La Grecia nell’Unione conviene a tutti i Paesi

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Sono trascorsi oltre due anni da quando è deflagrata la crisi del debito sovrano in Grecia. Quella che era iniziata come una crisi fiscale si è trasformata in una crisi a tutto campo e a più dimensioni – economica, sociale e politica – che rischia di travolgere il futuro stesso del Paese.

In Europa la crisi del debito di un Paese si ripercuote attraverso tutta la zona euro e al momento altri quattro Stati membri – due dei quali grandi – stanno cercando di far fronte a gravi squilibri fiscali e alle tensioni del mercato finanziario. L’eurozona nella sua interezza sta subendo gli effetti diretti e indiretti di questi sviluppi sul suo sistema finanziario e sull’economia reale.

Quindi, a distanza di due anni, la crisi greca del debito si è trasformata ed espansa. È diventata uno dei fattori – tuttora l’epicentro – di un problema sempre più grande e sempre più complesso denominato comunemente “crisi dell’euro”. Evidente che la cruciale sfida politica che deve essere affrontata e risolta se si vuole superare la crisi, sia in Grecia sia nella zona euro, consiste nel definire, mettere a punto e quindi in pratica una strategia politica a due punte che abbini: misure e riforme necessarie a raggiungere la sostenibilità fiscale, ripristinare la competitività e salvaguardare la stabilità finanziaria; e politiche e riforme che possano avere un impatto immediato e significativo sull’attività economica e sull’occupazione. Cresce il consenso in Europa sul fatto che questo è l’approccio giusto. La questione è capire se e quando ciò sarà realizzabile.

Vorrei concentrarmi sul caso della Grecia, ma alcuni aspetti della strategia impongono iniziative a livello europeo. L’opinione secondo la quale esiste una sorta di compensazione tra l’ “austerity” o le politiche “orientate alla stabilità” da una parte e le politiche “che promuovono la crescita” dall’altra è decisamente errata. Naturalmente, non è questo il caso sul lungo periodo, dal momento che la stabilità è un prerequisito indispensabile per una crescita sostenuta nel tempo.

Ovviamente, è vero e prevedibile che un programma di adeguamento economico – che miri a ridurre l’eccessivo deficit statale, garantisca la sostenibilità del debito e includa riforme per migliorare i sistemi pensionistici e il funzionamento dei mercati del lavoro – comporti verosimilmente costi di adeguamento a breve termine.

È anche verosimile che ciò colpisca in maniera negativa il reddito reale e l’occupazione per qualche tempo, finché non si concretizzano anche i benefici della stabilità e l’efficienza per la crescita. I sacrifici a breve termine possono rendersi necessari ed essere anche inevitabili, a seconda della portata degli squilibri fiscali iniziali e dell’entità delle debolezze strutturali, allo scopo di raccogliere i vantaggi a lungo termine di una crescita più forte e che dia profitti.

 

Lucas Papademos, Il Sole 24 Ore

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