Il governo si è preso due settimane di tempo per scrivere le norme penali anticorruzione da «agganciare» al ddl Alfano, ma ora, per il ministro della Giustizia Paola Severino, il percorso da seguire è quasi obbligato.
Da almeno 13 anni infatti – da quando è stata varata la Convenzione di Strasburgo contro la corruzione, ratificata in prima lettura dal Senato solo alcuni giorni fa – l’ Italia viene invitata dall’ Ocse e dal consiglio d’Europa a modificare il reato di concussione, ad allungare comunque i tempi di prescrizione, a prevedere nuove fattispecie (traffico di influenze e corruzione tra privati), a punire con un reato autonomo il pubblico funzionario che si mette a disposizione in pianta stabile degli imprenditori, a premiare invece quello che collabora per agevolare le indagini.
Tutte queste proposte di modifica sono contenute negli emendamenti che il Pd ritirerà alla Camera dopo la bufera nata intorno all’ abolizione dell’ articolo 317 (la concussione) destinata a favorire, tra gli altri, anche l’ imputato Silvio Berlusconi nel processo sul caso Ruby. Quella vicenda pesa ancora come un macigno. Ma è certo che gli emendamenti in via di preparazione al ministero della Giustizia dovranno per forza tenere conto dei testi presentati dal Pd, e in parte anche dall’ Idv, sia alla Camera sia al Senato, e respinti per molti mesi al mittente dal Pdl. Ma dopo il vertice con Monti la partita si è riaperta, rendendo di nuovo attuali quegli emendamenti dell’ ex opposizione che poi si basavano sui «consigli» che avevano dato l’ Ocse e l’ Europa.
Il 2 luglio del 2009, il Group d’ Etats contre la corruption (Greco), che opera sotto l’ egida del Consiglio d’Europa, mette in fila 22 raccomandazioni per l’ Italia.
La più importante riguarda i tempi di prescrizione: la legge Cirielli del 2005, infatti, rischia di impedire l’ accertamento dei reati di corruzione perché i processi «muoiono» troppo in fretta senza che si possa arrivare a sentenza definitiva. «Greco» interviene anche sulla prevenzione e sui nuovi reati ma poi, nel rapporto del 23 maggio del 2011, evidenzia che l’ Italia «ha trattato in maniera insoddisfacente meno della metà dei 22 quesiti».
Ma le raccomandazioni più incalzanti le scrive, fin dal 1997, l’ Ocse, l’ Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo con sede a Parigi: l’ Italia viene sollecitata a modificare il reato di concussione che non ha corrispondenza nella maggior parte dei paesi occidentali. L’ Ocse teme che la concussione (…il pubblico ufficiale che, abusando della sua qualità, induce taluno a dare o a promettere a lui o a un terzo denaro o altra utilità…) lasci impunita una delle forme più frequenti di corruzione. Se infatti il concusso non è perseguibile, l’ unico che risponde penalmente è il pubblico ufficiale mentre la punibilità della parte privata è esclusa se questa è stata indotta o costretta a pagare l’ incaricato di pubblico servizio.
Da tempo, dunque, l’ Ocse invita l’ Italia a ristrutturare integralmente il reato di concussione rubricandolo come estorsione (quando ci sono violenza o minaccia, anche implicita) o come corruzione. Qui, però, iniziano i problemi perché la concussione (pena edittale massima di 12 anni) consente ai giudici di condurre in porto i processi mentre le altre imputazioni vanno incontro a termini di prescrizione molto più brevi. E, così, l’ addio al reato di concussione consentirebbe certo un allineamento con i principali Paesi Ocse ma – in assenza di una riforma della prescrizione – rischia pure di vanificare molti processi in corso contro i colletti bianchi. La punta dell’ iceberg è il caso Ruby (Berlusconi è imputato anche di concussione per aver chiesto alla questura di liberare la «nipote di Mubarak») ma in ballo c’ è anche molto altro.
Dino Martirano, Corriere della Sera, 19 marzo 2012