La Commissione Trasporti della Camera dei deputati ha svolto l’audizione del Prof. Ugo Arrigo, docente di Economia Politica e Finanza Pubblica presso l’Università di Milano Bicocca, e del Prof. Gaetano Intrieri, docente Master in Ingegneria dell’Impresa dell’Università di Roma Tor Vergata, nell’ambito dell’esame del DL 137/2019 recante “Misure urgenti per assicurare la continuità del servizio svolto da Alitalia – Società Aerea Italiana S.p.A. e Alitalia Cityliner S.p.A. in amministrazione straordinaria”
I due esperti, in un ampio documento depositato in Commissione, hanno sostenuto che: «il nuovo provvedimento per la continuità del gruppo Alitalia ‘in attesa della cessione dei cespiti industriali’ va valutato in base a due criteri: se sono corretti gli obiettivi che persegue e, nell’ipotesi che lo siano, se gli strumenti attivati per conseguirli sono da un lato idonei e se risultano dall’altro i migliori tra quelli possibili. Riguardo al primo punto gli obiettivi principali appaiono due: (i) preservare attraverso il nuovo prestito ponte la continuità operativa di Alitalia, che verrebbe invece compromessa, in assenza del medesimo, dall’esaurimento della cassa; (ii) pervenire entro la precisa scadenza del 31 maggio 2020 alla cessione dei cespiti aziendali, cedendo in tal modo la gestione aziendale a uno o più soggetti economici privati, nazionali o esteri. Tra questi obiettivi il primo risulta ampiamente condivisibile, tuttavia a condizione che si definisca con precisione la finalità del nuovo finanziamento, peraltro esito di una richiesta dei commissari sostituiti o sostituendi, evitando che vada ancora una volta a compensare perdite a cui non viene posto rimedio. Il secondo potrebbe invece configurarsi come ottimistico, alla luce del fatto che la cessione, auspicata già all’avvio della procedura commissariale il 2 maggio 2017, non ha potuto essere conseguita nei due anni e mezzo ormai trascorsi a causa di ostacoli che debbono essere correttamente identificati e che potrebbe essere complesso rimuovere.
Le ragioni per cui è opportuno garantire la continuità di Alitalia
Garantire la continuità di Alitalia è auspicabile per tre ordini di ragioni. In primo luogo dal punto di vista dei viaggiatori la sua cessazione non potrebbe dar luogo a una rapida sostituzione sul mercato da parte di altri vettori e per un periodo che si può stimare compreso tra tre e sei semestri si assisterebbe a una notevole contrazione dell’offerta complessiva in almeno due dei tre macro segmenti del mercato passeggeri, quello dei voli nazionali e quello dei voli di lungo raggio diretti dall’Italia. Sul terzo segmento, quelli dei voli europei, l’offerta è in generale abbondante e Alitalia vi detiene una quota di mercato trascurabile, tuttavia è prevedibile al suo interno un incremento consistente di domanda di voli verso gli altri grandi hub europei al fine di poter proseguire verso altri continenti. La contrazione causata dalla chiusura di Alitalia determinerebbe incrementi significativi dei prezzi sui due segmenti indicati e sulle rotte verso altri hub oltre alla difficoltà di trovare voli per un numero consistente di passeggeri. Altra conseguenza negativa sarebbe la perdita prodotta in capo ai viaggiatori che hanno comperato biglietti prepagati e i cui voli non verrebbero più effettuati. Essa è stimabile, a seconda se la cessazione di attività dovesse avvenire in bassa o alta stagione tra i 300 e i 600 milioni.
Il terzo aspetto negativo della cessazione di Alitalia è quello di maggior interesse per le casse pubbliche. Con la chiusura dell’azienda cessano infatti le entrate pubbliche da essa provenienti e si apre la spesa per la protezione sociale per la totalità dei dipendenti. Il ridimensionamento di Alitalia del 2008, con la conseguente uscita di oltre sei mila dipendenti, ha causato una spesa pubblica complessiva per protezione sociale di circa due miliardi, secondo il noto studio di Mediobanca del 2014. Considerando che gli attuali dipendenti di Alitalia sono il doppio delle persone uscite nel 2008, si può stimare, pur nell’ipotesi di una minore generosità delle misure di protezione sociale una spesa pubblica pari almeno a tre miliardi, e più probabilmente a 3,5, nell’ipotesi di chiusura dell’azienda. Ad essa va a sommarsi la perdita di entrate fiscali, derivanti dal mancato gettito dei contributi sociali sul lavoro e delle imposte dirette, sia societarie sia soprattutto sui redditi da lavoro dei dipendenti. Nei due anni e mezzi di gestione commissariale a fronte del prestito ponte di complessivi 900 milioni le casse pubbliche hanno introitato almeno 600 milioni complessivi tra contributi sociali e imposte dirette, principalmente sui redditi da lavoro, attenuando di circa due terzi l’esborso lordo del prestito.
