Forse bisogna vivere con una visione diversa, attraverso uno sforzo di razionalizzazione delle forze di polizia nel territorio, come la PS e i Carabinieri. Valgono ancora le stazioni, sono efficienti, sono ancora utili quelle con due o tre carabinieri, con commissari dislocati in termini approssimativi anche sul piano dei numeri, senza togliere quello che, invece, è lo sforzo degli uomini? Forse non utilizziamo in termini molto forti le risorse umane, con situazioni economiche squilibrate rispetto ai compiti, agli obiettivi e ai traguardi da perseguire. Questo è un aspetto importante.
Esiste poi il problema delle forze speciali, degli SCO, degli SCICO, dei ROS e quello della DIA: si tratta di problematiche che vanno affrontate.
Noi non chiediamo, in questo momento, di risolvere i problemi. Qualcuno sosteneva che la legislatura volge già al termine, ma c’è più di un anno di tempo e in un anno si possono gettare le basi su cui costruire, attraverso un’articolazione e una visione culturale nuova e diversa, al fine di evitare rendite di posizione.
Signor Ministro, lei è stato prefetto e sa che ci sono strutture del Ministero dell’interno perfettamente inutili. Ci sono Commissioni perfettamente inutili. Abbiamo creato direzioni generali solo per accontentare alcuni dirigenti generali che non sapevamo dove mandare, signor Ministro. Ritengo che questo non vada bene. Esiste la parola magica «interforze», che spesso, quando andiamo a vedere, dice tutto e nulla. Non c’è dubbio che questo sia un aspetto e un dato su cui dobbiamo monitorare tutta la vicenda.
Passo a un’altra domanda. Lei faceva riferimento alla finanza locale e al federalismo fiscale: questa è un’altra problematica che emerge. Le chiedo se può essere più esplicita, perché credo che sia un nodo molto importante parlare delle province. Forse, nel passato, c’è stato un approccio stranamente confuso, perché prima abbiamo attuato il federalismo fiscale e poi abbiamo elaborato il Codice delle autonomie, che oggi è all’esame del Senato: forse occorre una diversa articolazione delle autonomie con riferimento ai servizi da dare e assicurare al cittadino. Di tutto ciò non si è mai parlato, mentre si è parlato di altre questioni.
Concludendo, signor Ministro, le auguro un buon riposo: non mi riferisco alle feste, perché parlare di feste significa che intacchiamo l’economia del Paese. Come lei sa, non si può parlare di feste, signor Ministro, perché il Paese è già a pezzi. Siamo già al tracollo. Ringrazio il Ministro e il presidente.
MARIA PIERA PASTORE. Signor Ministro, l’ho ascoltata con attenzione e ho notato il suo riferimento relativo all’armonizzazione del quadro normativo in materia di finanza locale e federalismo fiscale, per quanto attiene agli enti locali e all’attuazione dei provvedimenti conseguenti al federalismo fiscale.
Vorrei, però, evidenziare come, a mio parere, nella manovra che noi abbiamo approvato la scorsa settimana si sia davvero dato uno stop al federalismo fiscale e alla sua attuazione. La invito, se vuole, a prestare l’attenzione che, a mio parere, è necessaria nei confronti degli enti locali che tanto fanno per i propri cittadini, ad applicare metodi che premino la virtuosità degli enti locali e, soprattutto, a dare una reale applicazione, per quanto le è possibile, al sistema dei costi standard.
Solo in questo modo potremo davvero andare a pareggio rispetto a costi che, come lei sa meglio di me, vista la sua esperienza, in alcune aree del Paese sono di una data entità e in altre aree del Paese, invece, assumono cifre notevolissime.
Quanto ad altri temi, condivido alcune osservazioni svolte dai colleghi che mi hanno preceduto. Ad esempio, in tema di immigrazione credo sia necessario attuare, come in questo Paese è sempre avvenuto, politiche di integrazione per gli immigrati regolari, che possono ad esempio facilitare anche la conoscenza della nostra lingua, delle nostre tradizioni, del meccanismo che regola le nostre istituzioni. Le chiedo la stessa fermezza che è stata utilizzata anche in passato rispetto all’immigrazione irregolare e al controllo delle frontiere. Noi siamo favorevoli al rispetto delle regole, che quindi valgono non solo per i cittadini italiani, ma anche per coloro che vogliono venire nel nostro Paese.
Ci sono, poi, alcuni temi sui quali questa Commissione ha lavorato molto. Mi riferisco alle province, su cui abbiamo dibattuto quasi per anni: abbiamo esaminato alcuni problemi davvero in modo approfondito, quindi credo che su alcuni temi l’iniziativa governativa debba lasciare spazio all’iniziativa parlamentare.
