L’Antitrust ha recentemente segnalato al governo cosa fare in tema di liberalizzazioni.
Per comodità espositiva raggruppo le sue indicazioni in tre moniti.
1) Lo snellimento delle procedure amministrative che condizionano l’iniziativa economica: convertire i titoli abilitativi da atti di controllo ex ante, inibenti l’avvio di un’attività, in atti di controllo ex post, ostativi la sua continuazione.
Semplificazione necessaria, atteso che i controlli un tempo a tutela dell’interesse pubblico sono stati ridotti a barriere anticompetitive che selezionano i nuovi entranti in difesa della rendita di posizione dei concorrenti già presenti. Vediamo se e come il decreto sulle liberalizzazioni del governo abbia seguito tale suggerimento.
Il suo articolo 1, lo accoglie, ma ne rinvia la pratica operabilità all’emanazione di regolamenti governativi, che dovranno nella giungla normativa distinguere i titoli da lasciare in vita da quelli da eliminare. Neppure il successivo decreto sulla semplificazione ha però conseguito tale risultato, nonostante il nome lasciasse ben sperare, rinviando al pari del primo ai futuri regolamenti. Quindi direi un suggerimento accettato in punto di diritto, ma sostanzialmente declassato a rimedio con una operatività differita.
2) Il nodo italiano delle industrie a rete, cioè le imprese fisiologicamente costrette a impiegare le reti per prestare il servizio al cliente finale – energia, trasporti, telecomunicazioni, gas – invece dovrà ancora attendere prima di essere sciolto. L’Autorità infatti, ha preferito una linea di cauto conservatorismo in difesa dello status quo, nonostante il suo ruolo sia quello piuttosto di promuovere la competizione verso l’alto che non di congelarla ai livelli raggiunti.
L’Antitrust pertanto nella segnalazione non suggerisce al governo di considerare attentamente il problema dell’operatore verticalmente integrato, cioè di colui che concentra nelle sue mani il ruolo di gestore di rete e di fornitore del servizio, ma accetta come dogma di fede la trilogia tutta italiana. Precisamente, il pallido rimedio della divisione funzionale operato da Telecom, limitatasi a un apparente riparto interno di funzioni, o la più spinta separazione societaria delle FS, dove l’immodificabilità dell’assetto proprietario, rimasto confusamente accentrato nelle mani del medesimo soggetto pubblico, ha prodotto una sorta di rappresentazione teatrale della concorrenza; e, infine, la vera separazione proprietaria, invertitasi nella sola rete elettrica. E qui il governo è andato oltre i miti consigli dell’Antitrust, spingendosi a differire in un tempo futuro la decisione sulla separazione proprietaria, limitatamente alle ferrovie, sempre che la neo istituenda autorità la sottoponga alla sua riflessione, con ciò cedendo a un soggetto tecnico compiti politici, come tali non delegabili.
3) Il reperimento delle risorse, necessarie per dare alito alla nostra asfittica economia, dimenticato dall’Antitrust, viene invece risolto con un certo slancio innovativo dal nostro governo, che sperimenta il terreno vergine dei project bond, titoli di debito finanziati dal capitale privato in soccorso delle infrastrutture, oppure degli atipici contratti di disponibilità, o infine di altre forme di partenariato pubblico-privato, accomunate nel loro essere vistosamente sbilanciate a favore del privato, rischiando di sottrarre ancora una volta allo Stato il ruolo di architetto delle operazioni strategiche finanziabili.
Quindi, visto che chi avrebbe dovuto dare buoni consigli non lo ha fatto, auguriamoci che il nostro decisore politico aggiusti il tiro del decreto.
Due le ragioni che lo consiglierebbero.
La prima politica: il governo Monti è un esecutivo tecnico rispetto al quale i partiti dispongono di un’inedita libertà, spendibile anche nel riscrivergli le proposte normative, prive di una fiducia politica.
La seconda ragione riguarda il patto sociale: visto che dai tre punti indicati dipende il buon esito dell’operazione sviluppo, cioè le concrete possibilità di una vita migliore per noi cittadini, gli stessi partiti, corresponsabili con l’Unione Europea di questa condizione, avrebbero un’occasione imperdibile per un’operosa redenzione.
Giovanna De Minico, Corriere della Sera / Economia, 20 febbraio 2012