Per le tre ragioni sopra esposte, garantire adeguata offerta di voli nel breve e medio periodo, evitare perdite monetarie e disagi di trasporto per i viaggiatori prenotati e soprattutto minimizzare l’impatto sulla finanza pubblica, il sostegno statale alla continuità di Alitalia è di gran lunga preferibile alla sua chiusura, la quale determinerebbe un onere pubblico complessivo, tra maggiori esborsi e minori entrate, stimabile tra i sei e i sette miliardi nell’orizzonte temporale dei prossimi 7-10 anni. Con una cifra molto minore si potrebbe teoricamente assumere il controllo gestionale di un grande gruppo europeo dato che ai valori attuali di Borsa attuale Lufthansa capitalizza 8 miliardi ed Air France solo 4,5.
Le ragioni per cui il vettore resta indispensabile per il Paese
Al di là delle ragioni di breve periodo che sconsigliano la chiusura di Alitalia ve ne sono altre di lungo periodo che consigliano il suo mantenimento:
- Un vettore network che garantisca un livello adeguato di collegamenti diretti a lungo raggio da e per l’Italia è indispensabile per la competitività del paese. Questa è la stessa ragione per la quale nel 1947 fu fondata con capitali pubblici Alitalia. Oggi per ogni passeggero che compie viaggi di lungo raggio diretti da o per l’Italia ve ne sono almeno due che utilizzano gli altri maggiori hub europei (Parigi CDG, Francoforte, Amsterdam, Londra Heathrow), generando otto miliardi di fatturato aggiuntivo per le compagnie estere che sono titolari di tali hub. Il valore dell’intero nostro mercato aereo è solo il doppio di tale cifra. I collegamenti diretti di lungo raggio sono inoltre indispensabili per il cargo aereo e dunque per il nostro export di merci di valore, le quale, ove non sussistono collegamenti diretti, sono obbligate ad andare su gomma a Francoforte che il primo aeroporto italiano cargo.
- Esso è inoltre indispensabile per il ruolo dell’Italia come destinazione turistica mondiale. I flussi turistici di lungo raggio, quelli che apportano la maggior spesa pro capite, sono esclusivamente aerei e l’assenza di adeguati collegamenti diretti di lungo raggio è uno dei fattori all’origine del fatto che la spesa annua dei turisti stranieri che pervengono in Italia per via aerea resti tuttora inferiore di due terzi alla spesa dei loro omologhi che si recano in Spagna. Per ogni euro che i visitatori stranieri aerei dell’Italia spendono nel nostro paese i loro colleghi che visitano la Spagna ne spendono più di tre.
- Chiudere Alitalia, come già scritto, costa molto di più che salvarla. Nell’ultimo decennio, in cui Alitalia è stata detenuta da capitali privati, il settore pubblico ha incassato più di 2,5 miliardi di euro di contributi sociali e imposte e ha erogato 900 milioni di prestito ponte. Invece nel 2008 ridimensionare Alitalia ed espellere oltre seimila dipendenti, rinunciando ai relativi contributi e imposte, è costato alla casse pubbliche oltre 4 miliardi, come calcolato nel noto studio di Mediobanca. Tale spesa pubblica è stata fatto tuttavia ‘contro’ Alitalia e non, come si legge con cadenza quasi quotidiana sulla stampa, ‘per’ Alitalia.
