Perché e come il progetto del governo sul lavoro corrisponde sostanzialmente al modello tedesco

lavoro-charlot  Pietro Ichino, sottolinea che la soluzione proposta dal ministro del lavoro Fornero non si discosta affatto, nei suoi effetti pratici, dal modello tedesco.

L’idea diffusa è che la Cgil avrebbe accettato una riforma modellata sulla disciplina dei licenziamenti oggi vigente in Germania; ma che il rifiuto da parte sua del progetto del Governo sarebbe stato inevitabile, perché questo riprodurebbe il modello tedesco soltanto per i licenziamenti discriminatori e per quelli disciplinari, mentre per i licenziamenti dettati da motivi economici escluderebbe la possibilità della reintegrazione nel posto di lavoro. Il timore di molti è dunque che, quando l’imprenditore abbia motivato il licenziamento con ragioni economico-organizzative, questo precluda al lavoratore la possibilità di far valere in giudizio l’eventuale natura discriminatoria o di rappresaglia del provvedimento, per ottenere la reintegrazione.

Questo equivoco può essere dissipato con una precisazione del Governo circa il contenuto del progetto in rapporto all’ordinamento tedesco – e poi con la corrispondente clausola nel disegno di legge-delega – che chiarisca questi due punti:

– in Germania di fatto non accade mai che il giudice disponga la reintegrazione coattiva del lavoratore in azienda, salvo che ritenga che sotto il motivo economico-organizzativo addotto dall’imprenditore ci sia un motivo reale di discriminazione o di rappresaglia;

– con il progetto di riforma si intende realizzare esattamente lo stesso assetto: il lavoratore potrà sempre agire in giudizio per denunciare l’eventuale motivo discriminatorio o di rappresaglia dissimulato sotto il motivo economico-organizzativo; e se, sulla base delle circostanze, il giudice riterrà che ci sia stata discriminazione o rappresaglia, il lavoratore dovrà essere reintegrato nel posto di lavoro;

– laddove invece il giudice non ravvisi un motivo discriminatorio o di rappresaglia, ma soltanto una insufficienza del motivo economico-organizzativo addotto, dovrà essere disposto il solo indennizzo.

L’obiezione è questa: se davvero, in sostanza, il progetto del Governo corrisponde al modello tedesco, perché non far sì che esso corrisponda anche nella forma, lasciando al giudice l’alternativa tra indennizzo e reintegrazione anche in materia di licenziamento economico? La risposta è questa: mentre in Germania si è consolidata da decenni un orientamento giurisprudenziale per cui la reintegrazione coattiva di fatto viene disposta soltanto quando il giudice ravvisa la discriminazione o rappresaglia, in Italia la formulazione attuale dell’articolo 18 St. lav. ha determinato il consolidarsi dell’orientamento giurisprudenziale opposto; se dunque si vuole allineare per questo aspetto il nostro ordinamento alla Germania, è indispensabile che la norma orienti in modo più esplicito i giudici

Sono convinto che una nota del Governo di questo tenore contribuirebbe non poco a svelenire il clima. Poi, sarà importante che il testo del disegno di legge sia molto preciso su questo punto.

Quanto alla distinzione tra licenziamento economico e licenziamento disciplinare, la soluzione che io avrei preferito sarebbe stata questa:

– se l’imprenditore licenzia per motivo oggettivo, è automaticamente e sempre tenuto a pagare un indennizzo, che costituisce il vero “filtro” delle sue scelte (se è disposto a pagare l’indennità prevista, significa che la perdita attesa è superiore), salvo sempre il controllo giudiziale su discriminazioni e rappresaglie; questa soluzione mi sembra molto preferibile a quella dell’indennizzo dovuto solo all’esito del giudizio, che sembra essere stata adottata nella bozza su cui sta lavorando il Governo;

– se l’imprenditore vuole esimersi dal pagamento dell’indennizzo, allora deve dimostrare la colpa del lavoratore (e in tal caso si entra senza problemi – per iniziativa dell’imprenditore stesso e nel suo interesse

– nella fattispecie del licenziamento disciplinare).

Questa soluzione presenterebbe per il lavoratore il vantaggio, nel caso di licenziamento per motivi economici, di poter disporre dell’indennità senza bisogno di avvocati e giudici; per l’amministrazione della Giustizia il vantaggio di un rilevante decongestionamento delle Sezioni lavoro. Spero che il Parlamento corregga il progetto in questo senso. È anche vero – e va detto per sdrammatizzare la questione – che, anche se la norma resterà formulata secondo la proposta del Governo, probabilmente nella maggior parte dei casi le parti si accorderanno direttamente sull’entità dell’indennizzo senza attendere una sentenza.

 

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