Il Ministro della Salute Roberto Speranza ha illustrato le linee programmatiche del suo Dicastero nell’audizione alle Commissioni Salute riunite di Camera e Senato.
SPERANZA, ministro della salute. Signor Presidente, in primo luogo ringrazio in modo particolare gli Uffici di Presidenza delle due Commissioni. Ritengo non rituale questo passaggio, ma decisivo anche rispetto all’impianto di lavoro che mi propongo di costruire nelle prossime settimane. Ho un grandissimo rispetto del ruolo del Parlamento e credo lo dimostri anche la mia storia, che è una storia di parlamentare.
Ritengo che il confronto corretto sul piano istituzionale, sul piano formale, ma anche sul piano sostanziale tra il Parlamento e il Governo sia un elemento assolutamente caratterizzante la nostra democrazia, quindi sin da subito vi dico che questa relazione mi auguro sia la migliore possibile e crei condizioni utili e positive di collaborazione, nel rispetto dell’autonomia e della diversità di funzione che la Costituzione attribuisce a Governo e Parlamento, e anche – lo dico sin da subito – nell’auspicio che il dibattito e la discussione tra di noi possa essere costruttiva e capace di superare le naturali divisioni politiche che fanno parte della legittima dialettica parlamentare. Su una materia così delicata, come quella che ha a che fare la salute, ritengo infatti che l’interesse preminente del Paese e degli italiani venga prima di ogni altra valutazione anche di natura politica.
Quindi preciso da subito che ascolterò il dibattito con assoluta attenzione e considero le indicazioni, i suggerimenti e le critiche che verranno da questa sede assolutamente rilevanti anche per il lavoro che intendo proseguire nei prossimi mesi. Io ho una lunga relazione che proverò però a non leggere, almeno nella parte fondamentale iniziale, per poi toccare alcuni punti più significativi che hanno anche una valenza tecnica. Mi riprometto ovviamente di lasciare alle due Presidenze il testo la cui lettura richiederebbe un tempo evidentemente troppo lungo rispetto alle scadenze che ci siamo dati.
La premessa da cui intendo partire, non di natura rituale ma credo assolutamente sostanziale, è che le mie linee programmatiche saranno profondamente radicate nell’impianto costituzionale del nostro Paese. Io penso che non dobbiamo inventare un programma, perché lo abbiamo già ed è il programma che i Padri costituenti ci hanno consegnato e che in poche parole, quelle espresse in modo particolare dall’articolo 32 della Costituzione, indicano con straordinaria efficacia e forza l’indirizzo di fondo e fondamentale a cui voglio attenere il mio mandato. Sono poche parole su cui però ci fu un enorme dibattito in sede di Assemblea Costituente, e ognuna di quelle parole non fu scelta in modo casuale ma con una lunga e approfondita discussione, un lungo e approfondito confronto e anche una straordinaria capacità di tenere insieme le culture politiche diverse che in quel tempo si confrontavano dentro la stagione costituente.
«La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo, come interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti»: questo è il primo comma dell’articolo 32. Le parole, come dicevo, non sono casuali. Ci fu un dibattito ad esempio sull’utilizzo della parola «individuo»: c’erano altre ipotesi in campo; c’era chi proponeva l’idea di usare la parola «cittadino»; c’era chi propose addirittura l’idea della parola «lavoratore». Il legislatore costituente scelse la parola «individuo» perché è quella più larga, e il concetto di fondo che si esprimeva intorno a questa scelta era l’idea dell’universalità del Servizio sanitario nazionale: dentro questa scelta di natura costituente c’era la prima straordinaria indicazione dell’universalità del Servizio sanitario nazionale.
Io provo a dirla nel modo più naturale e più semplice possibile che mi viene: l’universalità significa, per il legislatore costituente, che di fronte ad un essere umano malato e bisognoso di cure non conta la condizione economica di provenienza, non conta la Regione, il territorio di cui si fa parte, non contano dinamiche di altra natura, ma si ha un diritto universale sacrosanto alla cura.
Questo diritto è addirittura descritto dal costituente come fondamentale; non c’è un altro pezzo della Costituzione dove la parola «diritto» sia affiancata alla parola «fondamentale».