Ben venga un esame delle province. Noi, ad esempio, riteniamo necessaria l’esistenza delle province, come organo istituzionale, come ente previsto dalla Costituzione, anche se riteniamo opportuna una revisione delle circoscrizioni, e su questo tema mi sembra che ci sia la condivisione anche di altri gruppi politici.
Credo che il Ministro che l’ha preceduta, il Ministro Maroni, abbia sicuramente svolto un gran lavoro, nel rispetto di tutti i ruoli, di tutte le persone e delle leggi che regolano la vita di questo Paese. La invito a proseguire, per quanto le è possibile, su questa strada. Credo che la sottoscrizione del Patto per Roma sicura sia un passo che si collega a iniziative già adottate in passato.
Concludo augurandole buon lavoro, nella speranza che lei voglia confrontarsi con questa Commissione e con tutte le forze politiche, nella considerazione dei diversi modi di vedere. Credo che questa sia una Commissione che ha davvero operato seriamente, come forse anche lei constaterà quando conoscerà tutti i miei colleghi. Le auguro ancora buon lavoro.
MARIA ELENA STASI. Rinnovo gli auguri al Ministro, a cui intendo rivolgere una semplice domanda, la cui risposta probabilmente è contenuta già nella trascrizione dell’audizione del Ministro al Senato e che in parte i colleghi che mi hanno preceduto hanno già posto.
Attesi gli intervenuti tagli che ci sono stati negli ultimi anni, i problemi legati alla sicurezza e le modifiche che sicuramente ci saranno a livello costituzionale con riferimento agli enti territoriali, chiedo se il Ministro ritenga di dover porre mano a una riorganizzazione sia degli uffici centrali del Ministero dell’interno sia di quelli periferici. E, quando parliamo di uffici periferici, chiedo se intenda riferirsi ancora alle prefetture o alla completa attuazione degli uffici territoriali del Governo. Grazie.
LINDA LANZILLOTTA. Voglio intanto salutare il Ministro e darle il benvenuto nella nostra Commissione.
Vorrei sottolineare alcuni punti su cui è utile almeno una sua riflessione. Come lei ricorderà, Ministro, nel Governo della scorsa legislatura c’era stata un’innovazione istituzionale, cioè la competenza in materia di autonomie era stata sottratta al Ministero dell’interno: si riteneva che questo fosse maggiormente coerente con l’articolo 114 della Costituzione, quindi con una visione paritaria dei rapporti interistituzionali, e che l’attribuzione della competenza al Ministero dell’interno richiamasse, invece, una relazione gerarchica tra Stato e sistema delle autonomie che il Titolo V aveva teso a superare.
Partendo da questa considerazione, questa scelta, che aveva una valenza simbolica, non è stata confermata, anche se aveva qualche difetto dal punto di vista operativo. Chiedo se e in che modo lei intenda raccordarsi con il Ministro per gli affari regionali per una riforma della Conferenza Stato-regioni e autonomie che garantisca al massimo un’attuazione corretta del dettato costituzionale in materia di parità istituzionale e cooperazione interistituzionale.
Peraltro, poiché la competenza in materia di autonomie è del Ministero dell’interno, non le sfugge che è in funzione di questa competenza che l’allora Ministro delle regioni promosse il disegno di legge in materia di liberalizzazione dei servizi pubblici locali, che hanno in Costituzione la competenza esclusiva in materia di tutela della concorrenza, ma si connettono all’ordinamento delle autonomie.
Da questo punto di vista, vorrei sapere come lei intenda promuovere questa politica, anche ai fini dell’intreccio tra una liberalizzazione dei servizi pubblici locali, una loro trasparente gestione, e i fenomeni di corruzione che invece si manifestano dentro queste aree e dentro una relazione non trasparente tra politica ed economia locali.
In secondo luogo, le chiedo se, nell’ambito delle politiche di riduzione della spesa – al di là di quella che sarà la ridefinizione degli ambiti delle province, che, devo dire, il testo presentato dal Governo non tocca, a mio avviso inopportunamente, perché il problema è più che altro rivedere gli ambiti perché possano gestire funzioni di area vasta – non ritiene che lo Stato possa almeno dare il buon esempio, rivedendo gli ambiti delle prefetture. L’automatismo tra organizzazione dello Stato e articolazione delle prefetture non è un dato obbligato e scontato, quindi, là dove le prefetture sono così frammentate, lo Stato potrebbe almeno avviare una riaggregazione delle strutture.
