Una relazione dedicata innanzitutto ai temi della grande politica e delle scelte strategiche sugli assetti di vigilanza, quella tenuta ieri dal presidente della Consob.
La scelta è forse dettata dalla drammaticità della situazione («stiamo vivendo un annus horribilis» è stato detto fin dalle prime battute) ma certo rappresenta un elemento di discontinuità non indifferente rispetto alla tradizione dell’istituto e di altre authority.
Il discorso contiene proposte concrete sui problemi generali del momento, europei e nazionali.
Sul primo fronte, Vegas si è schierato con coloro che chiedono di introdurre i tanto attesi eurobond, presumibilmente nella versione che massimizza gli aspetti di solidarietà finanziaria fra Paesi (il termine usato è «mutualizzazione del debito pubblico») cioè quella che finora la Germania ha rigidamente rifiutato. Ha poi chiesto misure di rilancio dell’economia europea «che adottino soluzioni comuni, di lungo periodo e al servizio di tutti». E ha puntato il dito contro la «dittatura dello spread», quindi in un certo senso contro i mercati. Indicazioni per il governo, anzi per i governi, ma in questi tempi in cui i tecnici hanno sostituito i politici, almeno in Italia, non c’è da meravigliarsi se un politico di lungo corso come Vegas, oggi a capo di un’autorità tecnica, entra in un campo in cui i confini sono diventati così permeabili.
Per quanto riguarda l’Italia, il presidente della Consob ha toccato alcuni temi delicati, a cominciare da quello relativo alla capitalizzazione delle banche. Qualche sopracciglio si deve essere sollevato non solo in via Nazionale, ma anche a Basilea quando egli ha affermato che «le attuali sollecitazioni a un continuo rafforzamento patrimoniale delle aziende di credito potrebbero provocare conseguenze indesiderate».
Un’affermazione molto forte in questi tempi in cui le banche europee attraversano una nuova fase delicata che richiede, come avviene in Spagna, di imporre ulteriori, cospicui, accantonamenti. E che stride con quanto quasi tutti i regolatori europei (Svizzera inclusa) continuano ad affermare. Comunque, un conto è chiedere un timing diverso, un conto dare la sensazione di schierarsi con le banche che lamentano di essere vittime di richieste incongrue.
Anche la parte della relazione dedicata al quadro regolamentare ha offerto molti spunti al dibattito generale, in particolare quando ha chiesto la revisione dell’architettura della regolamentazione europea, con un’accentuazione della divisione per finalità.
Non è facile però capire se e come si può realizzare questo condivisibile obiettivo, visto che le tre autorità sono nate con il vecchio vizio europeo della divisione per soggetti: banche, mercati, assicurazioni. Così come non è facile capire quali soluzioni possano portare a un migliore «sistema di ripartizione delle competenze di vigilanza in materia di risparmio gestito e di organismi di mercato e post-trading». Si tratta di aree molto importanti del sistema finanziario in cui oggi, proprio in nome della vigilanza per finalità, si realizzano competenze congiunte di Consob e Banca d’Italia che è tutt’altro che semplice districare, pur nell’obiettivo condivisibile della semplificazione.
Per quanto riguarda i temi di oggi del mercato finanziario, Vegas ha insistito su un tema importante che egli ha sollevato fin dai primi giorni del suo insediamento: il mercato di borsa è un importante fattore di crescita e dunque occorre favorire in tutti i modi l’accesso delle imprese italiane al listino, soprattutto di quelle di medie dimensioni, che oggi sono assolutamente marginali.
Il confronto con gli altri Paesi europei, compresi quelli bancocentrici, è imbarazzante: le società con capitalizzazione inferiore a 50 milioni di euro rappresentano da noi solo un terzo delle quotate, contro oltre la metà in Francia e due terzi in Germania. Non sarà facile risolvere questo limite strutturale del nostro sistema imprenditoriale, non solo per la fase congiunturale negativa che stiamo attraversando, ma soprattutto perché l’accesso al listino non è più di moda neppure nei Paesi anglosassoni, che fino a pochi anni fa erano l’esempio additato da tutti.
Il motivo va ricondotto anche ad aspetti ricordati da Vegas come il trading ad alta frequenza, il peso crescente di operatori come gli Etf, che nati per essere la parte low cost del risparmio gestito si sono rivelati più speculativi degli hedge fund, e per mille innovazioni tecniche, favorite dalle stesse società di gestione delle borse, che alla fine hanno messo in secondo piano gli investitori di lungo periodo. In questo momento quindi portare le imprese in borsa significa vincere un vento contrario che non è più soltanto nazionale, ma investe tutti i Paesi avanzati. Meglio, come del resto ha detto Vegas, accontentarsi di poche ma significative nuove quotazioni di successo, capaci di soddisfare gli interessi della generalità degli investitori, non solo quelli degli azionisti di maggioranza, come è avvenuto troppo spesso nell’ultimo decennio.
Per quanto riguarda le società quotate, la relazione ha ricordato l’importanza della norma voluta dal governo Monti che vieta il cumulo di incarichi negli intermediari finanziari: essa riguarda infatti il 70% delle società quotate e il 96% della capitalizzazione. Una ventata di aria fresca «in stanze troppo a lungo rimaste chiuse, a protezione di un capitalismo familiare non più al passo dei tempi». Parole sante, ascoltate con faccia compunta dalla famiglia Ligresti schierata al gran completo nelle prime file. Evidentemente erano lì per testimoniare la loro adesione a questo genere di misure, non, come qualche maligno ha pensato, per dimostrare l’ansia con cui attendono che la Commissione esenti l’acquisizione da parte di Unipol dall’obbligo di Opa. Sarebbe stata una pressione indelicata su una decisione che il mercato attende con grande ansia e in cui sono in gioco molti degli interessi generali del mercato che Vegas ha così bene indicato in più parti della sua relazione.
Marco Onado, Il Sole 24 Ore