Audizione del direttore generale per i sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia, dottor Stefano Aprile, in relazione alle misure urgenti per la digitalizzazione della giustizia di cui all’articolo 4 del decreto-legge 29 dicembre 200

 

La stessa legge n. 2 del 2009, in una disposizione che ha un’attuazione più graduata rispetto a quella che citavo prima rivolta ai professionisti e alle imprese, prevede di dotare tutti i cittadini italiani della posta elettronica certificata e il Ministro per l’innovazione, mi sembra a maggio dell’anno scorso – ma potrei sbagliare – ha emanato il DPCM attuativo e la procedura è naturalmente in corso. Quello che importa è che vengano adottate le norme di carattere generale, quale questa, che rendano possibile che, laddove la casella è esistente (e ciò risulta dall’indice nazionale delle caselle istituito dalla stessa legge) la comunicazione avvenga anche per quella via. È chiaro che, per i prossimi uno o due anni, saremo concentrati sui professionisti, che già da novembre sono obbligati a dotarsi dello strumento.

È stata posta una domanda di carattere generale sull’impatto dell’introduzione di questa procedura. Al riguardo, elementi abbastanza precisi derivano dall’esperienza milanese dove, come ho accennato, abbiamo avviato a valore legale la comunicazione elettronica per il solo processo civile dal 2 giugno del 2009. Come dicevo, si tratta di 100.000 atti notificati – espressione ormai superata – o meglio comunicati elettronicamente. Ho anche citato qualche elemento di ipotetico risparmio di spesa diretta.

Per quanto riguarda i tempi, si ragiona più sulle stime. È difficile dire quanto tempo del processo si risparmia, ma sicuramente la durata media di un rinvio in primo grado, che varia a seconda del ruolo tra i due e i sei mesi, potrà non tener conto del rinvio tecnico per la notifica.

Sicuramente, dunque, quello che tradizionalmente viene stimato in uno o due mesi (a seconda dei tribunali) come tempo necessario tra disposizione della notifica e ritorno della stessa può essere tagliato, dal punto di vista tecnico.

Oltretutto, si risparmiano anche – ma qui la stima è ancora più difficile – i rinvii per le omesse notifiche. Capita che si rinvii il processo a sei mesi per fare la notifica, ma questa arrivi troppo tardi o sia sbagliata e non ci sia il tempo per rifarla entro la data fissata, quindi si deve rinviare l’intero processo di altri sei mesi. Questo dato è il più difficile da quantificare. Sicuramente si tratta di numeri sensibili, soprattutto in realtà giudiziarie grandi, dove l’impatto dei numeri ha conseguenze importanti.

L’onorevole Contento chiedeva notizie sulla sperimentazione e su quello che è stato fatto sul territorio. Ebbene, non è stata fatta alcuna sperimentazione. In alcune realtà, dove possibile, è stato avviato il sistema a valore legale. Non è una sperimentazione, dunque, ma una realizzazione effettiva, operativa.

Come ho detto, abbiamo avviato la procedura dal 2 giugno a Milano e dal 4 dicembre a Rimini. Anche altri uffici, in altri settori – cito solo questi per semplicità, ma l’elenco sarebbe lungo – hanno avviato pezzi del processo digitale: il decreto ingiuntivo, le esecuzioni mobiliari e immobiliari. Per queste ultime, tra l’altro, vi è un importante impatto economico sull’intero sistema Paese, perché una procedura esecutiva lunga fa danno al creditore, ma anche al debitore; al contrario, l’accorciamento dei tempi aiuta il Paese, oltre ai due attori.

Le attività realizzate sul territorio sono così positive che noi stiamo semplicemente adeguando lo strumento normativo alle innovazioni sia normative (la legge n. 2 del 2009) sia tecnologiche. Si tratta, quindi, della stessa cosa; cambia soltanto il nome del canale che usiamo per trasmettere i documenti: prima si chiamava posta elettronica del processo telematico, oggi si chiama posta elettronica certificata. Si utilizza lo stesso oggetto, la posta elettronica, ovviamente con la garanzia, rispetto alla comune posta elettronica, delle ricevute, come se si trattasse di una lettera raccomandata (mi riferisco alla cartolina bianca che ci viene recapitata quando la comunicazione è giunta a buon fine). Questo, comunque, è un fatto assolutamente tecnico, che purtroppo, per la tecnica normativa utilizzata, era stato ingessato nel decreto-legge sicurezza. Da lì la necessità di intervenire a modificare quella norma. È un sistema omogeneo, perché unico in tutta Italia, che viene acceso nei tribunali quando sono pronti.

