Come è cambiato il ruolo della finanza e della banca
Con le dimissioni pubblicamente annunciate e spiegate in un articolo sul «New York Times», un manager — che per vari anni ha lavorato in posizione di responsabilità in una banca di investimento simbolo del potere finanziario americano — ha esplicitamente accusato l’istituto di «declino morale» nei suoi valori professionali e nelle scelte operative conseguenti…
… Trascurando i legittimi dubbi sui motivi propagandistici della decisione — la banca in questione è infatti considerata vicina al presidente statunitense — si può cercare di spiegare cosa abbia snaturato il mestiere del banchiere, provocando e alimentando quel «declino morale» i cui effetti sono stati sostanzialmente indicati dal manager dimissionario nella ricerca esasperata di risultati a breve, prescindendo dal modo in cui quegli stessi risultati vengono realizzati.
Ma cosa è stato snaturato? Anzitutto è stato snaturato il contesto culturale in cui l’essere umano, in generale, ha scelto i suoi valori di riferimento, in cui ha maturato le sue aspirazioni, in cui ha cercato il senso della sua vita. La scelta dei “valori condivisi” (i cosiddetti shared values), in mancanza di un forte senso di responsabilità personale, influenza i modelli di comportamento. Come spiega Benedetto XVI nell’introduzione della Caritas in veritate, l’uomo, adottando una cultura nichilista, modifica la visione di cosa sia il successo, di cosa sia il risultato, di cosa sia la soddisfazione. Riducendo tutto a una visione esclusivamente materialista.
È stato poi snaturato un altro importante valore, quello della responsabilità, fondamentale per spiegare i modelli di comportamento adottati. Sono dunque venute meno la figura e la guida responsabile del banchiere imprenditore tradizionale. La globalizzazione, accelerando la ricerca di dimensioni più grandi, ha progressivamente sostituito questa figura con i fondi di investimento, che possono avere esigenze e prospettive molto diverse. Spesso il fondo di investimento — nuovo azionista di riferimento — ha dovuto privilegiare risultati a breve, anziché a lungo termine, magari con aspettative rigide circa gli obiettivi su cui si era impegnato con i suoi sottoscrittori.
Questo modello può avere indotto a reclutare manager, motivati con stock-option e bonus, che sapessero generare i risultati di crescita di valore, redditività e dividendi pretesi dal fondo. Anche questa considerazione non basta comunque a chiarire il «declino morale» denunciato dal manager dimissionario. C’è infatti una spiegazione superiore.
A essere maggiormente snaturato in questi anni è stato il ruolo della finanza e della banca. Negli ultimi due decenni la finanza ha infatti sopperito all’esigenza di sviluppo, compensando la crescita reale crollata a causa della crisi demografica e del processo di delocalizzazione della produzione dal mondo occidentale a quello asiatico. L’economia finanziaria ha sostituito progressivamente quella reale, e anche la crescita del pil è diventata sempre più finanziaria, sostenuta cioè dal debito.
È venuta in questo modo progressivamente a mancare la base del credito, cioè il risparmio, sacrificato sull’altare del consumismo. Il banchiere ha così dovuto inventare i famosi prodotti derivati. Il debito doveva pur essere sostenuto in qualche modo: per questo è stato pensato l’apprezzamento degli asset dati in garanzia, cioè degli immobili e dei valori quotati in borsa.
Per riuscire a fare crescere artificialmente il pil, facendo lievitare con strumenti sofisticati la finanza necessaria a sostenere il debito — a sua volta garantito da valori artificiali venduti a clienti ignari — è stato indispensabile un certo sistema culturale, oltre a un consenso istituzionale. Ci sono voluti la disponibilità di strumenti idonei e soprattutto lo scarso senso di responsabilità da parte degli operatori che hanno rinunciato alla crescita, ma non a quella delle loro stock-option e dei loro bonus.
Persone scarsamente formate, con obiettivi sbagliati, in un contesto operativo fragile, possono solo creare dissesti.
Ettore Gotti Tedeschi, L’OSSERVATORE ROMANO