Parto da qui perché ritengo che questo sia il programma di fondo. Tutto il resto che verrà, ossia le trenta pagine che depositerò e le discussioni che immagino faremo su singoli aspetti di intervento sulle politiche sanitarie, non possono che essere frutto e figlie di un orizzonte strategico fondamentale che ci viene consegnato da quell’indicazione di fondo.
Io vorrei subito attirare la vostra attenzione su un punto che a me pare tutt’altro che secondario. Noi abbiamo tra le mani una pietra preziosa che è questa impostazione e questo impianto di fondo che ci viene offerto, e che poi il legislatore ordinario provò un po’ alla volta a realizzare. È del tutto evidente che il percorso di realizzazione di quei principi di natura costituzionale, per quanto mi riguarda, è ancora in itinere e non è completato.
La realtà di oggi richiede ancora uno sforzo enorme rispetto alla piena applicazione di quei principi. È evidente che la legge n. 833 del 1978, istitutiva del Servizio sanitario nazionale, è stata il primo vero mattone della costruzione legislativa ordinaria. Ci sono stati successivi interventi importanti, ma siamo ancora dentro questo percorso. Quindi, l’obiettivo di fondo del lavoro del Ministro, ma credo anche di tutto il Parlamento, è quello di avvicinare ogni giorno un po’ di più la realtà che viviamo ai principi che la Costituzione ci indica.
Io vorrei, insieme al Parlamento, fare anche uno sforzo per trasferire al Paese, agli italiani, all’opinione pubblica la consapevolezza di quale pietra preziosa abbiamo tra le mani. Questa consapevolezza non sempre è nella pienezza cognitiva del nostro Paese. Io vengo da due giorni molto interessanti di confronto in Giappone al G20 dei Ministri della salute; posso garantirvi che in quella sede internazionale, nel confronto con i Ministri della salute dei Paesi più importanti del mondo, c’è il riconoscimento al Servizio sanitario italiano di una qualità straordinaria, che ahimè non sempre è fino in fondo riconosciuta nel nostro dibattito pubblico. Ci sono Paesi del mondo in cui, se stai male, hai bisogno della carta di credito, hai bisogno di un sistema di natura eminentemente assicurativa. Credo che lo sforzo comune che dovremo fare in questi mesi è anche trasferire al nostro Paese la consapevolezza di che pietra preziosa abbiamo tra le mani; il che non toglie evidentemente dal tavolo la necessità di dover migliorare costantemente e anche sanare ciò che non funziona, i limiti e le inefficienze che pure evidentemente ci sono.
È chiaro che i cambiamenti epocali degli ultimi anni mettono il Servizio sanitario nazionale di fronte a sfide inedite molto importanti. Penso al cambiamento demografico e al rovesciamento della piramide demografica: il nostro è uno dei Paesi del mondo con il più alto tasso di aspettativa di vita alla nascita e questo è senz’altro un fatto positivo, ma evidentemente è anche un elemento che rappresenta una sfida per la tenuta, la compatibilità e la sostenibilità del Servizio sanitario nazionale. Il rovesciamento della piramide demografica ha, inoltre, conseguenze molto importanti sul piano epidemiologico: cambia anche l’epidemiologia nel nostro Paese perché si rafforzano le cronicità. Ci sono innovazioni tecnologiche straordinarie e scoperte scientifiche – ne parlerò in questa mia relazione – di grande significato e di grande impatto nella cura di alcune malattie. Penso – ne dico solo una, su cui poi tornerò – a cosa può significare il Progetto Italia Car-T-Cells rispetto alla lotta contro il cancro, contro il tumore. Noi dobbiamo capire come attrezziamo il nostro Servizio sanitario dentro i cambiamenti epocali a cui stiamo assistendo e a partire, però, dal rispetto dei principi che per noi restano essenziali.
