Audizione del Ministro dell’interno, Anna Maria Cancellieri, sulle linee programmatiche del suo Dicastero

Mi soffermerò su un aspetto e preciso subito, signor presidente: mi auguro che in questa Commissione si possa aprire uno spazio parlamentare di confronto trasversale tra tutti i Gruppi su questo tema e che il Parlamento possa essere sprone per il Paese, anche nei mesi non lunghissimi che ha di fronte questa legislatura, per attuare un passo avanti in ordine ad un determinato aspetto tra quelli che ha trattato il Ministro.

Mi riferisco al tema dell’organizzazione delle forze dello Stato che nel nostro Paese si occupano della sicurezza e, in alcuni casi, del soccorso pubblico, perché credo che, mentre quest’anno celebriamo i trent’anni della legge n. 121 del 1981, sia giunto il momento di affrontare con decisione, con intelligenza, con esperienza e forse anche con coraggio la necessità di una riorganizzazione di queste forze.

Si tratta di una questione che comporta un ragionamento sul numero, in alcuni casi troppo elevato, di forze dello Stato che sovrappongono i loro compiti, sia nel campo dell’ordine pubblico, sia in altri campi. Questo ragionamento ci deve portare – e credo e mi auguro che ciò possa avvenire e rivolgo un auspicio in tal senso a lei, signor Ministro – ad affrontare anche da subito, a prescindere dal lavoro parlamentare, aspetti più immediati di efficientamento della macchina. Penso al numero inusitato di stazioni appaltanti che in questo Paese corrispondono a ciascuna forza dell’ordine per l’acquisto di mezzi e strumentazione e ritengo che il Ministro possa intervenire già d’ufficio per un primo approccio di riordino in quel campo.

Evidentemente, mi riferisco anche alla disposizione e alla strutturazione delle forze sul campo. Penso che sarebbe molto utile se questa Commissione – sono l’ultimo arrivato, ma lo propongo comunque – potesse istituire, in parallelo all’altra Camera del Parlamento, un comitato ristretto specifico per lavorare su una rivisitazione o una riforma della legge n. 121 del 1989, che porti a un progetto di riorganizzazione delle forze dell’ordine, in una direzione che vedremo, ma che certamente dia maggiore efficienza in direzione di un beneficio per i cittadini e per lo scopo per cui le forze dell’ordine lavorano.

Sappiamo che ci sono troppe sovrapposizioni: deve essere risolto un problema di dislocazione di queste forze sul territorio, ossia della dislocazione di alcune di queste nei territori urbani e di altre, più frequentemente, in territori non urbani. Penso, signor Ministro, che si possa fare questo lavoro, che secondo me spetta al Parlamento.

Ho motivo di ritenere che tutte le forze politiche abbiano una sensibilità comune sulla necessità di compiere questo lavoro. Dove si possa arrivare ovviamente nessuno di noi può dirlo, ma penso che l’obiettivo comune sia quello di una maggiore efficienza, intanto di fronte alle necessità di bilancio, che sono sotto gli occhi di tutti. Lei, signor Ministro, si trova a presiedere un ministero che ha subìto tagli imponenti negli ultimi anni, che hanno certamente avuto un effetto sull’efficienza e sulle possibilità delle forze dell’ordine. Tuttavia, non è solo in ragione della risposta a questi tagli che è necessario rimettere mano all’organizzazione delle forze dell’ordine, ma anche per la circostanza che lei ha descritto succintamente, e che però è sotto gli occhi di tutti, ossia che sono cambiate le esigenze della società italiana, per molti dei motivi che lei ha citato.

Infine, signor Ministro, lei ha citato all’inizio del suo intervento la questione relativa ad un risveglio, seppur latente o parziale, di gruppi che diffondono idee di razzismo e di discriminazione razziale. Penso che gli strumenti oggi presenti nella legislazione italiana non siano sufficienti per affrontare e descrivere il fenomeno che si ripercuote sulla rete Internet. Ad esempio, la cosiddetta legge Mancino e successive modificazioni non è adeguata al fenomeno che è presente su Internet, di cui nelle ultime ore abbiamo sentito parlare.

Penso che su questo tema specifico un approfondimento anche parlamentare sarebbe d’uopo. Grazie.

MARCO MINNITI. Signor presidente, signor Ministro, ieri il Presidente della Repubblica richiamava la politica e, in particolare, il Parlamento a utilizzare proficuamente questa fase di impegno del Paese su alcuni grandi temi in sinergia con il Governo Monti.

