Il ministro dell’ambiente Clini scrive al Corriere della Sera: «le rinnovabili sono un driver di crescita e un fattore di modernizzazione nel sistema industriale italiano. Evitiamo l’errore di chi voleva difendere le carrozze contro i “cavalli di ferro”».
Caro Direttore, l’articolo di Massimo Mucchetti, Corriere del 14 aprile, sulla bolletta elettrica (che mi chiama in causa per un mio giudizio sulla valutazione dell’Autorità per l’Energia, che aveva attribuito agli incentivi per le rinnovabili la responsabilità dell’alto prezzo dell’elettricità in Italia proprio alla vigilia della emanazione dei decreti sulle fonti rinnovabili) offre un’occasione per fare chiarezza.
1) Le fonti rinnovabili coprono oggi il 26% dell’offerta di elettricità. Il peso delle fonti rinnovabili sulla bolletta elettrica è pari a circa il 20%, e rimarrà pressoché costante nel prossimo triennio, di fronte a un aumento dell’offerta di elettricità dalle fonti rinnovabili fino a circa il 35%, per effetto della rimodulazione in basso degli incentivi, che abbiamo concordato con i ministri Catania e Passera. Un peso proporzionato.
L’effetto delle fonti rinnovabili sulla bolletta elettrica è ben rappresentato dall’articolo di Stefano Agnoli sempre sul Corriere (13 aprile), e dai dati della borsa elettrica: domenica 15 aprile, per esempio, il prezzo medio era sceso a circa 72 euro per mille chilowattora, ma nelle ore centrali della giornata è ad appena 35 per effetto dell’elettricità prodotta dalle rinnovabili. Ovvero, le rinnovabili diminuiscono in modo significativo il prezzo dell’elettricità.
Inoltre entrano in concorrenza con un sistema di generazione (centrali elettriche convenzionali) caratterizzato da un eccesso di offerta (100 mila megawatt circa contro un fabbisogno di punta di 56.000) e da costi incomprimibili (forniture, personale, rete) che pesano in modo significativo sulla bolletta elettrica: in altre parole la bolletta elettrica copre sia l’elettricità prodotta da fonti rinnovabili e da centrali convenzionali, sia in gran parte i costi della non produzione dalle centrali convenzionali «spiazzati» dalle fonti rinnovabili.
Le fonti rinnovabili sono anche il settore che ha conosciuto negli ultimi 5 anni e nonostante la crisi una crescita costante e vertiginosa degli investimenti in ricerca e sviluppo: 260 miliardi di dollari nel 2011 contro meno di 100 nel 2007. Gli Usa, la Cina, l’India, il Brasile e la Corea del Sud sono i Paesi extraeuropei maggiormente impegnati. In Europa, dopo la Germania, c’è l’Italia. Il mercato di riferimento per gli investimenti è sia quello delle economie emergenti, dove il Pil (Prodotto interno lordo) cresce tra il 7% e il 10% all’anno, sia quello delle economie con minori risorse energetiche tradizionali.
Quello che avviene su scala globale nelle rinnovabili è paragonabile all’evoluzione tecnologica e di prodotto che si è verificata negli anni Novanta e nello scorso decennio nel settore della telefonia mobile e dell’informazione. La ricerca e sviluppo è fortemente orientata alla messa a punto di soluzioni innovative, in particolare nel solare, nelle bioenergie e nella geotermia, finalizzate ad aumentare l’efficienza e ridurre i costi. In questi settori l’Italia ha imprese di punta, che hanno già un ruolo rilevante nei mercati internazionali, e che hanno ancora bisogno del supporto di incentivi mirati al rafforzamento dell’innovazione. È difficile comprendere perché l’Italia dovrebbe rimanere fuori da un mercato così importante e strategico.
2) La generazione distribuita di energia (elettricità, calore e freddo), sostenuta da tecnologie ibride con l’impiego di piccoli cogeneratori a gas naturale ad alto rendimento e delle fonti rinnovabili, ha un effetto duplice:
- sulla organizzazione del sistema elettrico, perché è orientata prevalentemente sull’autoconsumo e sulla distribuzione nelle reti locali intelligenti (smart grids), e di conseguenza riduce la domanda sulla grande rete di distribuzione ed i relativi costi;
- aumenta l’efficienza dell’impiego delle risorse energetiche, perché ha un rendimento energetico che arriva sino al 100% (sul pci, potere calorifero inferiore, del combustibile) contro un rendimento energetico medio cumulativo delle grandi centrali e della rete di distribuzione non superiore al 40%.
È evidente l’effetto prevedibile sia sull’attuale sistema elettrico sia sulla riduzione della domanda di energia primaria di importazione, anche in termini di liberalizzazione e concorrenza nel mercato.
Va anche detto che la generazione distribuita di energia è «l’infrastruttura» del sistema delle «smart cities», che secondo le previsioni delle agenzie internazionali mobilizzerà nei prossimi anni investimenti per almeno 3 mila miliardi di dollari nelle economie più sviluppate del pianeta. Ovvero, lo sviluppo di capacità tecnologiche in questo settore rafforza la competitività delle imprese italiane nei mercati europeo e internazionale, come già stanno sperimentando imprese italiane di punta in Germania, Francia, India, Cina, Brasile.
3) Nel 2010 l’occupazione diretta e indiretta in Italia nei settori delle fonti rinnovabili e delle nuove tecnologie per la generazione distribuita è stimata tra 110.000 (EurObserver 2012) e 150.000 (Confartigianato) addetti, in gran parte giovani e con elevata specializzazione.
Perché dovremmo mettere a rischio questa importante fonte di occupazione, mentre la bolletta elettrica ha sostenuto per anni e sostiene ancora con contributi impropri settori produttivi che non raggiungono un terzo di questi occupati?
In conclusione, le rinnovabili e la generazione distribuita devono essere considerate un driver di crescita e un fattore di modernizzazione e trasparenza nel sistema industriale italiano. Evitiamo l’errore di chi voleva difendere le carrozze contro i «cavalli di ferro».
Corrado Clini, Ministro dell’Ambiente