Per passare dai principi più alti alle scelte di Governo e agli orizzonti progettuali su cui dobbiamo lavorare, il primo passaggio che vorrei provare a condividere con voi è legato a un altro aspetto di natura culturale, ma che ha un’immediata ricaduta sul funzionamento del Servizio sanitario nazionale. Se sono vere le cose che ho detto sui principi e sugli articoli della Costituzione, allora la prima conseguenza ha a che fare con le risorse, che sono un grande tema ineludibile con il quale dobbiamo confrontarci. Prima ancora di venire ai numeri, credo ci sia la necessità di condividere un principio culturale di fondo. Se sono vere le cose che abbiamo detto finora e, cioè, se è vera l’affermazione solenne di un fondamentale diritto dell’individuo che va difeso, allora è anche vero che è immediata conseguenza di questa affermazione che le risorse che si mettono sulla salute non possono essere considerate una mera spesa, ma devono essere considerate, coerentemente con quell’impianto costituzionale, un investimento straordinario sulla vita delle persone. Io credo che ci sia un altro pezzo di battaglia culturale che auspicherei vedesse il Governo in piena collaborazione e condivisione con il Parlamento. Se quelli sono i principi, a quel punto è evidente che le risorse che lo Stato decide di mettere sul capitolo salute devono necessariamente essere considerate non una mera spesa pubblica, spesso anche improduttiva, ma un investimento straordinario sulla qualità della vita delle persone, sulle esistenze degli esseri umani.
Dal mio punto di vista, in questi primi circa quarantacinque giorni al Ministero, ho provato a lavorare incessantemente, anche nel confronto con i miei colleghi di Governo, perché questo principio vedesse già una prima ricaduta significativa nel passaggio che riguarda la manovra di bilancio, che sapete essere in discussione esattamente in questa fase dell’anno e che vi vedrà da qui a pochi giorni pienamente impegnati, anche perché da qui a pochissimo i testi verranno formalmente depositati in Parlamento. Penso di poter dire, con il rispetto dovuto al lavoro che ancora verrà e che mi auguro sia ulteriormente migliorativo da parte del Parlamento, che il testo della manovra di bilancio uscito dal Consiglio dei ministri mostri un’attenzione molto importante rispetto a quanto detto finora.
Si chiude definitivamente la stagione dei tagli alla sanità e alla salute e si ricomincia a investire in maniera molto consistente. I 2 miliardi di euro in più previsti per il 2020 sul Fondo sanitario nazionale sono completamente confermati. Al netto di una previsione che era stata fatta in maniera informale da tanti, che ritenevano pressoché impossibile confermare una posta così alta, noi siamo riusciti a consolidare 2 miliardi in più per il 2020 e 1,5 miliardi in più per il 2021. Voglio segnalare a questa sede autorevole che 2 miliardi in più è un passo avanti molto significativo rispetto a quanto fatto negli ultimi anni: due anni fa la cifra in più era poco sotto il miliardo e l’anno scorso la cifra in più era pochissimo sopra il miliardo. Se stiamo al delta di progressività e, cioè, di crescita del dato economico e finanziario, negli anni precedenti la crescita del fondo sanitario nazionale è stata dello 0,7 e dello 0,9 per cento, mentre quest’anno siamo di fronte a una crescita dell’1,7 per cento. È chiaro che i fabbisogni del nostro Servizio sanitario nazionale sono sempre enormi rispetto a questi numeri, ma non si può non valutare come un fatto straordinariamente rilevante e positivo un investimento molto significativo, che auspico possa ancora incontrare nel passaggio parlamentare un’ulteriore opportunità di consolidamento.
Sempre in questa manovra di bilancio c’è un investimento ulteriore di 2 miliardi sul famoso fondo legato all’articolo 20 della legge n. 67 del 1988 sull’edilizia sanitaria e sull’innovazione tecnologica. Anche in questo caso abbiamo a che fare con 2 miliardi che in un piano pluriennale possono incidere positivamente sulla vita delle persone. C’è poi un’altra scelta che viene fatta con risorse extra Fondo sanitario nazionale e che ritengo strategica per cui mi sono battuto personalmente in queste prime settimane. È la scelta di abolire il superticket.
Dal 1° settembre del 2020 andrà a regime in maniera definitiva nel nostro Paese l’abolizione del superticket. Sul piano finanziario questo significa un investimento di 165 milioni di euro nel 2020 e di 490 milioni di euro per gli anni successivi, che si sommano ai 60 milioni di euro che erano già stati disposti dalla manovra dell’anno precedente. Sono risorse che arrivano extra Fondo sanitario nazionale. C’era una preoccupazione da parte delle Regioni per il timore che queste risorse rientrassero nei 2 miliardi in più; invece sono risorse fuori da questi 2 miliardi.