Una gestione pubblica transitoria è l’unica soluzione per Alitalia
Non essendosi manifestate in oltre due anni e mezzo ragionevoli soluzioni di mercato per l’acquisto di Alitalia, resta a nostro avviso sul campo una sola soluzione alternativa alla chiusura: un intervento pubblico diretto che si prenda carico, ancorché per una fase transitoria e un periodo limitato, tanto della gestione aziendale quanto della realizzazione delle condizioni di sistema necessarie per la sua sostenibilità economica. Solo un intervento pubblico ad ampio spettro può cercare di realizzare le condizioni esterne, di ambiente economico e sistema regolatorio che identifichiamo nella seconda parte dell’intervento, in grado di rendere sostenibile un vettore nazionale ‘network’ che garantisca adeguati collegamenti diretti a lungo raggio da e per il nostro paese. Nell’attesa che si realizzino tali condizioni non è inoltre verosimile che azionisti privati siano disponibili a perdere i loro soldi in Alitalia, salvo che tale ruolo possa garantire il perseguimento di finalità estranee al trasporto aereo. Essi potranno manifestarsi a condizioni ragionevoli solo a risanamento avvenuto.
Alitalia è paragonabile a un secchio bucato da cui la liquidità defluisce velocemente e che ha pertanto bisogno di capitali freschi. Nessun soggetto di mercato può essere tuttavia razionalmente disponibile a immettere la sua liquidità sin tanto che non si possa dimostrare che i buchi sono rattoppabili in tempi ragionevoli. Di essi tuttavia solo alcuni sono stati fatti dall’interno dell’azienda e sono dunque rimediabili dall’interno attraverso la gestione. Invece la gran parte, e tra essi quelli di dimensioni maggiori, sono di origine esterna e solo dall’esterno, da parte del settore pubblico, risultano rimediabili.
Le criticità della procedura commissariale
Posto che è corretto il sostegno pubblico alla continuità di Alitalia, che è anche la finalità principale che sussiste nel nuovo decreto, tuttavia occorre andare a fondo sull’adeguatezza ed efficacia di tale sostegno che, a nostro giudizio, non vi è sinora stata. Riteniamo infatti che la gestione commissariale che perdura da più di due anni e mezzo sia stata definita già in sede di avvio in maniera non ottimale dal governo allora in carica. Gli errori iniziali sono stati a nostro avviso i seguenti:
- la nomina in due casi su tre di commissari in continuità con la gestione che aveva condotto al dissesto;
- la mancata chiarezza sui conti, con l’ultimo bilancio riferito all’esercizio 2015, e sulle cause del dissesto, indicate in maniera del tutto generica e approssimativa nella richiesta aziendale di amministrazione straordinaria;
- il mandato governativo rivolto ai commissari, indirizzato da subito a una rapida cessione e senza indicazioni sull’indispensabile azione di miglioramento gestionale;
- un prestito ponte eccessivo rispetto al mandato a vendere, disincentivante rispetto al conseguimento di tale obiettivo (si consideri che nel caso Air Berlin, vettori di maggiori dimensioni di Alitalia, il prestito fu di soli 200 milioni rispetto ai nostri 900);
- il mancato rispetto del sentiero delineato dalle linee guida UE sul sostegno pubblico ai vettori in crisi (autorizzazione preventiva, prestito di salvataggio limitato a sei mesi e alla metà del disavanzo/fabbisogno di cassa annuale, predisposizione nel semestre di un piano di ristrutturazione da sottoporre alla Commissione UE anche ai fini del via libera a un successivo finanziamento di ristrutturazione).
Il governo in carica nel 2017 ha intrapreso al momento del commissariamento una strada senza via uscita: la vendita immediata di Alitalia nelle sue condizioni correnti. Per poter vendere qualcosa serve un compratore e un compratore potenziale di un vettore in dissesto non può che essere qualcuno che si ritiene in grado di risanare rapidamente ciò che sta comprando. Non vi era in realtà nessuno: infatti tutti coloro che si sono affacciati alla procedura di gara hanno manifestato l’intenzione di prendersi singole parti, compatibili con la loro realtà d’impresa, ma non il tutto. Avendo sbagliato sin dall’inizio il percorso non dobbiamo stupirci che non si sia raggiunto l’obiettivo previsto: l’azienda non è stata venduta, non è stata risanata e neppure chiusa, opzione a nostro avviso deleteria ma che rientrava tuttavia nella rosa delle possibilità. In conseguenza dopo due anni e mezzo ci ritroviamo al punto di partenza e la procedura si trova nella necessità di essere riavviata completamente da zero.