L’onorevole Contento chiedeva notizie circa il percorso per arrivare all’accensione – così la definisco – del sistema in un ufficio. Ebbene, la legge prevede la verifica tecnica da parte dei miei uffici, l’istanza dell’ufficio giudiziario, il consenso dell’ordine degli avvocati e il consenso dell’avvocatura distrettuale dello Stato, un altro soggetto coinvolto nel processo. In presenza di queste condizioni, il ministro emette il decreto che attiva la procedura.

Due domande riguardano la PEC: quante caselle sono state richieste e a chi vengono assegnate. Ebbene, quando ci si avvicina alla PEC bisogna dimenticarsi, se non nella modalità di uso, di quello che facciamo con le nostre caselle personali. Le nostre caselle di posta sono, appunto, personali. La casella di posta elettronica certificata è, invece, una casella di tipo istituzionale; salvo casi particolari, come può essere quello degli onorevoli senatori e deputati, non ha senso che il singolo abbia la casella. La casella ce l’ha l’ufficio: le persone cambiano, ma gli uffici rimangono. Non posso continuare ad assegnare caselle se cambiano, ad esempio, i presidenti dei tribunali che, come è normale, possono andare a fare un altro lavoro. La casella viene assegnata al tribunale di Roma perché svolga un determinato servizio, non al presidente come persona fisica.

Finora abbiamo acquistato – di questo si tratta – 3000 caselle di posta elettronica certificata e ne abbiamo distribuite 1900 ai vertici degli uffici giudiziari e agli altri destinatari prioritari. Abbiamo assegnato

queste caselle per le comunicazioni di tipo amministrativo: ad esempio, quando gli uffici scrivono al ministero per chiedere un computer usano quello strumento. Le altre 1100 caselle sono già pronte – basta solo accenderle e dare loro un nome – e serviranno per le comunicazioni giurisdizionali, quelle di cui stiamo parlando oggi. La casella sarà quella del tribunale di Roma e non quella di Mario Rossi. Ovviamente, la casella sarà gestita da Mario Rossi e Giovanni Bianchi, ma questo è un fatto operativo.

Ora devo spingermi maggiormente sul tecnico, ma sarò assolutamente chiaro e, se non ci riesco, vi chiedo di interrompermi. Dato che l’amministrazione della giustizia è una, c’è un sistema unico che tiene le carte e fa le comunicazioni. Non dovete pensare all’Outlook che ciascuno di noi ha nel suo PC. Il ragionamento è il seguente: il sistema informativo del tribunale sa che deve fare una comunicazione all’avvocato Rossi ed è lo stesso sistema che prepara il messaggio; il cancelliere lo controlla, lo firma digitalmente e il sistema lo invia all’avvocato Rossi. Quindi, non c’è un’attività che dipende dall’uomo, se non nelle verifiche; del messaggio di posta si occupa il sistema ed è un sistema unico, che conserva gli atti in uscita e in entrata. Insomma, non devo diventare matto a cercare dove sono, nel mio Outlook, gli atti che ho inviato all’avvocato Rossi o la ricevuta che egli mi ha mandato; il sistema terrà insieme l’atto inviato e le ricevute elettroniche della posta elettronica certificata. La risposta, dunque, è tendenzialmente una per ufficio, salvo realtà molto grandi, dove conviene dividere i servizi; siamo comunque in queste quantità, quindi non è un problema di doversi dotare di 100.000 caselle di posta, con costi dunque eccessivi.