Come vedete, il pacchetto d’insieme che emerge dal Consiglio dei ministri – ribadisco che mi auguro che queste Commissioni, in modo particolare, riescano ulteriormente a irrobustire nel passaggio parlamentare -segnala uno straordinario avanzamento e un’attenzione molto significativa di tutto il Governo verso la tematica
In merito al superticket, mi sia consentito ancora un momento di approfondimento. Ritengo da sempre che questa misura sia iniqua e che abbia generato diseguaglianze all’interno del Paese. Come è noto a voi tutti, alcune Regioni erano riuscite, meritoriamente, a mettere in campo provvedimenti che, attraverso misure alternative, avevano evitato il superticket, mentre – ahimè – molte altre Regioni (specie quelle con maggiori difficoltà) avevano dovuto conservare questa misura.
Che cosa è avvenuto? Ci si è trovati di fronte al paradosso per cui la stessa visita specialistica, effettuata in due territori diversi del nostro Paese, aveva un costo dissimile. Inoltre, proprio nelle Regioni dove la qualità è mediamente più alta – ce lo dicono i dati statistici e la griglia dei LEA – i costi delle visite specialistiche erano spesso più bassi. Al contrario, laddove i servizi erano più deboli le visite specialistiche avevano un costo più alto. Ho ritenuto sin dall’inizio che ci trovassimo di fronte a una diseguaglianza non sostenibile e che, quindi, occorresse lavorare da subito per abolire il superticket. Oggi mi sento di dire che aver tolto quella che era una vera e propria tassa sulla salute è un risultato importante e un successo di questo Governo, che vorrei fosse condiviso dal Parlamento.
La mia personale opinione è che ogni volta che un individuo di questo Paese – ricordo che la stessa Costituzione riconosce nella tutela della salute un diritto fondamentale dell’individuo – non si cura come dovrebbe per motivi economici si è di fronte a una sconfitta per lo Stato. Al contrario, ogni volta che si riesce ad abbassare la diga di accesso alle cure si è di fronte a una vittoria dello Stato. Pertanto, rivendico con grande forza quanto abbiamo fatto su questo terreno.
Mi avvio ora alla parte più strettamente programmatica. Le due questioni che ritengo fondamentali hanno a che fare con i temi della programmazione e della prevenzione. La premessa a qualsiasi iniziativa che si intende adottare nel campo delle politiche sanitarie di questo Paese ha a che fare con il capitale umano. Infatti, senza un investimento adeguato nel capitale umano e, in modo particolare, nelle tante straordinarie energie che operano nel settore delle politiche sanitarie a tutti i livelli diviene impossibile qualsiasi programmazione e prevenzione. Il primo capitolo di questo lavoro più stringente di merito (di cui quel che ho detto finora è evidentemente la premessa politico-culturale) ha a che fare con un investimento strategico che dobbiamo costruire nella materia del capitale umano.
Su questo capitolo mi piace partire da un tema che potrebbe sembrare non immediatamente prioritario sul piano delle ricadute strettamente economiche e finanziarie, ma che io ritengo invece assolutamente prioritario sul piano dell’idea che il Paese ha del Servizio sanitario nazionale. Mi riferisco, in modo particolare, al lavoro meritorio che il Parlamento sta facendo anche con l’approvazione delle cosiddette norme antiaggressione e antiviolenza. Ricordo che il provvedimento è stato approvato all’unanimità al Senato (fatto assolutamente positivo) e che è ora in discussione alla Camera dei deputati.
Se decidiamo di investire fino in fondo sulle politiche sanitarie e sulla salute del Paese, il primo messaggio di fondo che tutti insieme dobbiamo dare come istituzioni è che lo Stato si prende cura di chi si prende cura di noi. Ciò che intendo dire è che lo Stato deve prendersi cura di chi ogni giorno, nei luoghi deputati alla tutela della salute, lavora e opera per prendersi cura di chi è malato o vive in situazioni di sofferenza e disagio.