Penso che, se questo è vero in generale, sia ancora più vero – e secondo me c’è una finestra di opportunità straordinaria che sarebbe giusto che questa Commissione cogliesse – per quanto riguarda il tema della sicurezza pubblica. In generale, ho sempre pensato che su questi temi un impegno comune sarebbe stato preferibile a un’attenzione permanente, magari con l’uso esagerato di parole. Tuttavia, in questa nuova fase, che mi auguro si rafforzi nel Parlamento italiano, su questi temi bisogna affrontare un confronto positivo e senza pregiudizi.

Penso che la sua relazione ci consenta di avere un buon punto di riferimento. Su molte delle cose che lei ha detto sono d’accordo. Mi si consenta, tuttavia, di sottolineare alcune questioni, sulle quali sono già intervenuti i colleghi Bressa e Fiano. Mi permetto soltanto di fare qualche rapidissima specificazione.

In primo luogo, noi non dobbiamo discutere sui tagli passati, né penso che serva una polemica retrospettiva su questi temi. Tuttavia, non sfugge a nessuno che siamo di fronte a una situazione, soprattutto per quanto riguarda il comparto sicurezza e difesa del nostro Paese, in cui c’è il rischio di avere un punto di non ritorno nell’efficienza operativa delle forze. Mi si consenta, da italiano e non soltanto da parlamentare della Repubblica, di essere molto preoccupato, perché, se si raggiunge un punto di inefficienza operativa, per correggere quel punto occorreranno diversi anni, e non poche settimane.

Se questo è il tema, noi dobbiamo darci un obiettivo e, secondo me, deve darselo il Parlamento italiano: correggere la curva negativa. Dobbiamo farlo nel 2012: ci riusciamo possiamo riuscire, e per poter farlo, tenendo conto delle compatibilità di finanza nazionale e internazionale, dobbiamo affrontare di petto il tema che il collega Fiano ha sollevato nel suo intervento, cioè quello del modo in cui costruiamo e mettiamo in campo un nuovo modello di sicurezza nazionale.

Mi si consenta, signor Ministro, di ricordare – ma lei lo sa perfettamente, molto meglio di me – che abbiamo un modello di sicurezza nazionale che ormai ha sessanta anni, come la Repubblica. Poi sono stati aggiunti dei pezzi, ma singolarmente: non c’è stata mai una rivisitazione complessiva del modello.

Penso che questa fase di tregua parlamentare e di cooperazione delle forze parlamentari, debba servire per affrontare questi temi. Se non lo si fa in questa condizione di tregua parlamentare, quando si potrà farlo? Si tratta di temi di una tale delicatezza che non possono essere interesse di una parte contro un’altra, ma devono essere visti nell’interesse del Paese. Per questo motivo penso che sia importante che da questa Commissione, dal confronto tra le forze politiche, possa giungere al Ministero dell’interno come un’interlocuzione diretta, un punto di vista.

Oggi celebriamo un paradosso assurdo: celebriamo i trent’anni della legge n. 121 del 1981, tutti diciamo che questa legge ha trent’anni ma che è largamente inapplicata. È pazzesco. Solo in un Paese come il nostro si può dire, di una legge tanto strategica e che è in vigore da trent’anni, che essa è largamente inapplicata. Del resto, questa è la verità.

Forse è giusto che il Parlamento cominci a pensarci, con lo spirito unitario e positivo di cui parlavo prima.

Passo alla seconda questione e mi avvio rapidamente alla conclusione. Non entro nel merito del Patto per Roma sicura, che non conosco, tuttavia ho molto apprezzato – lo dico sinceramente – che con uno dei primi atti della sua azione di governo lei firmi il nuovo patto di sicurezza per Roma. Lo considero importante per diverse ragioni. In primo luogo, considero una scelta strategica molto importante il fatto che il nuovo Governo abbia inteso andare avanti sulla strada pattizia. A dire il vero, anche il precedente Governo aveva continuato su questa strada; si tratta di fare, se mi è consentito, patti veri. Questo, a mio avviso, significa che ognuno dà qualcosa: danno qualcosa gli enti locali, dà qualcosa lo Stato, però ognuno deve dare qualcosa.

Dobbiamo evitare di fare patti che siano soltanto declamazioni – non entro nel merito -, perché quello finisce per svilire lo stesso sistema del patto. Il patto significa chiamare ciascuno alla propria responsabilità.

