Articolo 18: i licenziamenti economici dovranno essere fortemente motivati

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Stiamo cambiando le norme sui licenziamenti economici», dice Raffaele Bonanni. «Il governo non cambia idea», afferma Mario Monti. Sono vere tutt’e due le cose, pare. Il governo è molto preoccupato per la reazione della Cgil e di Pier Luigi Bersani, per gli scioperi spontanei, per i ripensamenti dell’Ugl e (minori) della Uil, per le obiezioni dei vescovi, per le critiche della Uilm e della Cisl di Milano. Una possibile soluzione (che però non soddisfa la Cgil, e difficilmente placherà il Pd) l’ha proposta a Mario Monti il segretario della Cisl Raffaele Bonanni. Prima al telefono, poi in un paio di incontri riservati con il premier (ovviamente senza avvertire la sua collega della Cgil Susanna Camusso, che ha protestato via twitter ).

Il frutto di questa diplomazia si concretizza in qualche cambiamento della riforma del mercato del lavoro rispetto a quanto indicato dallo stesso governo martedì scorso. Ci sono alcune correzioni su alcuni aspetti dei nuovi ammortizzatori sociali e della flessibilità in entrata: ad esempio, arriva la cosiddetta «miniAspi», l’indennità di disoccupazione che riguarderà i lavoratori con carriere di precarietà.

La seconda novità riguarda proprio l’articolo 18. Monti ha parlato di «norme per limitare gli abusi» per i licenziamenti economici, ma non vuole mollare sul principio di lasciare il solo indennizzo monetario per i licenziamenti economici, evitando il passaggio per il tribunale del lavoro perché sia il giudice (come avviene in Germania) a stabilire se ci sarà reintegro nel posto o indennizzo. La soluzione seriamente considerata dal governo consiste in una serie di paletti per il datore di lavoro. In primo luogo l’azienda dovrà dimostrare perché si licenzia un lavoratore anziché un altro; non potrà sostituire il licenziato nella sua mansione con un altro collega; non potrà assumere un nuovo dipendente per un certo periodo di tempo. Ma cambierebbe anche la procedura da seguire: invece di limitarsi a inviare una semplice comunicazione all’interessato e agli uffici del ministero del Lavoro, dovrà avviare una sorta di «conciliazione» consultando o un comitato misto impresa-sindacati o affidandosi a un «ombudsman», un arbitro imparziale che dovrà confermare che il licenziamento è «oggettivo». Infine, sotto la pressione di molte categorie – medici e avvocati in prima linea – si sarebbe deciso di esentare dalle nuove regole sui licenziamenti i lavoratori dipendenti iscritti a ordini professionali. Medici, avvocati, ma anche i giornalisti.

La terza possibile novità, riferita da autorevoli fonti di governo come una «concreta ipotesi di lavoro», riguarda l’iter legislativo della riforma. Non tutti sono d’accordo, a cominciare dal ministro Fornero, che teme «mostriciattoli». Ma l’idea che verrà discussa oggi dal Consiglio dei ministri prevede tre differenti strumenti legislativi. Per decreto legge urgente andranno le norme su apprendistato e flessibilità in entrata, per incentivare le assunzioni. Con una delega legislativa verrà varata la complessa riforma degli ammortizzatori sociali. La riforma dell’articolo 18, invece, verrebbe contenuta in un disegno di legge.

Se così fosse sarebbe una scelta di rispetto nei confronti del Parlamento, ma anche (dicono alcuni, ricordando quanto avvenne nel 2002 con le modifiche all’art.18 decise da Berlusconi) la premessa per far finire a tempo debito la riforma più contestata in un binario morto. Di sicuro, spiegano in Cgil e nell’Ugl, ma anche nel Partito democratico, i nuovi paletti per i licenziamenti economici non sono sufficienti a conquistare il sì di chi contesta la riforma. Il punto di mediazione per Cgil e Bersani è la piena applicazione del «modello tedesco»: su tutti i licenziamenti l’ultima parola deve averla il giudice. Che può stabilire l’indennizzo, ma anche il reintegro del lavoratore.

 

Roberto Giovannini, La Stampa

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