Penso che il testo approvato dal Senato sia uno straordinario punto di avanzamento, che offre un terreno assolutamente positivo di lavoro. Sono convinto che la Camera dei deputati sarà in grado di ampliare ulteriormente il portato positivo del provvedimento. Con l’approvazione di questo testo, che auspico possa avvenire in un tempo congruo, ferme restando le prerogative del Parlamento, si potrà dare al Paese un messaggio giusto e positivo di presa in carico di un problema che c’è ed è drammatico e non sopportabile, perché le aggressioni e le violenze contro il personale sanitario non sono in alcun modo accettabili.
Fatta questa premessa, ritengo che abbiamo bisogno di fare un lavoro più specifico su alcuni punti. C’è un grido di dolore, che non possiamo non ascoltare, che arriva in modo particolare dalle Regioni. Si tratta di un grido di dolore che non arriva più da alcuni territori, ma che è ormai diffuso e sostanzialmente omogeneo. Non è un caso che dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome mi sia arrivato un testo abbastanza corposo, suddiviso in punti, che offre un pacchetto di ipotetiche soluzioni a quello che tutti ritengono essere un problema enorme, cioè la carenza del personale. Intendo pertanto riferirvi alcune delle misure che intendiamo adottare e, per puntualità, darò lettura di una parte di questo appunto.
«Il mondo sanitario costituisce un sistema estremamente complesso che risente di una molteplicità di variabili, in continuo mutamento per numerosi fattori, quali il rapido sviluppo di conoscenze scientifiche e della tecnologia, una domanda sanitaria sempre più spostata verso la cronicità, il manifestarsi nel tempo di emergenze individuali e collettive. Per dare una riposta efficace a queste sfide, un ruolo fondamentale è svolto dal capitale umano rappresentato dagli operatori e dalle professioni sanitarie che concorrono in vario modo ad assicurare cure ed assistenza.
Al fine di poter fronteggiare le nuove sfide, è necessario assicurare la disponibilità di adeguate risorse finanziarie, intervenendo sui vincoli assunzionali al fine di renderli maggiormente flessibili, aiutando le Regioni a far fronte alle contingenti esigenze delle proprie reti assistenziali mediante strumenti di governo del personale idonei a fronteggiare con tempestività la molteplicità di esigenze connesse alla prestazione di cure, anche superando le condizioni di precarietà (che, ahimè, sono molto presenti nel nostro Paese). Sul tema sono allo studio una serie di misure.
Occorre inoltre garantire l’incremento dei contratti statali di formazione medica specialistica. Tale indirizzo oltre a contribuire alla soluzione dell’annosa problematica del cosiddetto imbuto formativo, concorrerà ad affrontare il grave problema della carenza di personale medico, aggravato dalla cosiddetta gobba pensionistica e cioè dal rilevante esodo che si registrerà nei prossimi anni in conseguenza del pensionamento di un rilevante numero di medici specializzati attualmente in servizio.
Sarà inoltre necessario garantire un’adeguata valorizzazione degli specializzandi all’interno delle reti assistenziali, anche al fine di facilitarne il successivo inserimento lavorativo, riducendo così i rischi di “dispersione” dopo il conseguimento della specializzazione.
Al fine di far fronte ai nuovi bisogni di salute, connessi all’invecchiamento della popolazione e all’aumento delle cronicità, occorrerà poi portare a compimento la riforma dell’assistenza territoriale, già avviata, anche attraverso la definizione di un nuovo ruolo del medico di medicina generale. In tale ottica sarà necessario assicurare innanzitutto una revisione dei contenuti del corso regionale di formazione specifica in medicina generale, in ragione dei mutati scenari sanitari e sociali intervenuti nel tempo, al fine di ridisegnare un percorso di formazione che, pur tenendo conto delle specificità territoriali, assicuri un set minimo omogeneo di requisiti formativi qualitativi e quantitativi, indispensabili a garantire livelli uniformi di assistenza.
È altresì fondamentale investire nella formazione continua del personale medico e di tutti gli operatori sanitari per fronteggiare in modo adeguato le continue sfide poste dall’evoluzione tecnologica, dagli sviluppi della ricerca scientifica e dai nuovi protocolli di prevenzione, cura ed assistenza.
