“L’ipotesi della democrazia dei cristiani sollecita una nuova assunzione di responsabilità dei cattolici italiani”. Così scriveva Pietro Scoppola nella Prefazione– firmata insieme a Giuseppe Tognon – alla seconda edizione de La democrazia dei cristiani, l’intervista pubblicata nel 2006.
Infatti, nella prima edizione, del 2005 non c’era una Prefazione ma, a distanza di appena un anno, Scoppola sentì il bisogno di aggiungere alcune pagine sul ruolo dei cattolici nel futuro della politica italiana. Questo testo rappresenta un ripensamento che ha sorpreso molti, perché sembrava prefigurare un ruolo specifico per i cattolici in politica in apparente contraddizione con l’affermazione centrale dell’intervista: “la democrazia dei cristiani è la democrazia di tutti”.
In realtà, lo storico romano non ritrattò quanto aveva scritto nel 2005: anche in questa Prefazione confermò la sua simpatia per la prospettiva dell’Ulivo e il favore per la costituzione di un nuovo Partito democratico, punto di arrivo necessario di una lunga evoluzione iniziata negli anni novanta e di cui si cominciava allora a vedere la conclusione. Ma la pubblicazione de La democrazia dei cristiani aveva suscitato un forte interesse e un vivace dibattito che avevano sorpreso Scoppola. “Non ci saremmo aspettati – egli scriveva con Giuseppe Tognon – di vedere emergere così forte, dalle nostre discussioni, un’esplicita domanda politica, la classica domanda sul “che fare”… soprattutto per i cristiani”. Egli coglieva, in altre parole, la domanda di un “impegno nuovo” da parte cattolica, che pur senza più orientarsi verso “una propria distinta identità” – e cioè verso un partito cattolico o di cattolici – non accettava di far scomparire totalmente la propria “diversità” all’interno della “democrazia di tutti”.
E affermava che era necessario fare i conti con un “sentimento politico dei cattolici italiani” indubbiamente “confuso” ma “alla ricerca di proposte politiche che contengano un valore aggiunto”. Si trattava di una situazione “rischiosa” ma carica di “enormi potenzialità” che non andavano sottovalutate: si profilava la possibilità di una “assunzione di responsabilità dei cattolici italiani”, che avrebbe potuto condurre ad una pluralità di esiti possibili, anche oltre la prospettiva dell’ Ulivo che pure egli continuava a sostenere.
Scoppola non riteneva dunque esaurita la tradizione del cattolicesimo politico, sia per quanto riguarda la forma partito sia per quanto riguarda gli obiettivi della politica . Egli non pensava affatto a riesumare una “questione cattolica” ormai definitivamente superata da tempo. Aveva un obiettivo molto più ambizioso: attingere ai principi del personalismo cristiano per ridefinire forme e contenuti della politica. Era dunque una visione tutt’altro che rassegnata ad una presenza marginale o subalterna dei cattolici – e, soprattutto, del cattolicesimo, dei suoi valori, dei suoi input – all’interno del Pd (e, più in generale, all’interno della politica italiana nel suo complesso). Egli temeva che il nuovo partito sarebbe stato plasmato da “pezzi di vecchia classe dirigente”, come si legge in questa Prefazione, e che avrebbe potuto rivelarsi inadeguato alle nuove sfide che venivano profilandosi. La sua esigenza di tener conto della tradizione cattolica, però, non si traduceva nella ricerca di un potere da perseguire in termini di posti di comando, ma nella proposta di una influenza culturale – o, meglio, spirituale, per usare il suo linguaggio – sui fondamenti del nuovo partito e, perciò, in grado di orientarlo nella sua globalità.
Si tratta di un progetto in parte ancora indefinito ed egli è scomparso prima di formularlo in modo compiuto. Da allora, molte cose sono cambiate, a cominciare dalla fondazione del Pd. Si è formato un governo Prodi e poi Berlusconi è tornato nuovamente al potere, mentre sia l’area di centro-sinistra sia l’area di centro-destra di sono variamente ristrutturate. Oggi assistiamo alla nascita di un governo totalmente inedito nella storia dell’Italia Repubblicana.