Oltretutto in questo periodo l’informazione pubblica da parte dei commissari sulle condizioni dell’azienda è stata estremamente carente e saltuaria. Da maggio 2017 a maggio 2018, per un intero anno, non è stata pubblicata nessuna delle relazioni periodiche previste, né alcun set sistematico di dati economico finanziari e industriali. Solo a seguito della convocazione in audizione parlamentare a maggio 2018 sono stati pubblicati i primi dati e a seguire le relazioni trimestrali relative ai periodi precedenti. Nella seconda metà del 2018 la pubblicazione delle relazioni è stata regolare e tempestiva ma con la fine dello scorso anno è cessata del tutto e nessuna relazione ufficiale è disponibile sui tre trimestri interamente trascorsi dell’anno che sta per terminare. Nelle relazioni rese note, inoltre, non si è mai avuta pubblicazione del conto economico completo, sino al rigo finale del risultato economico netto del periodo, bensì la sola parte relativa alla gestione industriale. Nelle relazioni non è mai presente lo stato patrimoniale il quale, per una società in amministrazione straordinaria che presenta un numero elevato di creditori non ancora pagati e per importi complessivi consistenti, assume persino una rilevanza maggiore rispetto al conto economico.
I potenziali acquirenti si sono allontanati
Nel periodo trascorso dell’amministrazione straordinaria è andata perduta la totalità o quasi dei 900 milioni, si sono generate perdite complessive non note ma pari almeno a 1,3 miliardi e si sono allontanati tutti gli attori che avevano manifestato nel tempo interesse all’eventuale acquisizione. Nell’autunno 2017 i giornali scrissero che Lufthansa aveva offerto 210 milioni per l’acquisto del vettore ma che i commissari puntavano ad ottenerne 400: “Il governo e gli amministratori straordinari Laghi, Paleari e Gubitosi, puntano invece … alla cessione della compagnia per una cifra non inferiore ai 400 milioni di euro contro i 210 messi sul piatto da Lufthansa che, per la stessa cifra, ha acquisito Air Berlin il mese scorso” (Repubblica del 17.11.2017). Nello stesso periodo si era inoltre manifestata un’offerta del fondo americano Cerberus il quale sembrava disponibile a investire sino a un miliardo e sino al 49%, rientrando nei vincoli degli investitori non comunitari, tuttavia pare che anche questa disponibilità sia stata lasciata cadere dalla gestione commissariale. L’ipotesi Cerberus risultava di particolare interesse in quanto il fondo da un lato non avrebbe acquisito il controllo, avendo bisogno di partner nazionali per i quali non vi era ostacolo al fatto che fossero pubblici, e dall’altro credeva evidentemente nella possibilità di un ritorno ad una redditività rilevante grazie alle potenzialità dell’esteso mercato nazionale. Inoltre avrebbe garantito l’integrità del perimetro aziendale, evitando ogni spezzatino e i conseguenti tagli. Come riportato da Repubblica il 25 ottobre 2017 ‘L’obiettivo finale – ha dichiarato una fonte al Financial Times – è “tenere il business assieme per salvare una compagnia aerea italiana e non scegliere solo gli asset migliori”. Come mai queste ipotesi, e in particolare la seconda, sono state lasciate cadere per poi affidare nell’autunno 2018 il compito a FS di assemblare una cordata che si è rivelata impossibile ma che in ogni caso avrebbe portato ad esiti considerevolmente inferiori?
Le cordata che si stava assemblando era del tutto insufficiente
Nei mesi scorsi si è scritto in alcuni casi che i nuovi investitori avrebbero messo assieme un miliardo per il rilancio di Alitalia ma in altri casi solo 900 milioni, in entrambe le versioni inclusivi della conversione da parte del Mef di 135 milioni di interessi maturati sul debito. Pertanto l’apporto di nuovi capitali si limitava a 865 milioni nella prima ipotesi e 765 nella seconda. Inoltre non si è più parlato della cifra che la cordata acquirente avrebbe dovuto versare ai commissari in cambio degli asset, nonostante fosse evidente che i nuovi azionisti non avrebbero potuto ricevere gratis i compendi aziendali ma versarne il corrispettivo ai commissari al fine di permettere loro di rimborsare almeno parzialmente i creditori della procedura fallimentare.