Inoltre, per far fronte alle nuove sfide che il Sistema sanitario nazionale è chiamato ad affrontare, in particolare per la gestione della cronicità e dell’emergenza, occorrerà proseguire nella riflessione sul potenziamento di modelli multiprofessionali e multidisciplinari nei quali trovi adeguato spazio la valorizzazione di tutte le professioni sanitarie, che, come molte esperienze avviate con successo sul territorio nazionale hanno dimostrato, assicurano nuove sinergie tra le professioni, a tutto vantaggio del SSN e soprattutto dei cittadini».
Prima di andare oltre, vorrei aggiungere una velocissima valutazione. Penso che quello della carenza del personale sia un tema enorme. Ho usato parole chiare come «grido di dolore», perché è questo che arriva dalle Regioni. Vorrei che sulla questione del personale costruissimo insieme, anche in un confronto tra Governo e Parlamento, ipotesi di intervento nel più breve tempo possibile.
Il principio di fondo che mi guida nasce anche da una valutazione degli ultimi anni di vita del Servizio sanitario nazionale. È evidente che nei primi anni Duemila il nostro Paese ha corso un grande rischio. Nell’ambito di una crisi economica e finanziaria e un’esposizione debitoria molto alta di tutto il sistema del Servizio sanitario nazionale, sono state fatte dal legislatore alcune scelte indispensabili per provare a mettere i conti a posto. Ci si è trovati quindi di fronte a scelte obbligate.
Quella fase politica, storica, economica e finanziaria del Paese credo sia alle nostre spalle. È figlia di quella storia l’impostazione costruita per silos di spesa distinti, con i relativi tetti. La mia personale opinione è che tale impostazione, figlia di quella particolare stagione e di quelle scelte probabilmente obbligate, oggi possa essere ripensata. Non è una riforma di un giorno, non è una riforma che si può fare in qualche settimana, ma credo che nel percorso di questa legislatura bisognerebbe trovare una modalità intelligente per affrontare questo tema.
Per esempio, per quanto riguarda il personale, il tetto stabilito nel 2004 era meno 1,4 per cento ed è evidente che le piccolissime modifiche fatte negli anni (del 5 per cento nell’ultimo decreto in materia) non sono sufficienti a dare risposte. A mio parere, quindi, la cura era giusta e probabilmente obbligata in quel passaggio storico, ma a distanza di un numero significativo di anni, il legislatore istituzionale dovrebbe ragionare su come ricostruire un’impostazione più complessiva. Questa, secondo me, dovrebbe essere materia di un confronto stringente tra Governo e Parlamento.
Inoltre, tra i molti altri punti che vorrei toccare, sul piano della programmazione penso sia di particolare importanza un tema di cui si è discusso poco, cioè la realizzazione di un modello statistico predittivo dello Stato – il cosiddetto modello previsionale – sulla salute della popolazione e sul conseguente fabbisogno di risorse del Servizio sanitario nazionale su scenari tendenziali di medio e lungo periodo che tengano conto dell’evoluzione demografica ed epidemiologica in atto, a supporto delle scelte di politica sanitaria.
La qualità del sistema di cura, come è noto, prevede la piena attuazione del decreto ministeriale n. 70 del 2015 che definisce gli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera. Penso che sia necessario continuare l’attività di monitoraggio delle azioni intraprese dalle Regioni per il riassetto strutturale e la riqualificazione della rete dell’assistenza ospedaliera attraverso un’analisi puntuale degli interventi realizzati per il raggiungimento degli obiettivi.
Proseguiranno ancora, sempre in ambito di programmazione, le attività correlate all’istituito tavolo di aggiornamento del Piano nazionale delle malattie rare in collaborazione con tutti i portatori d’interesse coinvolti. Sarà costituito un tavolo di lavoro interistituzionale, con la partecipazione delle Regioni e degli stakeholders, individuati anche in base alle indicazioni fornite dal nuovo Patto per la salute, con lo scopo di individuare standard condivisi afferenti l’area dei servizi territoriali.
Analogamente a quanto già fatto per il riordino della rete ospedaliera, con il decreto ministeriale n. 70 del 2015, vorrei costruire un percorso condiviso di riqualificazione dell’assistenza socio-sanitaria territoriale nel rispetto dell’autonomia organizzativa delle singole Regioni, ma che consenta un’uniformità di presa in carico globale della persona e della continuità assistenziale.