Scoppola non c’è più e non sappiamo che cosa direbbe di questi cambiamenti e della situazione attuale. Tuttavia, la domanda di un “impegno nuovo” da parte cattolica, da lui già colta nel 2006, è emersa con forza crescente e una maggiore “assunzione di responsabilità dei cattolici italiani” si è espressa in modo sempre più visibile. I giornali hanno addirittura scritto che il governo Monti è nato grazie allo “spirito di Todi”: si tratta di un’approssimazione giornalistica che tuttavia fa riferimento ad effetti indubbiamente percepibili di un percorso compiuto da una parte del mondo cattolico negli ultimi anni. La presenza di cattolici nel governo Monti costituisce un aspetto particolare di un fenomeno più generale: il declino non tanto di Berlusconi quanto del berlusconismo e cioè di una cultura rispetto a cui anche i cattolici hanno vissuto in una condizione di subalternità.
Non a caso, il ragionamento di Scoppola si fermava nel 2006 davanti ad un muro che gli sembrava insuperabile. “Nel nostro mondo – egli scriveva – non è più la povertà la vera sfida , ma le conseguenze di un eccesso di ricchezza”. Anche l’Italia, affermava, è “ormai stabilmente collocata dalla parte dei paesi ricchi”. Egli non ignorava, naturalmente, la presenza di tante forme di povertà, vecchie e nuove, ma registrava una visione della realtà che gli appariva dominante in Italia sin dalla fine degli anni settanta e da cui era scaturito quel vuoto etico da lui denunciato ne La nuova cristianità perduta del 1985.
Scoppola osservava che “essere cristiani in una condizione di ricchi è più difficile che vivere da cristiani in una società di poveri” e a tale difficoltà si collegavano anche gli ostacoli crescenti incontrati da comportamenti politici ispirati dal personalismo cristiano. Il passaggio da una situazione in cui i poveri costituivano i due terzi e i ricchi solo un terzo ad un’altra in cui i ricchi sono due terzi contro un terzo di poveri, su cui egli si soffermò già ne La Repubblica dei partiti del 1991, aveva profondamente indebolito la spinta verso l’uguaglianza che ha animato tutta la democrazia novecentesca. Egli maturò perciò una visione pessimistica sul futuro della democrazia in Europa, che si proiettava anche sull’apporto dei cristiani alla democrazia.
Ma forse le reazioni alla sua intervista del 2005 gli fecero intravedere un panorama più variegato di quanto ritenesse. E percepì probabilmente l’esistenza di incrinature nel berlusconismo che ci appaiono oggi evidenti. Negli ultimi tempi, abbiamo toccato duramente con mano che i fuochi di artificio berlusconiani coprivano un’assenza di crescita che ha portato l’Italia ad un profondo immobilismo. Molti segni ci confermano, inoltre, che i poveri sono evangelicamente sempre tra di noi, tra gli italiano e i non italiani, in Europa e nel mondo. Insomma, l’assordante narrazione berlusconiana ha perso molto della sua credibilità.
La novità del governo Monti è apparsa ad alcuni osservatori una novità anzitutto antropologica, prima ancora che politica. E nell’appello contro l’egoismo con cui il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, ha motivato la fiducia al governo Monti sono risuonati anche echi del personalismo cristiano.
Non sappiamo che cosa penserebbe oggi Scoppola della situazione politica italiana, ma credo avrebbe apprezzato i segni di diverso stile umano e di inedito rigore morale. Se l’attuale passaggio politico durerà abbastanza a lungo per dispiegare tutti i suoi effetti, è possibile che si possa passare ad un bipolarismo come l’ ha immaginato Scoppola, oltre l’alternativa tra una destra senza storia e gli eredi di una socialdemocrazia ormai superata dalla storia.
Agostino Giovagnoli, Docente di Storia contemporanea all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
TamTam democratico, Gennaio 2012