Antonelli: «Famiglia, scuola di bene comune»

Antonelli-cardinale Intervista al cardinale Ennio Antonelli, presidente del Pontificio consiglio per la famiglia, rilasciata alla conclusione del Family Day 2012

Tanta soddisfazione, tanta gioia, certo. Ma anche un filo di preoccupazione. Sono sentimenti ambivalenti, se non proprio contraddittori, quelli che si intrecciano il giorno dopo la chiusura dell’Incontro mondiale delle famiglie. Forse perché, soprattutto da parte di coloro che, con fatica e impegno, hanno organizzato e pilotato l’evento in questi mesi, esiste una chiara consapevolezza.

L’edizione milanese dell’Imf non è stata soltanto un successo di numeri, di partecipazione e di efficienza ambrosiana, ma anche un traguardo sotto il profilo della ricchezza e dell’originalità dei contenuti. Tanto che ormai Milano 2012 – anche se “storicamente” così giovane – rappresenta un punto di svolta. Da domani in poi, parlando di famiglia e di pastorale, non si potrà più fare a meno di quanto detto, visto, fatto, ascoltato nei giorni scorsi nel capoluogo lombardo.

Ne è consapevole il cardinale Ennio Antonelli, presidente del Pontificio consiglio per la famiglia. Ieri mattina, scendendo dall’auto nel cortile dell’arcivescovado ambrosiano – dove era in programma la conferenza stampa conclusiva dell’Imf 2012 – aveva un sorriso che era la sintesi più eloquente del suo stato d’animo.

Missione compiuta eminenza?
Direi proprio di sì. Abbiamo vissuto davvero giornate straordinarie. Ogni momento di questo Incontro mondiale è stato degno di nota. Ma il ricordo della Messa di domenica, con quella partecipazione così attenta e così corale, e soprattutto le parole del Papa, rappresentano un’esperienza davvero unica.

La soddisfazione di Benedetto XVI era palese…
Certo, alla fine ci ha detto che “è bello stare in una Chiesa viva”. Mi pare una sintesi efficace di quello che rappresentano le famiglie nella società. Una presenza viva, che può davvero incidere nella prospettiva del bene comune. Mi pare che anche i contenuti dei tre giorni del congresso teologico-pastorale siano andati in questo senso.

Possiamo indicare alcuni punti forti emersi dai contributi degli esperti e dalle tavole rotonde?
Mi pare che tutti gli spunti abbiano contribuito a riscoprire l’importanza delle buone relazioni. Cioè l’uomo come soggetto relazionale fatto per vivere, in buona armonia, con tutti. Solo alla luce delle buone relazioni il momento della festa acquista il suo senso profondo.

Le relazioni sono la chiave anche per leggere l’impegno della famiglia nella società?
Certo. In una rete di buone relazioni tutti hanno la possibilità di crescere. E si gettano le basi per la coesione della società. Per noi cristiani la bontà delle relazioni rimanda alla comunione con Dio. In chiave civile aiuta a costruire quelle virtù come la gratuità, la solidarietà, la cooperazione, la disponibilità, il senso di sacrificio, che sono importantissime per l’intera società.

E qui si inquadra anche il tema del lavoro. In questo caso qual è il ruolo delle buone relazioni?
Ancora una volta fondamentale. Direi un valore aggiunto. Ma anche una modalità per comprendere come il fattore principale sia sempre e comunque l’uomo. La Chiesa non si stanca di sottolineare la centralità del capitale umano. E ora anche le aziende ne sono consapevoli. Un lavoratore soddisfatto, che ha alle spalle una situazione familiare serena, sarà anche in ufficio più disponibile all’impegno e alla produttività.

Insomma, la famiglia che “funziona” o che, come diceva Giovanni Paolo II, quella che riesce ad “essere se stessa”, può fare la differenza anche nella società?
Ma non lo dice soltanto la Chiesa. Esistono ricerche autorevoli di area laica che lo dimostrano con la forza dei dati. La famiglia felice, quella che rappresenta un valore aggiunto per la società, è quella con due o più figli.

Esiste però un numero crescente di famiglie che si disgregano. Come sarà possibile accompagnare e sostenere in modo più organico la sofferenza dei divorziati e dei risposati, secondo le indicazioni di Benedetto XVI?
Innanzi tutto occorre ribadire che i divorziati risposati, non sono solo amati dalla Chiesa, ma devono essere valorizzati in tutti quegli ambiti in cui la loro partecipazione è possibile. E poi anche a loro è chiesto di crescere nella fede.

C’è una strategia per riuscirci?
A me piace indicare cinque punti. Innanzi tutto l’umiltà. Cioè nessuno deve pretendere di stabilire da solo ciò che è bene e ciò che è male. Il secondo punto è la preghiera per conoscere la volontà di Dio. Il terzo è l’impegno: non smettere mai di fare il bene. Il quarto è la ricerca, per comprendere la verità e la bellezza del matrimonio. Il quinto è la fiducia nella misericordia di Dio che non deve mai venire meno.

Adesso appuntamento fra tre anni a Philadelphia…
La scelta ha sorpreso tutti. Tra le candidature c’erano importanti città europee, ma il Papa ha indicato gli Stati Uniti. Qui la famiglia vive situazioni di fragilità, ma anche di grande vitalità. Ancora una volta, sarà una bella sfida

 

 

Luciano Moia, Avvenire

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