Proseguirà, inoltre, l’attività della cabina di regia nazionale del Piano nazionale della cronicità e in più si continuerà il lavoro, che ritengo importante e positivo, che è stato avviato durante la fase precedente, sul piano nazionale di governo delle liste di attesa: un grande tema che incrocia una sensibilità molto diffusa nel nostro Paese.
Sul Patto per la salute mi sia consentita un’ulteriore riflessione. Come è noto, la legge prevedeva che il Patto per la salute venisse approvato entro il 31 marzo 2019. Questo non è avvenuto, nonostante una lunga interlocuzione tra Regioni e Stato. Ho immediatamente ripreso questa partita che ritengo assolutamente fondamentale perché il Patto per la salute è il documento strategico di fondo nella relazione tra chi ha competenze sulle politiche sanitarie, cioè lo Stato e le Regioni. Credo di poter dire che il dialogo è stato riattivato con grande correttezza istituzionale, in una relazione positiva tra tutte le Regioni e il Governo. Ritengo che vi siano le condizioni per accelerare il lavoro nelle prossime settimane e arrivare nel più breve tempo possibile all’approvazione di questo documento strategico che inizia ad affrontare alcune delle questioni fondamentali che abbiamo di fronte.
Tra l’altro, nell’ambito del Patto per la salute, a seguito della conclusione della fase sperimentale, diventerà operativo il nuovo sistema di garanzie che introdurrà una nuova metodologia per il monitoraggio dei livelli essenziali di assistenza (LEA) in tutte le Regioni italiane. Il nuovo sistema di garanzie (NGR) sostituirà l’attuale griglia dei LEA che tuttavia rimarrà ancora vigente per il monitoraggio delle annualità in corso.
Vorrei che ragionassimo, poi, sul tema dell’allocazione delle risorse, cioè di come distribuire il Fondo sanitario nazionale. Penso che si potrà ragionare – e anche in questo caso mi aspetto un contributo da parte del Parlamento – su una metodologia per la revisione del sistema di ripartizione regionale del finanziamento del Servizio sanitario nazionale basata su dati di bisogno sanitario della popolazione e sulla definizione di strumenti per la rideterminazione del fabbisogno sanitario regionale standard.
Va ricordato, peraltro, che una revisione dei criteri di pesatura si impone anche al fine di dare compiuta applicazione alle vigenti disposizioni, oltre che per consentire di addivenire ad una corretta individuazione dei fabbisogni regionali in sede di riparto senza più dover ricorrere, come detto in precedenza, all’introduzione nell’ordinamento di norme apposite che consentano deroghe alla normativa vigente.
In considerazione di quanto sopra, pertanto, nel 2020 il Ministero della salute dovrà proseguire le attività finalizzate alla revisione, compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica e con gli obblighi internazionali assunti dall’Italia in sede comunitaria, dei criteri di riparto delle risorse destinate al finanziamento del Servizio sanitario nazionale. Sarebbe opportuno rivedere anche i criteri di qualità, appropriatezza ed efficienza utilizzati per la selezione delle Regioni benchmark.
Nel 2020 lavorerò, inoltre, su un altro tema che ha avuto una vasta eco mediatica e cioè sull’ipotesi di revisione del sistema di compartecipazione alla spesa sanitaria da parte dei cittadini che, a parità di entrate, valuterà l’ipotesi di una redistribuzione del peso della partecipazione in funzione del reddito familiare equivalente.
Il sistema della partecipazione al costo delle prestazioni sanitarie e delle esenzioni necessita di un intervento di razionalizzazione, soprattutto nelle aree in cui la disciplina in vigore è palesemente insufficiente o iniqua; penso ad esempio alle famiglie numerose e con redditi bassi. Ciò al fine di migliorare l’equità del sistema e ridisegnare la partecipazione alla spesa sanitaria e le esenzioni, attribuendo un peso determinante al fattore condizione economica del nucleo familiare.
Su questa materia ho annunciato un disegno di legge collegato alla legge di bilancio. Da parte mia c’è tutta la volontà di interagire non solo con il Parlamento, per la funzione che gli compete, ma anche con le forze sociali, perché la materia è di assoluta delicatezza ma io credo che debba essere affrontata.