Mi è stata posta una domanda sulle risorse finanziarie. Gli investimenti necessari sono già a budget sui fondi per il 2010 e per gli anni successivi, anche perché si tratta di fare delle piccole implementazioni su un sistema che già esiste. Il sistema del processo telematico va adeguato alla tecnologia che ho detto, ossia usando la posta elettronica certificata, e va esteso al settore penale come strumento di comunicazione, ma l’infrastruttura esiste, non va costruita da zero. In questi anni, in particolare nell’anno 2009, abbiamo fatto degli investimenti, dunque ci troviamo un’infrastruttura pronta. Il budget a disposizione per gli investimenti è assolutamente idoneo e sufficiente.

Sulle statistiche, evidentemente sono stato troppo sintetico. Lo strumento mette a disposizione la produttività di ciascuno e la qualità dei singoli processi che svolge. Un conto è fare un processo per sfratto, un conto è fare un processo per criminalità organizzata; sono due cose diverse. Un sistema statistico deve essere in grado di far capire la differenza e il lavoro di ciascuno in quel campo, e questo sistema lo farà. Io parlavo dei dati personali dei processi, che non saranno resi disponibili a livello centrale; non ci interessa conoscere statisticamente il nome dell’imputato. A questo mi riferivo quando ho detto che i dati personali non entrano nel discorso.

Per quanto riguarda le due vie – il flusso è da avvocato a tribunale e viceversa – già il processo telematico fa questo: l’avvocato deposita gli atti, la richiesta di decreto ingiuntivo, la richiesta di vendita del bene pignorato eccetera – lo fa già in maniera telematica – e riceve una risposta telematica. Questo strumento è in grado di trasportare qualunque tipo di comunicazione, nei due sensi.

Noi stiamo accendendo i vari pezzi. Accendiamo il processo del lavoro (l’abbiamo già fatto a Milano, dove il decreto ingiuntivo era partito tempo prima), l’esecuzione forzata e via dicendo. Si tratta, dunque, di un percorso incrementale, soprattutto per consentire agli avvocati di seguirci in questa che è un’innovazione molto importante; non la si può accendere con un pulsante in tutta Italia, ma bisogna seguire il grado di innovazione dei singoli attori.

L’onorevole Molteni poneva una domanda sulla formazione, tema importantissimo, soprattutto in un momento di grande cambiamento come questo. La tecnologia da sola è un computer, non cambia nulla. Quello che cambia è inserire la tecnologia in un’organizzazione che si modifica per sfruttare la tecnologia. Per fare questo, l’amministrazione forma il personale a due livelli. Per il personale tecnico di alto livello si prevede una formazione tecnica specialistica, per la quale ci sono risorse più che sufficienti. Per il personale di cancelleria, quello che lavora concretamente, abbiamo individuato una metodologia di formazione secondo noi vincente, ossia la formazione a cascata: si forma il cancelliere o il coordinatore più disponibile a capire l’innovazione, il quale poi trasferirà il suo patrimonio di conoscenza al suo collega, con il quale lavora tutti i giorni, non facendo una lezione – modello talvolta freddo – ma lavorando insieme. Su questo abbiamo investito e continuiamo a investire moltissimo, perché rappresenta la chiave di volta del cambiamento. Insomma, non basta mettere un PC.

Quanto ai tempi, ci sono tempi per l’adozione delle regole tecniche previsti dal decreto-legge. Ovviamente, fin dal giorno della sua emanazione, la mia direzione generale sta lavorando per realizzare le tecnologie che quei decreti attuativi devono indicare. I tempi, dunque, saranno assolutamente brevi; il decreto-legge prevede 60 giorni dopo la conversione per l’emanazione dei decreti attuativi, che raccolgono prima dei pareri tecnici, quindi dobbiamo avere un orizzonte di circa 120 giorni (60 più 60 della conversione). I nostri tempi di sviluppo sono assolutamente compatibili, fermo restando che ci sarà un periodo in cui funzionerà il vecchio sistema, la posta del processo telematico, e il nuovo sistema. Naturalmente non buttiamo fuori dal mondo chi già lavora telematicamente. Avremo, in realtà, quasi un anno di interregno tra i due sistemi per consentire agli avvocati telematici milanesi, che come ho detto sono 6.500, di continuare a lavorare mentre si preparano al cambiamento. Credo che queste siano le indicazioni principali.