In questo quadro, è anche molto importante che ci sia attenzione su Roma. Su Roma c’è una vera specificità e – possiamo dircelo con grande chiarezza – c’è un’emergenza sicurezza. La questione va affrontata attraverso una cooperazione tra gli enti locali e lo Stato nazionale, comprendendo però che c’è un’emergenza, che in questo caso non andrebbe in alcun modo sottovalutata.

Infine, lei ci ha parlato del terrorismo. Condivido le sue impostazioni e la sua analisi, tuttavia, aggiungerei qualche considerazione in merito agli elementi di preoccupazione e di prevenzione relativi alla tematica dei cyber attack. Penso che una nuova dinamica dell’attacco terroristico al nostro Paese, fermo restando quello che lei ha detto sul terrorismo interno e sulle relative preoccupazioni, che io sottoscrivo, riguardi il tema dell’attacco cibernetico, del cyber attack appunto, che può mettere in ginocchio un Paese.

Le chiedo di non abbassare la guardia. Sulla protezione delle infrastrutture critiche abbiamo sicuramente compiuto passi avanti, ma non siamo ancora un Paese in sicurezza. Se mi è consentito, su questo aspetto richiamerei molto l’attenzione sua, nella qualità di Ministro dell’interno, e del Presidente del Consiglio, nella misura in cui – se non ho capito male – ha tenuto per sé le deleghe relative ai servizi di sicurezza del nostro Paese.

La vicenda della black list sull’immigrazione è di una gravità inaudita. Se posso permettermi – su questo sono molto netto – quel sito va chiuso. Questa è una richiesta che le rivolgo formalmente e mi auguro che su questo ci sia una larga convergenza. Quel sito va chiuso perché siamo un Paese civile che non può permettersi questo.

Infine, una piccolissima considerazione su un aspetto più locale, che riguarda la mia regione, ossia una vicenda che riguarda la città di Reggio Calabria. Questa mattina è stato arrestato un consigliere comunale, ma c’è una sequenza di indagini giudiziarie che hanno investito il comune di Reggio Calabria. La preoccupazione è stata già sollevata da colleghi che, attraverso un’interrogazione, le hanno chiesto quale sia l’opinione del Ministero dell’interno. La collega Doris Lo Moro e la collega Calipari sono tra i firmatari di quell’atto di sindacato ispettivo.

Le chiedo se il Ministero dell’interno abbia intenzione di fare qualcosa e come intenda farlo, sapendo che c’è un incrocio tra questioni relative al bilancio e questioni relative alle infiltrazioni che va valutato con la massima attenzione e non con spirito di parte, bensì con la preoccupazione di chi pensa che bisogna far di tutto perché su una città della Repubblica italiana non si posi un’ombra lunga. In questo caso si tratta di una città della Calabria, ma la Calabria è ancora Italia, anche se qualcuno di noi la considera ai margini.

Le chiedo su questo un’attenzione particolare.

ORIANO GIOVANELLI. Signor presidente, signor Ministro, ho tre domande velocissime. Innanzitutto vorrei chiedere al Ministro, a cui auguriamo buon lavoro, se è sua intenzione prendere in mano la questione dell’attuazione degli Uffici territoriali del Governo.

Nel momento in cui chiediamo a tutto il Paese uno sforzo di razionalizzazione – e, se ho capito bene, in questo senso andrà la seconda fase del lavoro di questo Governo, a seguito di una spending review sistematica – credo sia inaccettabile che un provvedimento previsto dalla fine degli anni Novanta continui a rimanere inattuato, con la conseguenza di una proliferazione degli uffici dei ministeri centrali in tutte le sedi locali e dei ruoli dirigenziali, a fronte di una scarsissima utilità dal punto di vista della spesa rispetto al riscontro in termini di servizio.

L’attuazione degli Uffici territoriali del Governo, la chiusura degli uffici ministeriali presenti nel territorio e la loro riorganizzazione all’interno delle cosiddette nuove prefetture credo siano obiettivi coerenti con lo sforzo di riorganizzazione amministrativa che questo Governo dice di voler compiere e che non può essere fatto soltanto a casa degli altri, cioè nei comuni, nelle province e nelle regioni. Bisogna cominciare innanzitutto da casa propria, cioè dai ministeri.