Per quanto concerne la rilevazione puntuale e sistematica dei costi delle prestazioni ospedaliere, specialistiche e ambulatoriali, questa si colloca in un più ampio processo di aggiornamento delle tariffe promosso dalla Commissione permanente per l’aggiornamento delle tariffe – istituita ai sensi dell’articolo 9 del Patto per la salute – che coordinerà l’intero processo tenendo anche conto dell’esito dei lavori della Commissione LEA sull’aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza.
Occorrerà realizzare un sistema di analisi dei costi delle prestazioni che consenta un monitoraggio continuo degli stessi e supporti l’aggiornamento sistematico delle tariffe, anche attraverso una sperimentazione della metodologia utilizzata in alcune strutture oggetto del campione e la validazione esterna per supportarne l’aggiornamento sistematico. Questi obiettivi risultano rilevanti per verificare la coerenza tra le tariffe e l’effettivo costo delle prestazioni ed evitare la generazione di incentivi o disincentivi economici impropri.
Il Ministero della salute, come già dicevo, è impegnato ancora nella predisposizione e attuazione del Progetto Italia Car-T-Cells, teso ad individuare le officine farmaceutiche nell’ambito delle strutture ospedaliere accreditate in grado di produrre le terapie geniche. Le modalità di concreta realizzazione delle officine farmaceutiche verranno individuate con decreto ministeriale, previa intesa della Conferenza Stato-Regioni. A tal fine, è in corso il confronto con le Regioni per individuare le strutture ospedaliere dove allocare gli investimenti per la realizzazione delle officine farmaceutiche, avendo cura di garantire un’equa distribuzione territoriale.
Su questo segmento, che, come già ho avuto modo dire, considero assolutamente strategico, il Governo ha deciso di investire già 60 milioni di euro, 10 milioni per ciascuna di queste officine farmaceutiche. Il nome «officina farmaceutica» è tale perché in realtà sono dei laboratori che lavorano su queste cellule, che vengono estrapolate dai pazienti e poi reimmesse nei pazienti.
Proseguirà inoltre, come dicevo, il programma pluriennale di investimenti in edilizia e tecnologie sanitarie, previsto dall’articolo 20 della legge 11 marzo 1988, n. 67, finalizzato alla riqualificazione del patrimonio edilizio e tecnologico pubblico e alla realizzazione di residenze sanitarie assistenziali nonostante l’esiguità delle risorse economiche residue. Una recente ricognizione effettuata ha rilevato un fabbisogno d’interventi infrastrutturali pari a 32 miliardi di euro. Tale importo è comprensivo di oltre 12 miliardi per l’adeguamento antisismico, di circa 3 miliardi per l’adeguamento antincendio, più 1,5 miliardi necessari per un adeguato ammodernamento tecnologico delle attrezzature a disposizione dei servizi regionali.
Da ultimo, proseguirà l’attività relativa al contenimento della mobilità sanitaria distinguendo, nell’ambito di tali flussi, tra la componente fisiologica e quella determinata da carenze dell’offerta della Regione di residenza del paziente. Altro obiettivo è quello di scoraggiare il ricorso a pratiche inappropriate o a comportamenti opportunisti da parte degli erogatori che agiscono fuori dalla competenza regionale.
Venendo alla prevenzione, tra le priorità che il Dicastero intende sviluppare vi è la valorizzazione delle policy relative alla prevenzione in tutte le sue forme. Al riguardo – forse potrei provare a stare sui tavoli per procedere più velocemente – evidentemente la prevenzione è un punto fondamentale della nostra agenda di Governo e desidero dire da subito che particolare attenzione sarà riservata all’educazione sanitaria nei diversi ambiti dove essa può essere attuata. Sul piano della prevenzione vorrei partire da una materia che, anche se non sembra e forse non è stata tradizionalmente connessa alle questioni delle politiche sanitarie, in realtà credo sia decisiva per il futuro. Faccio riferimento in modo particolare al legame tra politiche per la salute e politiche per l’ambiente, che credo sia un punto essenziale su cui dovremo provare a lavorare insieme.