Il terzo punto è quello relativo alla protezione civile, al quale accennava il collega Giovanelli. Siccome anch’io penso che non sia opportuna una protezione civile che fa capo a uno dei bracci operativi, vorrei sapere se lei non ritiene che possa essere ripresa in considerazione la soluzione dell’Agenzia per la protezione civile, che era stata cancellata e che avrebbe riportato sotto un ambito di alto coordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri una struttura che però deve avere la sua autonomia e, soprattutto, dal punto di vista degli organici e della gestione, non deve stare dentro la Presidenza del Consiglio stessa, che dovrebbe essere invece il più possibile snella.
Infine, le chiedo se lei non valuti un’iniziativa sulla gestione del Patto di stabilità e la deroga, su cui peraltro c’era stata già qualche iniziativa, per quanto riguarda le attività locali in materia di manutenzione straordinaria del patrimonio pubblico e di assetto del territorio, che dovrebbero possibilmente arrestare un processo di degrado dei patrimoni pubblici molto spinto e, soprattutto, dare un po’ di fiato al sistema delle piccole imprese locali che sono in una situazione di sofferenza. Le chiedo se valuti che questa possa essere un’ipotesi percorribile o se, invece, la situazione finanziaria lo escluda.
Ritengo che, peraltro, questo concorrerebbe a dare un po’ di ossigeno alla crescita locale, che pure è uno dei fattori su cui credo si debba agire. Grazie.
BARBARA POLLASTRINI. Signora Ministra, aggiungo anch’io i miei auguri sinceri per il suo lavoro. Vorrei rivolgerle una sola domanda, spero utile, per sottolineare un capitolo essenziale sul terreno della sicurezza ma anche della civiltà. Peraltro, vi ha fatto cenno la collega Bertolini poc’anzi. Mi riferisco a quel vero e proprio libro nero dei diritti umani che trova nelle molestie e nella violenza contro le donne una delle sue pagine più tragiche e spesso rimosse.
Io mi auguro, e spero, che avere al Ministero dell’interno, ma, aggiungo, alla Giustizia e naturalmente alle Pari opportunità tre ministre, tre donne di valore e autorevolezza, possa determinare in modo significativo uno sguardo più acuto e più sensibile affinché si costruisca un coordinamento delle azioni di contrasto alla violenza e alle molestie contro le donne, senza il quale ogni iniziativa su questo fronte si presenta come parziale e, ahimè, poco efficace.
Lei, anche in ragione della sua esperienza, conosce sicuramente i dati che riguardano il nostro Paese e, quindi, io per brevità e rispetto delle colleghe e dei colleghi non li ricorderò.
Cito solo quella cifra davvero drammatica e impressionante che risulta dalla ricerca della dottoressa Linda Laura Sabbatini, la quale ci ricorda come in Italia circa sei milioni di donne fra i 16 e i 70 anni abbiano subito qualche forma di violenza, di natura sessuale o sotto veste di maltrattamenti o di persecuzioni, il cosiddetto stalking, su cui il Parlamento è intervenuto con un provvedimento legislativo votato quasi all’unanimità.
Ora davvero sarebbe lungo illustrare il calvario che riguarda le donne sia italiane sia straniere, queste ultime particolarmente colpite da quel racket e da quella illegalità a cui lei, Ministra, faceva riferimento nella sua relazione davvero molto interessante e – se mi permette questa notazione – appassionata, cosa non secondaria in politica.
Torno a dire che sarebbe lungo davvero illustrare quel calvario. Si tratta comunque di drammi che hanno un denominatore comune e traggono origine da quell’atteggiamento di sopraffazione, direi di sfregio, del corpo della donna e della libertà femminile.
Come lei sa e come ci insegnano gli studi e i rapporti degli organismi sovranazionali – penso alle recenti disposizioni delle Nazioni Unite o dell’Unione europea – per debellare o almeno tentare di ridurre questa piaga non basta una singola azione. Servono piani d’azione coordinati, per quanto ci riguarda in rapporto stretto con la Conferenza Stato-regioni e città, che abbiano almeno quattro pilastri. Li elenco per titoli.
Il primo è quello della prevenzione (campagne, numeri verdi, educazione al rispetto della donna, formazione delle forze di polizia e dell’ordine – è decisivo questo aspetto -, controllo del territorio). Il secondo è quello della tutela della vittima. Noi sappiamo che nei casi di persecuzione è decisiva l’assistenza di chi subisce violenza e persecuzione. Questo vale per le donne italiane e a maggior ragione per le donne straniere, ancora più sole e abbandonate. Gli altri due sono la certezza della pena e i connessi adempimenti legislativi, che sono un compito del Parlamento.