La seconda questione rilevante, secondo me, è quella che riguarda la Protezione civile, a seguito del dibattito che abbiamo letto sui giornali. Esprimo il mio parere e vorrei conoscere il suo. Io sono contrario all’idea che la Protezione civile venga riorganizzata all’interno del Ministero dell’interno sotto la regia dei Vigili del fuoco. Nonostante abbiamo avuto modo in questi anni, purtroppo, di parlare di Protezione civile non sempre in termini positivi, a causa degli scandali che l’hanno accompagnata, la Protezione civile ha una funzione di coordinamento di servizi di altri Ministeri e quindi sta bene dove sta, cioè alla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Vorrei che ci dicesse, se le è possibile, una parola definitiva e chiara in merito, il che non significa non affrontare gli aspetti negativi legati al modo in cui finora la Protezione civile è stata organizzata e gestita, con la variante, anche piuttosto scandalosa, delle assunzioni operate in deroga al blocco delle assunzioni, seguendo percorsi tortuosi che hanno finito per premiare clientele e rapporti familiari.

L’ultima battuta riguarda una piccola questione, un po’ fastidiosa. Tutti gli anni ci ritroviamo con gli Uffici immigrazione coperti con personale a tempo determinato e con l’ansia di sapere se questi uffici potranno continuare a lavorare oppure mancherà il personale per un servizio decisivo e chiaro: quello di rendere semplice la regolarizzazione in questo Paese. Gli Uffici immigrazione lavorano bene e tutti gli anni ci troviamo di fronte questa spada di Damocle.

Se fosse stata fatta qualche assunzione clientelare in meno alla Protezione civile e fosse stata invece trovata qualche soluzione definitiva in più per gli Uffici immigrazione delle prefetture e delle questure, si sarebbe fatta cosa buona e giusta.

ISABELLA BERTOLINI. Ringrazio il Ministro anche per la sintesi che ha voluto utilizzare. Siccome mi rivolgo al Ministro di un Governo tecnico, le porrò alcune domande di carattere operativo perché credo che l’obiettivo di questo Governo sia quello di fornire risposte concrete.

Parto dalla questione dell’immigrazione, che lei oggi ha affrontato parlando soprattutto di integrazione. Condivido soprattutto il fatto di dare impulso all’accordo di integrazione che è stato firmato di recente, perché è un atto sicuramente importante, come pure condivido l’indignazione che lei ha espresso rispetto ai fatti di Firenze, che tutti condanniamo.

Mi piacerebbe, tuttavia, che la stessa indignazione che si è sollevata nel Paese, che è condivisibile e giusta, si sollevasse ogni qual volta si verifica un episodio grave come quello di Firenze. È vero che è stato compiuto un omicidio drammatico, ma è anche vero che spesso, per esempio, donne straniere vengono ammazzate dai propri mariti in nome del fondamentalismo o di precetti culturali, religiosi e tradizionali, senza che poi si svolga una fiaccolata di 15.000 persone.

È di oggi una sentenza importante che condanna all’ergastolo l’omicida della donna pachistana uccisa nel modenese. Ne è stata uccisa un’altra nel reggiano pochi giorni fa. Chiedo intanto al Ministro, a proposito di integrazione, quali impegni si vogliono assumere a favore e a vantaggio delle donne straniere che vivono in situazioni di minorità e di segregazione nel nostro Paese. Anche questo fa parte dell’integrazione e anche per questo motivo i fondi europei di cui lei prima ha parlato potrebbero estere utilizzati.

Io credo, Ministro, che immigrazione non sia solo integrazione, ma sia soprattutto contrasto all’illegalità e alla clandestinità. Le chiedo come il Governo intenda portare avanti gli impegni che erano già stati presi – e che potranno essere modificati, ma vorremo sapere in che modo – rispetto alla questione dei Centri di identificazione ed espulsione (CIE) nel nostro Paese. Come sappiamo, oggi sono insufficienti e dovrebbero esistere progetti di ampliamento e di radicamento su tutto il territorio nazionale. Vorremmo, quindi, sapere come ci si intende muovere su questo fronte.

L’altra domanda che le vorrei rivolgere non riguarda l’immigrazione, perché ne parleranno altri miei colleghi, ma una questione di cui si è discusso e che il vostro Governo ha portato alla nostra attenzione in questi giorni, cioè la proposta del Ministro Severino sull’utilizzo delle cosiddette camere di sicurezza per i processi per direttissima. Siccome la questione riguarda da vicino il suo Ministero, volevo chiederle se ci può fornire dati precisi su come è stata impostata la proposta. Per alcuni colleghi potrebbe essere un’idea condivisibile, ma per quanto mi riguarda non lo è: comunque, saremo chiamati a discutere a votare. Ci risulta, ma forse lei è in possesso di altri dati, che nel nostro Paese ci sono circa 700 camere di sicurezza presso le questure e i commissariati e che quasi 380 non sono idonee. Oltre 35 questure non avrebbero alcuna camera di sicurezza.

