Il voto nei sistemi parlamentari
Un Paese democratico funziona anche perché si è data una buona legge elettorale, una legge che a sua volta produce un sistema politico che funziona.
Noi siamo decollati, nel 1948, da un normale sistema proporzionale che era esposto a due rischi: approdare a un eccesso di frammentazione (troppi partiti), e anche a troppe crisi di governo (troppi governi troppo brevi: «governicchi», secondo Panebianco). Ma la presenza del Partito comunista moderò questi difetti. Il voto si concentrò sulla Dc, e i cosiddetti governicchi duravano sì poco, ma per trent’anni furono sempre nelle mani delle stesse persone, come prestabilito dal ben noto «manuale Cencelli», che curava la rotazione delle cariche interne della Dc.
I nostri problemi cominciano, paradossalmente, con la fine del comunismo. A quel momento per bloccare la frammentazione sarebbe probabilmente bastata una «soglia di esclusione» del 5%, come insegnava l’esperienza tedesca, che in Germania ha anche prodotto la longevità dei governi. Invece abbiamo inventato il Mattarellum, un sistema per tre quarti maggioritario e per un quarto proporzionale. Io mi opposi (si capisce, inutilmente) sin dal primo giorno osservando che il sistema maggioritario avrebbe attribuito, in Italia, un fortissimo potere di ricatto ai partitini, e che quindi avrebbe prodotto una dannosa frammentazione del sistema partitico. Difatti è stato così. Ed era facile, volendo, rimediare. Ma stavano emergendo due nuove «stelle», due imprevisti, che dovevano, per emergere, sparigliare le carte: Berlusconi e Prodi.
La differenza tra i due è che quando Berlusconi si fece avanti nel 1993 aveva già alle spalle una sua televisione a diffusione nazionale (anche con personale dal quale reclutare), mentre Prodi aveva alle spalle un brillante curricolo, a partire dalla presidenza dell’Iri e poi la presidenza della Commissione europea a Bruxelles, ma nessun partito. E così inventò (o lui, o Parisi, o insieme) una strana «primaria» che non era certo il meccanismo inventato dagli americani ma piuttosto uno strumento plebiscitario che stabilì con 4 milioni e passa di votanti che il leader della sinistra era lui. Bravissimo. Ma bravissimo per sé. Come è rivelato dalla intervista di Prodi al Corriere del 3 settembre scorso che merita citare: «A che servirebbe – si chiede – chiamare il popolo di centrosinistra a scegliere il candidato premier se poi la formula di governo, come avviene con la proporzionale, viene delegata alla trattativa tra le forze politiche e solo dopo le elezioni?».
Ma qui si svela che Prodi di costituzionalismo sa poco o anche punto. Il nostro sistema politico è, piaccia o non piaccia, un sistema parlamentare. E finché lo è, è normale che i governi vengano decisi dopo le elezioni, e visti i risultati delle elezioni. Il nome del candidato premier stampato sulla scheda di voto fu un colpo di mano inspiegabilmente avallato dal presidente Ciampi. Infatti quel nome sulla scheda ha consentito al vincitore di dichiararsi eletto direttamente da una maggioranza del popolo (il che non è provato), e perciò stesso di ritenersi inamovibile. Se così, il sistema parlamentare viene snaturato in un sistema pseudo-presidenziale, che è poi un bastardo costituzionale. Almeno questa stortura spero che ci sarà evitata. Ma è ancora tutto in ballo.
Giovanni Sartori, Corriere della Sera