Intervista a Savino Pezzotta
“Conta di più la coesione sociale che l’articolo 18″. Savino Pezzotta, ex segretario della Cisl e oggi deputato dell’Udc, si rimbocca le maniche per modificare la riforma sul lavoro in Parlamento. Ma, dice, dipende dal governo mostrare la vera intenzione.
Vuole sapere, come chiede Napolitano, quale sarà lo strumento che userà Monti?
Certo. Un conto è un decreto, un conto una legge delega… Cambiano i tempi e la possibilità di correggere.
La richiesta del Quirinale non è solo di metodo: va incontro al Pd?
E’ sostanziale. C’è bisogno di modifiche in Parlamento e per farle serve tempo.
Il governo lavora sulle emergenze…
Io ho sostenuto inascoltato che l’accordo con tutti aveva in sé un valore aggiunto, e andava oltre quel poco che può comportare la modifica dell’articolo 18. Si è preferita un’altra strada, che a me desta perplessità, perché l’accordo avrebbe determinato una coesione sociale che è utile al Paese.
Teme un conflitto sociale?
Non aver trovato un’intesa con tutti determina una situazione conflittuale di cui il Paese non ha bisogno. Ognuno poi deve assumersi le proprie responsabilità. Ma bisogna tener conto che chi ha fatto più sacrifici per salvare il Paese sono quelli che avevano di meno, basta vedere come vanno i consumi per capire quanto soffrono le famiglie. Si parla di articolo 18, ma nessuno si è azzardato a parlare di patrimoniale… La tensione sociale tenderà ad aumentare e questo andava evitato.
Per Bersani il Parlamento può fare la sua parte.
Un buon lavoro parlamentare può attenuare la tensione e spero che il governo sia disponibile ad accogliere le proposte che arrivano al Parlamento, che ha approvato tante riforme, dimostrando responsabilità. Ma non si può prescindere dal Parlamento.
Cosa può far desistere la Cgil?
Credo che questa riforma, pure necessaria, abbia bisogno di alcune correzioni. La questione dei licenziamenti disciplinari va rivista, anche se non farei qui barricate, ma è sempre meglio che il lavoratore abbia diritto al reintegro. I licenziamenti non sono solo una questione economica: ne va del curriculum che resta segnato. Quello che non mi convince è il licenziamento economico, che di fatto già esiste. Così come è congegnato sembra una scappatoia: io ho vestito la tuta e so che non c’è una parità di forza tra il lavoratore e l’imprenditore. Non basta un indennizzo.
Cosa avrebbe voluto?
Io avrei preferito un collegio di conciliazione arbitrale, bisogna mettere dei paletti, delle garanzie. E tocca al Parlamento farlo.
Vuole riuscire dove il governo ha fallito? Per Monti non c’erano margini con la Cgil?
Io avrei tentato ancora, credo che tempo in più sarebbe servito. Se il ministro Fornero invece di fare tutte quelle dichiarazioni si fosse astenuta forse avrebbe aiutato. Le trattative sono una cosa complessa, uno che si imbarca deve sapere che ha dei tempi di maturazione diversi da quelli delle aziende e della politica.
La Cisl ha ceduto?
Ognuno ha fatto bene a giocare la sua partita e la Cgil avrebbe dovuto essere più flessibile, ma in una trattativa le responsabilità si distribuiscono equamente.
Roberta d’Angelo, Avvenire del 22 marzo 2012