Vorrei capire se si tratta di una iniziativa che rimarrà sulla carta e, se invece non lo è, come intendete attuarla, visto che il provvedimento è già in discussione presso un’altra Commissione e nei prossimi giorni, come parlamentari, saremo chiamati a discuterne.

MARIO TASSONE. Svolgerò qualche riflessione e porrò qualche domanda in pochissime battute.

Signor Ministro, sicurezza può essere un concetto molto largo che riguarda non soltanto l’ordine pubblico, ma tutta la realtà connessa. Può riguardare anche l’ambiente e tutte le situazioni che si possono verificare a livello del territorio.

Non c’è dubbio che spesso anche gli uffici territoriali sono responsabilizzati e hanno un’incombenza rispetto all’esigenza di fronteggiare situazioni a volte estremamente difficili.

Svolgo una riflessione ad alta voce. Il Ministero dell’interno può essere un riferimento per un coordinamento su tutta la problematica riguardante la sicurezza, che potrebbe non essere soltanto un problema di forze dell’ordine. È un aspetto che riguarda certamente il presente, ma anche il futuro. Mi rendo conto che pongo una problematica che deve essere vissuta e affrontata e che esiste in termini molto seri. In alcuni Paesi, quando si parla di sicurezza, il Ministro che ha tale incombenza tratta alcuni temi e soprattutto ha competenze molto varie.

Per quanto riguarda la sua impostazione, ritengo che ci sia un aspetto che anche altri colleghi hanno rilevato, ossia un dato culturale e una dimensione umana che io ho potuto riscontrare in termini anche forti. Quando si parla di integrazione, partendo dalla vicenda di Firenze – ma potrei anche aggiungere la vicenda di Rosarno (qualche giorno fa ho avuto un confronto con il Sottosegretario Ruperto, il quale ha fornito una risposta molto attenta, per dire la verità) -, ci sono temi e argomenti che devono essere affrontati non in termini liturgici, rituali o di occasione e circostanza, ma come un dato molto forte, su cui si affrontano i tempi, con una sfida un po’ diversa rispetto al passato.

Lei faceva riferimento al Fondo europeo. La domanda che mi pongo in questo momento riguarda una politica europea. Il Fondo europeo, da solo, può significare tutto o nulla, se non c’è una politica europea sull’integrazione, ma, soprattutto, se non si pone in essere un’azione forte e intensa. Per questo motivo, poco fa, parlavo di coordinamento e facevo riferimento ad un ministero dell’interno che non fosse semplicemente l’organizzatore delle forze di polizia o l’istituzione che coordina o sopravanza le prefetture, in termini di responsabilità, ma che fosse qualcosa di più. Questo è un dato culturale che va vissuto in prospettiva.

Aggiungo un altro paio di domande. Per quanto riguarda le forze di polizia e la legge n. 121 del 1981, mi scuso con i colleghi che hanno fatto riferimento a tutto ciò, ma in Commissione affari interni, nel 1981, affermai chiaramente che la questione non funzionava. Lo affermai con molta franchezza, perché da parte di qualcuno c’era un interesse alla smilitarizzazione. Furono attribuiti gradi e qualifiche, ma ciò non produsse alcun risultato sotto il profilo della qualificazione in campo investigativo. Faccio riferimento alla formazione degli ispettori, che è mancata.

Tutto ciò mi fa venire in mente anche un’altra domanda che volevo porle, signor Ministro. Non sostengo che bisogna ritornare alle vecchie investigazioni, ma per individuare le responsabilità ci sono si le intercettazioni, ma c’è anche l’investigazione: c’è anche un modo dinamico di vedere i rapporti.

Quando lei parlava di mediazione e faceva riferimento alla mediazione rispetto ai fermenti sociali e soprattutto all’integrazione, non c’è dubbio che bisogna presupporre anche un personale qualificato. Credo che questo sia un dato imprescindibile, altrimenti chi compie la mediazione? Chi ha la responsabilità della mediazione in questi casi? Questo è un altro aspetto.

Inoltre, tanto per essere chiari, sono convinto che il coordinamento non esista. L’ho sempre sostenuto e manifestato e ho sempre dichiarato che non è possibile che abbiamo una delle strutture e delle articolazioni delle forze di polizia più numerose del mondo, in rapporto agli abitanti. È inutile che le elenchiamo, perché sappiamo quali sono.

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