Economia. L’amara urgenza di agire

ciampi Lettera aperta del Presidente Emerito Carlo Azeglio Ciampi al Sole 24 Ore.

 

Caro direttore, il suo Memorandum sull’ultimo numero della Domenica mi sollecita innanzitutto a ringraziarla per le espressioni con cui ha evocato uno scambio di opinioni, quel dialogare tra noi fattosi nel tempo amichevole consuetudine.

Ma l’aver richiamato le considerazioni che andavo svolgendo quando era appena deflagrata la crisi della Lehmam e altre se ne profilavano; quando, soprattutto, ancora confidavamo nella “durezza” della lezione per prefigurare una finanza emendata dal vizio di una speculazione dissennata, ha suscitato in me pensieri amari. E come potrebbe essere diversamente, di fronte al caso JP Morgan e al suo “buco” di 2 miliardi di dollari? È come se qualcuno dopo aver rimesso indietro le lancette ci facesse piombare in un déjà-vu da incubo. Al centro di tutto ancora una volta i derivati.

I derivati, un po’ come è avvenuto e avviene per molte conquiste della scienza, possono svolgere ruoli di segno opposto a seconda dell’uso che gli uomini – sottolineo gli uomini – scelgono di farne.
Ero Governatore della Banca d’Italia e posso affermare che fino alla fine degli anni Ottanta, i cosiddetti derivati non rappresentavano un problema per il sistema bancario e finanziario internazionale.
Economisti ed esperti di finanza, oltre che gli operatori del settore, ne sottolineavano il contributo all’innalzamento del livello di efficienza dei mercati, resi più spessi e più liquidi; maggiormente in grado di diversificare i rischi. In breve, i derivati rappresentavano un completamento dei mercati finanziari.

Nonostante questo, considerate le dimensioni che il fenomeno andava assumendo e la sua rapidità di espansione, già negli anni immediatamente successivi, esso fu posto sotto osservazione dalle Autorità di controllo. All’inizio degli anni Novanta, infatti, la Banca dei regolamenti internazionali avviò un esame sistematico per acquisire informazioni sulle dinamiche di crescita degli strumenti derivati e sulle loro modalità di transazione. In seguito, il Comitato di Basilea emanò linee guida per una corretta gestione da parte delle banche dei rischi connessi con questi prodotti.
La crescita esponenziale dei derivati, il cui valore globale era diventato un multiplo del Pil mondiale, destò preoccupazione nelle Banche centrali e nelle Autorità di vigilanza di alcuni Paesi. Nel 1996, la Banca d’Italia avanzò al Comitato interministeriale per il credito e il risparmio – da me presieduto in qualità di ministro del Tesoro – alcune proposte d’intervento nel settore della “nuova finanza”.

Il Comitato approvò una delibera che stabiliva, tra l’altro, la necessità di fissare «i requisiti organizzativi minimi» per «l’operatività in strumenti derivati da parte delle banche»; le stesse, per poter operare nel settore, avrebbero dovuto dotarsi di «strutture organizzative atte a misurare, controllare e gestire i rischi di mercato e, più in generale, i rischi connessi all’operatività nel comparto degli strumenti derivati».
Ho voluto fare questo salto all’indietro per sgomberare il campo da semplificazioni e da generalizzazioni fuorvianti e per richiamare il ruolo che deve essere svolto dalle autorità di settore nelle sedi internazionali competenti.

Dopo la crisi finanziaria innescata dai mutui “subprime” e gli scandali relativi a operazioni truffaldine effettuate nel comparto dei derivati da singoli soggetti o da banche, non ha avuto un esito positivo la richiesta di misure di tipo normativo e operativo, invocate per ridurne drasticamente e renderne più trasparente l’attività, come è stato ricordato di recente da autorevoli commentatori anche sulle colonne del suo giornale. Il prevalere di interessi di segno opposto ha fatto fallire l’obiettivo.
Nonostante tutto però voglio continuare a confidare, oltre che nella saggezza e nella tenacia dei legislatori e dei regolatori, nella deontologia dei banchieri. I quali banchieri sanno perfettamente che, in mercati concorrenziali, ad alti profitti corrispondono rischi altrettanto elevati; sanno perfettamente che nell’amministrare, nel gestire mezzi finanziari il primo dovere è la tutela del risparmio loro affidato; sanno perfettamente che, alla lunga, solo una economia sana (alla cui crescita le banche devono concorrere in misura sostanziale) e non squassata da crisi finanziarie, e da repentine svalutazioni dei valori, mobiliari e immobiliari, può assicurare al sistema bancario stesso e ai singoli istituti progresso e sviluppo.

A costo di ripetermi – l’ho ricordato da ultimo nel libro dedicato ai giovani – è indispensabile che le banche, la cui ragion d’essere è fare credito, riconducano l’attività nel suo alveo naturale: finanziare l’economia. Quanto alla finanza, soprattutto quella più innovativa e sofisticata, necessita di essere regolamentata al fine di non mettere a repentaglio la stabilità del sistema bancario e finanziario; una regolamentazione che, come è richiesto da parte dei soggetti più avvertiti e responsabili, produrrà effetti sulle dimensioni e sulle modalità operative del comparto.
Dopo un periodo, già dolorosamente troppo lungo, di sconvolgimenti, drammatici per i costi umani e sociali che hanno determinato, è urgente ritrovare alcune delle motivazioni che ispirarono le legislazioni bancarie della prima metà del secolo scorso e l’atteggiamento cooperativo che, alla fine, prevalse tra i negoziatori di Bretton Woods.

Con i più cordiali saluti,

 

Carlo Azeglio Ciampi

 

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