Servono due ultime cose. La prima è sicuramente la reistituzione dell’osservatorio permanente sul fenomeno delle molestie e della violenza sulle donne, in modo che ci venga fornito un aggiornamento costante. Insieme, occorre una forma di coordinamento fra associazioni, enti, forze dell’ordine, esperti e studiosi. Penso innanzitutto alle case delle donne maltrattate e ai centri antiviolenza, che spesso svolgono una funzione di tutela alle vittime che surroga alla rete pubblica inadempiente.
La seconda si collega al riferimento che lei ha fatto al fondo europeo di integrazione e che ha ricordato anche la collega Bertolini. Faccio mie le parole della collega. I quattrini sono pochi, lo sappiamo, ma stiamo parlando di coesione e civiltà. Credo che potrebbe avere l’appoggio di tutto il Parlamento se si volesse investire un capitolo di quel fondo e di altri fondi destinandolo in maniera decisiva alla lotta contro le molestie e la violenza e alla difesa dei diritti umani. Sarebbe un fatto di civiltà è anche un dato simbolico.
Le ricordo un ultimo dato collegato a questo tema. L’Europa ha invitato tutti i Paesi membri, fra cui il nostro, a mettere a punto un programma di contrasto di tutte e sei le grandi tipologie di discriminazione. Io parlato delle discriminazioni nei confronti delle donne, ma l’Europa ci invita al più presto a occuparci delle discriminazioni nei confronti dei minori, di quelle per ragioni religiose e razziali, a cui faceva riferimento il collega Fiano, delle discriminazioni nei confronti degli anziani, delle persone portatrici di diverse abilità e delle persone omosessuali.
È il richiamo che ci ha fatto l’Europa. Il Ministero dell’interno e altri ministeri sono interessati.
ROBERTO ZACCARIA. Signor Ministro, io volevo sottoporle tre questioni riguardanti alcuni profili di natura normativa. So che i tempi brevi della legislatura non rendono facilissimo affrontare questi profili, ma già alcuni colleghi le hanno sottoposto altre questioni con riferimento al tema sicurezza.
Io vorrei riprendere quanto diceva il collega Bressa con riferimento al tema della cittadinanza e dei minori. Lo dico con la tranquillità che nasce dal fatto che il Presidente della Repubblica – che nella formazione di questo Governo ha esercitato un certo tipo di impulso – ha inviato, a mio giudizio, un vero e proprio messaggio alle Camere, prima il 15 novembre in occasione della cerimonia per i nuovi cittadini italiani e, poi, una settimana dopo, quando su questo tema ha invitato il Parlamento in maniera esplicita. Possiamo dire che si tratta di un messaggio alle Camere – anche se non è scritto nella forma tipica dei messaggi – in cui si dice di esaminare questo profilo perché è più facile trovare un tipo di consenso.
Un altro aspetto di natura normativa riguarda a mio parere il problema della permanenza nei CIE. È stata una questione molto discussa. Non credo che sia facile riaprire temi che hanno diviso profondamente il Parlamento, ma le chiedo di avere una verifica. Già fu traumatico portarla a sei mesi; quando la si portò a diciotto mesi, il Governo pro tempore disse in Assemblea che non era una necessità obiettiva perché questi problemi venivano risolti prima.
Il fatto di tenere in luoghi di forte segregazione – non usiamo un’espressione eufemistica – persone che non hanno commesso reati, credo sia abbastanza delicato. Le chiedo di valutare, sulla base dell’utilizzazione che di quell’istituto è stata fatta – lei possiede certamente questi dati – la possibilità di riconsiderare questo termine, che secondo me non ci fa grande onore.
In secondo luogo, vi sono profili di attuazione normativa. Lei, signor Ministro, come alcuni colleghi, ha parlato della irregolarità. Le confesso che riesce difficile, almeno a un membro di questa Commissione parlamentare, che tra l’altro dovrebbe essere particolarmente edotta su questi profili, capire la misura della irregolarità.
Da alcuni anni si pratica una sorta di disattenzione con riferimento a una norma del nostro ordinamento, cioè l’articolo 3 del testo unico sull’immigrazione, che prevede due tipi di atti da parte del Governo. Penso che dobbiate verificarlo con attenzione. Si fa una programmazione triennale e poi si stabiliscono, attraverso atti annuali, le quote di ingresso regolare nel nostro Paese. Ebbene, da tre anni questa pratica è stata abbandonata e si interviene a posteriori. Credo che, se si vuole invocare il discorso della irregolarità, bisogna avere chiaro il perimetro all’interno del quale alcune persone entrano regolarmente in un Paese, come avviene nel resto dell’Europa.