CINZIA CAPANO. Lei rispondeva, sulla doppia via, che già esiste, ad esempio sul decreto ingiuntivo. Tuttavia, non mi sto preoccupando molto di questo, quanto dell’estensione al penale. Le istanze di copia di atti di un fascicolo, nel penale molto più che nel civile, sono un aspetto rilevante.

Questo forse fa venire meno l’esigenza di macchine abbastanza presenti, come le fotocopiatrici, e fa nascere l’esigenza di altre macchine che, invece, sono poco presenti, quelle per scannerizzare i documenti. Questo cambio di macchine è stato previsto? Quello che lei riferisce sulle risorse mi inquieta.

Inoltre, la formazione a cascata affidata al cancelliere le sembra effettivamente un buon sistema? Va bene la formazione tecnica a chi deve immettere i dati, ma se leghiamo il cancelliere unico formato a quella funzione, probabilmente non riusciamo a capitalizzare tutte le risorse dell’ufficio. Poiché cambia il modello – ho citato l’esempio che non occorre più la fotocopiatrice ma lo scanner – non sarebbe meglio, invece, anche approfittando dei fondi europei sulla formazione, garantire una formazione più orizzontale?

STEFANO APRILE, Direttore generale per i sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia. Noi siamo giunti a questa strategia di formazione non partendo da una assunzione teorica, ma dal lavoro che abbiamo svolto in diversi uffici giudiziari, di varie dimensioni, piccoli, molto grandi e medi. In quell’ambito, abbiamo visto che in realtà le cose da fare non sono tecniche, ma si tratta di riscoprire un nuovo modo di lavorare, che magari avevamo già dentro di noi.

Lei, giustamente, citava l’esempio della fotocopiatrice e dello scanner. Dal punto di vista anche solo estetico, oggi sono lo stesso oggetto: oggi ci sono macchine che sono fotocopiatrici, scanner, stampanti e fax insieme.

Già sul finire dell’anno scorso ho fatto degli acquisti in quel settore, perché mi sto organizzando prima che il processo di innovazione parta e lo prevengo. Pertanto, ho già effettuato degli acquisti in quel settore e continuerò a farlo. Si tratta di apparati molto semplici, elementari, per l’utilizzo dei quali non è richiesta una particolare capacità, tanto più che la procedura è guidata. Dunque, non c’è tema di errore.

Lo strumento del processo telematico evita che si produca la carta; è il giudice che firma digitalmente e deposita in cancelleria digitalmente il suo file di Word. Nessuno deve scannerizzare nulla. Quando, invece, abbiamo ancora il collega che non usa queste innovazioni – sarà compito del Consiglio superiore o della scuola, quando partirà, formare i magistrati; noi una piccola attività di supplenza la facciamo, ma non è nostro compito istituzionale – le cancellerie hanno gli scanner, dove servono, per acquisire documenti cartacei e inserirli nel sistema. Si tratta di un sistema complesso, che svolge una serie di operazioni guidate.

Abbiamo visto realtà molto grandi, con grandi numeri, e realtà piccole. È più facile che sia il cancelliere ritenuto un riferimento interno a spiegare quella che è una modalità operativa, poiché non ci vuole una particolare competenza tecnica a usare uno scanner.

L’amministrazione, comunque, ha attivato una serie di altre iniziative. Ad esempio, un’iniziativa molto importante è quella che va sotto il nome di estensione delle buone pratiche di alcuni uffici giudiziari, per i quali abbiamo avviato un piano nazionale – seguito dal capo del mio dipartimento, presidente Birritteri – sulla diffusione di buone pratiche organizzative. Al riguardo, con le regioni abbiamo ottenuto importanti finanziamenti del Fondo sociale europeo. Si tratta di investimenti in direzione della riorganizzazione e della formazione del personale.

È partito un grande progetto, in questo campo, in Lombardia, con cospicue risorse finanziarie destinate a riorganizzare gli uffici e a formare il personale. Questa attività, ovviamente, prosegue in tutta Italia, con i tempi propri dei bandi pubblici. Essa è di grande aiuto per modificare l’organizzazione degli uffici, adeguandola all’uso delle tecnologie.

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