Poiché la cessione ha per oggetto gli attivi patrimoniali ma non i debiti, che restano alla gestione commissariale, e poiché il perimetro aziendale che Lufthansa era intenzionata ad acquisire era sensibilmente inferiore a quello che sarebbe trasferito nella più recente cordata, non era plausibile che la cessione potesse avvenire a un prezzo inferiore a quello che Lufthansa era disponibile a pagare due anni fa. Tuttavia con una dote di cassa iniziale di 765 milioni, e con almeno 200 di essi necessari per pagare ai commissari i compendi aziendali ceduti, come si poteva pensare che i 565 restanti fossero minimamente in grado di sostenere il rilancio aziendale, essendo tra l’altro dello stesso ordine di grandezza delle perdite annuali?
Non si può individuare la terapia se non con una diagnosi corretta
L’errore principale compiuto nella gestione della crisi di Alitalia è stato e resta tuttora la credenza che si possa indovinare la terapia corretta senza aver primo provveduto a un’accurata diagnosi dello stato del paziente. Alitalia ha vissuto nell’ultimo quindicennio un susseguirsi di episodi di crisi: nel 2004, nel 2008, nel 2014 e nel 2017. In occasione di questi eventi si è sempre ritenuto che la soluzione fosse l’individuazione di un assetto azionario che provvedesse ad attuare una terapia, definita in via esclusiva sotto forma di piani d’impresa. In nessuna occasione, compresa quella in corso, l’elaborazione della terapia è stata preceduta da una diagnosi accurata delle cause della crisi. È tuttavia impensabile che una terapia indipendente dalla diagnosi, dunque una cura a caso, possa risultare coerente ed efficace. Alitalia è stata sottoposta nell’ultimo ventennio a una serie di cure a caso le quali sono tutte prevedibilmente fallite.
Noi riteniamo che l’ipotesi Lufthansa, o meglio la cura Lufthansa di cui si sta parlando in questi giorni, sia l’ennesima cura a caso, con la variante che in essa gli effetti collaterali sono tutti anticipatamente visibili nella loro insostenibile gravità. Non possiamo permetterci di “nazionalizzare” migliaia di esuberi per creare l’Alipiccola che piace a Lufthansa.
Un breve confronto Alitalia-Lufthansa
Il segreto del successo di Lufthansa, generalizzabile tuttavia agli altri grandi gruppi europei, non consiste nel fatto che operano con costi unitari inferiori ad Alitalia. Essi operano in mercati nazionali in cui detengono una quota di mercato ancora consistente, in cui i vettori low cost da essi non posseduti hanno una quota di mercato ancora contenuta e non hanno accesso ai loro hub, i cui slot sono blindati. Grazie pertanto al minor grado di concorrenza essi possono contare su yield maggiori che in Italia e maggiori dei loro costi unitari. Alitalia ha costi unitari inferiori a Lufthansa, ancorché distanti daa quelli ottimali, ma più elevati dei proventi unitari, e pertanto è in perdita. Alitalia coi suoi costi e gli yield di Lufthansa sarebbe in utile, invece Lufthansa coi suoi costi ma con gli yield di Alitalia sarebbe in grave perdita.
In un’audizione parlamentare di maggio 2018 i commissari hanno indicato in 6,9 eurocent per passeggero km il provento unitario di Alitalia tanto nell’anno 2017 quanto nel precedente. Per il 2017 il bilancio consolidato del gruppo Lufthansa riporta per l’insieme dei suoi vettori network ricavi passeggeri per 23,3 miliardi di euro a fronte di 218,5 miliardi di km volati. Questi dati danno luogo a un provento unitario di 10,7 eurocent per passeggero km. In sostanza per un passeggero che vola mille km i vettori del gruppo Lufthansa hanno incassato nel 2017 mediamente 107 euro, mentre Alitalia solo 69. Questa differenza spiega moltissime cose. Si può stimare che se i passeggeri sui cieli italiani di quell’anno avessero volato ai prezzi medi tedeschi avrebbero speso complessivamente in più 3,5 miliardi, una cifra pari a cinque volte la perdita di Alitalia. Una parte di essi avrebbe colmato la pedita di Alitalia.
I fattori sistemici e gli errori strategici che spiegano la crisi
I fattori che hanno sinora reso impossibile una gestione in equilibrio di Alitalia sono facilmente identificabili e quasi nessuno di essi completamente rimediabile dall’interno di una normale gestione aziendale. Senza pretesa di completezza possiamo indicarli nei quindici seguenti, molti dei quali concatenati in circoli viziosi:
- Sottocapitalizzazione iniziale ed erosione patrimoniale successiva causata dalle perdite gestionali; conseguente incapacità di autofinanziamento.
