L’Italia è una repubblica fondata sul lavoro. È l’articolo 1 della nostra cara e direi sacra costituzione. Uno dei problemi che il Paese ha vissuto negli ultimi 15 anni e’ stato quello di una perdita graduale della stabilità economica e quindi del potere d’acquisto della classe media con una progressiva polarizzazione delle condizioni socio-economico-culturali.
Di questo passo avremo ricchezza sempre più concentrata nelle mani di pochi e tanta povertà. E’ questo il Paese che vogliamo lasciare alle generazioni che verranno?
La mia personale risposta non può che essere contraria a questa ipotesi. Perché fuori dalle convenienze particolari del momento e dal “ricettismo risolutivo” che ha infettato la nostra cultura politica negli ultimi 20 anni, la competitività del Paese e la sua sopravvivenza dignitosa e rispettabile nel contesto internazionale non può non passare attraverso la stabilità sociale, economica e culturale dell’Italia.
La stabilità sia a livello collettivo che a livello individuale e di nuclei familiari si raggiunge solo attraverso una propria rispettabile e riconosciuta posizione economica come risultato della propria capacità di affermarsi nel rispetto di regole pro-doveri e diritti.
Questa stabilità e questa capacità di pianificare il proprio futuro si costruiscono solo ed esclusivamente attraverso forme di lavoro garantite, nel rispetto di prestazioni richieste chiare e con il beneficio del merito come primo generatore di stabilità. Tutti agli stessi blocchi di partenza, come nei 100 metri piani, ma poi ci si gioca la vittoria e la propria capacità di assumere un ruolo sociale, senza invadere le corsie altrui e nel rispetto delle regole.
La riforma del lavoro, tutta giocata mediaticamente sul fatidico articolo 18, dovrebbe perciò collocarsi, indipendentemente dai suggerimenti del pur ottimo (come banchiere) Mario Draghi, sulla ricerca di soluzioni di stabilità sociale, culturale ed economica basate sulla dignità di un lavoro meritato e conquistato nei diritti e con le regole.
Questo chiediamo al Governo guidato da Mario Monti in occasione del 1 maggio, festa del lavoro e dei lavoratori, fuori dai cliché e dalle definizioni mediaticamente seducenti. Solo di non dimenticare la Costituzione.
Aldo Scaringella, redazione fareCentro