.
Vorrei ora affrontare alcune riflessioni più dirette in materia di cittadinanza. I temi sono più che noti ai lavori di questa Commissione.
Tutti abbiamo presenti alcune coordinate di carattere generale. Tanti demografi, da Antonio Golini, che è un po’ il decano, a scendere – penso recentemente a un libro pubblicato da Laterza sulla demografia – sono ormai convinti che l’immigrazione sia un dato strutturale dell’economia dei Paesi industrializzati e che l’invecchiamento delle popolazioni costituisca una costante, al punto che in Italia nel 2030 un cittadino su tre avrà più di sessant’anni.
Ho da poco la delega alla politica della famiglia, ma stiamo studiando a fondo questa tematica e il problema del sostegno alle famiglie e ai nuovi nati, che però è un altro discorso. La situazione italiana è tale che l’età media è di 42 anni, con una tendenza in aumento e con un’Europa che ha una media di 39,3 anni.
La crescita zero della popolazione in Italia e nei Paesi industrializzati pone il problema della presenza e della necessità degli stranieri immigrati nel nostro Paese, cioè l’oggettiva necessità di avviare con giudizio, con lungimiranza e non come unica risposta alla crisi, politiche di accoglienza.
A questo livello, quando parliamo di politiche di accoglienza, sarebbe più giusto parlare di politiche di accoglienza in una seconda stagione, dall’emergenza immigrazione alla stagione dell’integrazione positiva. In questa sutura si colloca, a mio avviso, il problema della cittadinanza dei minorenni figli di cittadini stranieri. In base ai dati, che dovranno trovare conferma nell’ultimo censimento ISTAT, essi costituiscono il 7,5 per cento della popolazione scolastica e complessivamente oscillano tra il 7 e l’8 per cento della popolazione nazionale.
Io penso che a questo livello noi abbiamo una storia italiana, una cultura giuridica e un senso di appartenenza che sono molto diversi da quelli di altri Paesi del mondo. Abbiamo una collocazione nel cuore del Mediterraneo che fa dell’Italia un Paese poroso, il che è una ricchezza, ma anche un Paese di passaggio.
Se me lo permettete, vorrei raccontare un episodio. Quando sono stato a Villa Literno, sono entrato in un centro che gestiva l’aiuto agli immigrati. Sono entrato in una classe di ragazzini, tutti biondi, che mi hanno riferito essere ucraini. Io, un po’ ingenuamente, ho detto loro: «Bene, bambini, sono contento di conoscervi. Siete qui a imparare l’italiano». Loro mi hanno guardato e mi hanno risposto, con un accento napoletano che non riesco a imitare: «Minì, qua stiamo a imparà l’ucraino per parlà con papà, che non sa l’italiano, ma è ‘na noia».
Poi sono passato in una classe di maghrebini e, istruito dall’esperienza, ho chiesto loro: «Voi imparate arabo qui?», ma li ho visti svogliatissimi, mentre un maestro scriveva in arabo sulla lavagna. Questi bambini, che parlano il dialetto meglio di tanti napoletani o campani, che cosa sono?
Io credo che ci sia un problema non di ius sanguinis o di ius soli, come nella legislazione americana, il che esporrebbe un Paese poroso, soprattutto un Paese di passaggio come il nostro, a presenze straniere a eventi che non sono nella nostra cultura giuridica e anche umanistica, ma di ius culturae.
Io ritengo che si debba cominciare, ma voi l’avete già fatto, ad affrontare il tema in maniera seria e considero, signor presidente e onorevoli deputati, molto opportuna la ripresa dei lavori in materia di cittadinanza, almeno per affrontare nel modo che si riterrà più opportuno il problema della cittadinanza dei bambini nati in Italia figli di stranieri che sono in Italia da un dato periodo.
Certo, esiste la possibilità ai diciotto anni per i nati nel Paese di arrivare alla cittadinanza, ma mi chiedo se a diciotto anni la personalità non sia già strutturata. Pensarsi italiani, essere italiani aiuta a integrarsi e dà a tali giovani un’identità davanti ai loro compagni.
Sono consapevole che il Governo non può che sostenere e appoggiare – parlo di Governo, perché in proposito è coinvolto anche e primariamente il Ministero dell’interno, ma lo sono anch’io – ciò che maturerà all’interno del Parlamento. Ho già preso visione – e una Commissione presso il mio ministero li sta studiando – dei numerosi e diversi, ma tutti interessanti, progetti presentati in proposito.
Faccio presente che dall’Unione europea pervengono richieste di implementazione delle azioni dei Governi nazionali sui temi trattati in quest’audizione. Abbiamo adottato un documento preparatorio, che consegno alla presidenza. Ricordo che il 2013 sarà l’anno europeo della cittadinanza, che vuole valorizzare l’appartenenza europea, ma anche le differenti identità nazionali.
Concludendo, in questi giorni mi è tornato in mente quanto il Presidente degli Stati Uniti Theodore Roosevelt sosteneva sull’immigrazione in quel Paese. Mi sembra che in quel periodo pensasse piuttosto agli italiani. Roosevelt affermava che bisognava capire le necessità degli immigrati e aiutarli. Da ciò scaturì non solo una serie di discussioni, ma anche di decisioni che dettero buoni risultati e un aiuto nella ripresa economica successiva al famoso crollo del 1929.
Signor presidente e onorevoli deputati, io sono convinto che la questione della presenza di popolazioni di origine italiana sia stata affrontata giustamente, per il tempo in cui era stata affrontata, in modo emergenziale nel nostro Paese. Questo è il frutto della nostra storia recente, ma forse ora ci aspetta un’altra stagione, la stagione dell’integrazione. È necessario far tesoro delle potenzialità della nostra storia nel proiettarci in un’altra pagina di vita italiana.
Vi ringrazio per la vostra attenzione e sarò lieto, come potrò, di rispondere ai vostri interventi in occasione della replica. Grazie.
PRESIDENTE. Grazie, signor Ministro.
Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
MATTEO BRAGANTINI. Ringrazio il Ministro di essere venuto e di aver illustrato una tematica che, a nostro avviso, è molto importante. Volevo porgli due domande a bruciapelo.