- Incapacità di realizzare investimenti adeguati nell’espansione e rinnovo della flotta.
- Incapacità nell’espandere l’offerta all’aumentare delle dimensioni del mercato.
- Erosione continua delle quote di mercato al crescere del medesimo.
- Espansione dei vettori low cost sul breve e medio raggio per effetto della liberalizzazione europea.
- Aumento del grado di concorrenza su tali mercati.
- Continua erosione degli yields, proventi per unità di traffico, per effetto della crescente concorrenza.
- Concorrenza falsata dagli aiuti economici concessi a livello locale ai vettori low cost.
- Debolezza contrattuale verso i fornitori di aeromobili (lessors) a causa delle limitate dimensioni aziendali e della persistente debolezza economico finanziaria.
- Disimpegno dal lungo raggio e vincoli sul medesimo derivanti dalle alleanze internazionali, peraltro inevitabili.
- Concorrenza estesa e crescente di altri hub europei sul lungo raggio, favorita dalla numerosità degli aeroporti italiani, distribuiti sul territorio, i quali facilitano il drenaggio da parte dei maggiori vettori comunitari.
- Elevati costi per l’uso delle infrastrutture aeroportuali, in particolare nell’hub di Fiumicino, dovuti a errori regolatori nella definizione dei livelli tariffari.
- Differenze rilevanti nei livelli tariffari aeroportuali tra l’hub di Fiumicino, dal quale dipendono quattro quinti dei passeggeri di Alitalia, e gli aeroporti prevalentemente utilizzati dai concorrenti, vettori low cost in primo luogo.
- Presenza di componenti di tassazione in favore delle casse pubbliche che accrescono ulteriormente i costi aeroportuali e danneggiano il trasporto aereo nella sua competizione con quello ferroviario.
- Insufficienze infrastrutturali derivanti da mancati o inadeguati collegamenti ferroviari dei maggiori aeroporti i quali impediscono feederaggio ferroviario dei voli.
La lettura del lungo elenco precedente dovrebbe essere sufficiente a convincere di alcuni punti fermi. È evidente che nessuna gestione manageriale del vettore può porre rimedi sostanziali a nessuno dei fattori sistemici ed errori strategici prima indicati. È altresì evidente che nessuna compagine azionaria è in grado da sola di curare il malato Alitalia; in conseguenza non esiste alcuna soluzione di mercato che possa ottenerne la sostenibilità economica.
Conclusione: una gestione pubblica transitoria è la soluzione migliore
Dall’analisi sin qui svolta emerge la necessità di una fase transitoria nella quale lo Stato si impegni a ridisegnare in maniera razionale le regole e le condizioni di sistema del trasporto aereo. Occorre livellare il campo da gioco per ottenere un’equa competizione tra i vettori in gara e garantire una sostenibilità di mercato anche per Alitalia. In questa fase, se non si vuole rinunciare al vettore, bisogna anche garantirne la continuità operativa, contenendone le perdite sino al momento in cui sia realizzabile la sua sostenibilità economica e si possa in conseguenza ipotizzare un nuovo ingresso, e con prospettive molto diverse dal passato, di capitali privati.
Questa fase della gestione del vettore non può evidentemente essere curata ulteriormente dal solo commissario straordinario e non può ancora essere curata da soggetti privati, i quali potranno essere attratti sola da prospettive di redditività. Pertanto si ravvisa la necessità di una nuova e differente gestione pubblica, separata dalla gestione commissariale del pregresso, avente carattere temporaneo e che possa avviare ristrutturazione e rilancio dell’impresa adeguandola alle odierne condizioni indispensabili per stare sul mercato. A nostro avviso è utile per realizzare questo scopo la creazione di una newco già all’interno della gestione commissariale. Questa newco potrebbe essere trasferita inoltre allo Stato a rimborso per quanto possibile dei consistenti prestiti conferiti, in modo da chiudere il contenzioso con la Commissione Europea. La nuova fase di gestione pubblica dovrebbe inoltre seguire rigidamente i binari delle linee guida europee sugli aiuti di Stato e ottenere il via libera a un nuovo ragionevole piano d’impresa.
Si tratta in sostanza di nazionalizzare pro tempore l’azienda per non nazionalizzare per sempre migliaia di esuberi».