Noi siamo in una strana situazione, per cui abbiamo alcune regole che i primi a non applicare sono i soggetti dotati di maggiore responsabilità. Mi riferisco al Governo.
Io credo che per un anno si possa anche concepire un’emergenza per cui questo tipo di atto non è possibile, ma rendere stabile tale pratica è una mancanza gravissima, che rende molto difficile la situazione, perché, paradossalmente, o sono tutti irregolari, o sono tutti potenzialmente regolari. Se poi si interviene a posteriori con un provvedimento di sanatoria, perché dobbiamo considerare irregolare qualcuno? Anche questo ha comunque un’aspettativa di essere regolarizzato.
Si tratta di un’attività dovuta in base all’articolo 3 che le ho ricordato e credo che questo Governo, che non deve necessariamente toccare sempre profili normativi, possa dare attuazione a tale principio.
L’ultima questione, signor Ministro, mi pare altrettanto importante sul piano proprio dei rapporti etici e civili di convivenza in una determinata società. Condivido tutto ciò che è stato detto sull’integrazione, ma vorrei sottolineare che in Italia ci sono oggi 5 milioni di stranieri regolari. Da tutti i dati che noi abbiamo a disposizione, compresi quelli forse un po’ vecchi del Ministero dell’interno, sappiamo che vengono date 40 mila cittadinanze l’anno. Ora, anche ammesso che non tutti gli stranieri che sono qui, ossia 5 milioni, vogliano avere la cittadinanza, lei pensa che si possa realizzare un’integrazione impiegando cento anni a dare la cittadinanza a coloro che già ora sono nel Paese? Io penso che questa sia una visione un po’ capricciosa. Probabilmente lei mi risponderà che non sono aggiornato e che diamo più di 40 mila cittadinanze l’anno.
Le posso comunicare un fatto con certezza, però. Io ho alcune schede, che non le posso leggere. Le compilo dal 1997 ogni volta che incontro persone che sono arrivate nel nostro Paese, albanesi che parlano italiano con l’accento dei loro territori in cui vivono, persone che incontro e che hanno compiuto tutto il corso degli studi, che hanno casa e mutuo, che si sentono italiane, che hanno fatto perfino l’università e che hanno pratiche di immigrazione. Sappiamo tutti che dopo i dieci anni richiesti dalla legge sulla cittadinanza del 1992 se ne richiedono altri due, tre o quattro. È un percorso sconosciuto e inconoscibile.
Se i soggetti vanno davanti al TAR, dopo due anni il TAR attribuisce loro questo diritto. Ma perché dobbiamo incentivare i ricorsi al TAR da parte di persone che, tutto sommato, non hanno grandi possibilità per intentarli e magari impedire a persone che sono nel nostro Paese e sono perfettamente integrate – se hanno frequentato l’università, devo sperare che lo siano, ma anche se non l’avessero frequentata e si fossero fermati alle scuole superiori sarebbe la stessa cosa – di avere la cittadinanza? Capisco se uno è un pericoloso sovversivo, che va controllato, ma individuare queste persone è un problema solo di efficienza amministrativa.
Lei certamente può dare un impulso da questo punto di vista e le chiedo a corredo di fornici dati più aggiornati.
Le faccio poi notare che ultimamente le domande di asilo nel nostro Paese vengono accolte con una grande parsimonia. Alla luce dei processi di cui siamo stati oggetto nel nostro Paese negli ultimi anni, io credo che ci siano più persone che abbiano titolarità per l’asilo. Il trend dovrebbe essere in crescita, anche se controllato, naturalmente. Anche questo è un problema di ordinaria e buona amministrazione delle questioni del Paese.
Infine, sono d’accordo su quanto affermato dai colleghi Giovanelli e Lanzillotta riguardo alla Protezione civile. Grazie.
ROBERTO GIACHETTI. Ruberò solo due minuti per una domanda e una richiesta. Mi limito a questo.
La domanda parte dal presupposto che io penso che ciò che ha tolto molta credibilità alla politica negli ultimi anni, non solo in questa legislatura, ma anche nella precedente, sia stato il susseguirsi di dichiarazioni di ministri che si smentivano l’uno con l’altro.
Io penso che il Ministro della giustizia stia compiendo un tentativo serio, anche se non risolutivo, di intervenire per ridurre il dramma che si sta realizzando nelle nostre carceri. Sarebbe davvero drammatico, se creassimo aspettative che non sono realizzabili.