Il tempo è scaduto
La settimana che si è aperta ieri può essere molto importante per tutti noi, dal momento che il plenum del Senato deve iniziare a votare sulle proposte di riforma costituzionale relative al numero dei parlamentari, per poi permettere la modificazione della legge elettorale.
Però, come ormai ben sappiamo, la situazione si è non poco complicata, a causa dell’eccesso di tatticismo, se non della vera e propria «babele» concettuale che sembra purtroppo dominare i maggiori gruppi parlamentari.
La Commissione Affari costituzionali del Senato, con una proposta di riscrivere ben tredici articoli della Costituzione, da una parte riduce solo minimamente il numero dei Deputati e dei Senatori e non trasforma il Senato in una «Camera delle autonomie», ma dall’altra propone molte innovazioni costituzionali su oggetti del tutto diversi, ad esempio, come esaminare ed approvare le leggi, come rafforzare i poteri del presidente del Consiglio (e ridurre quelli del Presidente della Repubblica), come rendere assai più difficile la sfiducia parlamentare, come accentuare il primato della legge statale sulla legislazione regionale, ecc., ecc. E tutto ciò con discipline estremamente complesse, per lo più malamente tratte dall’ordinamento tedesco ed anche tecnicamente molto discutibili (ad esser buoni).
Allora hanno ragione quei giuristi che alcuni giorni fa hanno chiesto di arrestarsi in questa improvvisata riscrittura della Costituzione, senza che su questi temi si sia neppure discusso pubblicamente. E ciò tanto più in un paese che appena sei anni fa ha respinto con una rilevante maggioranza una vasta modifica della parte organizzativa della Costituzione, che il Parlamento aveva approvato.
Inoltre, tutto si è ulteriormente complicato con l’improvviso annuncio di Berlusconi e Alfano che faranno presentare da senatori del loro partito, durante il dibattito in aula, alcuni emendamenti che vorrebbero cambiare il nostro complessivo sistema di governo da parlamentare a semi-presidenziale: proposta sinceramente sconcertante anzitutto perché passare da un sistema all’altro comporterebbe necessariamente la necessità di una riscrittura complessiva della Costituzione (e ciò non può evidentemente essere prodotto da qualche puntuale emendamento, che per di più ancora oggi nessuno conosce). Ma poi è evidente che su una proposta del genere occorrerebbe confrontarsi seriamente sui suoi vantaggi e svantaggi, evitando di ripetere favolette per le quali solo con un sistema «alla francese» si potrebbe avere la rapida formazione dei governi, dal momento che dovrebbe essere notorio che lo stesso risultato lo si consegue in molti ordinamenti di tipo parlamentare (basti considerare, solo per riferirsi a pochi esempi, alla Germania, al Regno Unito, alla Spagna). S
u un punto è però bene fare chiarezza: siamo sicuramente fuori tempo massimo e quindi è del tutto naturale che ci si chieda quale sia il motivo effettivo per il quale si è fatta una proposta del genere. Una improvvisata proposta di modifica tanto radicale della nostra Costituzione o viene respinta (con tutte le imprevedibili conseguenze del caso sulla sorte della proposta elaborata dalla Commissione senatoriale) o può essere – nel migliore dei casi per i proponenti – approvata dalla maggioranza del Parlamento, ma non certo dalla maggioranza dei due terzi dei deputati e dei senatori (a meno che davvero i parlamentari del Pd intendano suicidarsi, buttando a mare tutta la loro tradizione istituzionale). Ciò vuol dire che dopo l’ipotetica approvazione finale della macro-revisione costituzionale nel prossimo autunno, prima della promulgazione della legge di riforma costituzionale occorrerebbe necessariamente lasciare tre mesi di tempo ai soggetti che possono chiedere il referendum previsto dall’art. 138 Cost.; dopo la eventuale richiesta, dovrebbe intervenire la corte di Cassazione e il governo, poi il Presidente della Repubblica dovrebbe fissare la data per lo svolgimento del referendum, che deve svolgersi dopo un periodo di campagna elettorale (tutta questa fase porterebbe via almeno altri sei mesi).
Per capirci: una modifica costituzionale senza la maggioranza dei due terzi a favore, può eventualmente entrare in vigore solo nella prossima legislatura e non certo in questa, come lascia invece intendere una lettera di Alfano al «Corriere della Sera», nella quale addirittura il segretario del Pdl sogna che entro questa legislatura si possa procedere ad eleggere il nuovo tipo di Presidente della Repubblica, addirittura rinviando a subito dopo lo svolgimento delle elezioni per il rinnovo del Parlamento.
Ma allora, che cosa resta alle forze parlamentari più responsabili, per uscire da questo incredibile pasticcio, se non vogliono fornire davvero altri materiali per le polemiche di tipo qualunquistico? L’unica via di uscita decorosa è quella di modificare la Costituzione limitatamente a quanto era stato promesso relativamente alla riduzione del numero dei parlamentari, rimandando alla prossima legislatura tutta la residua discussione di tipo costituzionale ed istituzionale; e poi urge l’adozione di un sistema elettorale decoroso, che anzitutto restituisca potere al cittadino elettore.
Ugo De Siervo, La Stampa