I sistemi elettorali si propongono un compito impossibile: trasformare milioni di volontà individuali disperse e contrapposte in una volontà collettiva. Perché questo miracolo riesca c’è bisogno della collaborazione di tutti. È infatti sufficiente che una parte dei cittadini non collabori con la intenzione del legislatore perché il sistema funzioni in modo assai diverso da quello inizialmente ipotizzato o desiderato.
È possibile, per esempio, che i cittadini non si sentano rappresentati dal sistema elettorale e non vadano a votare. Se la partecipazione al voto precipita, insieme con essa declina la autorevolezza dei rappresentanti del popolo. Il popolo che non si sente rappresentato, allora, davanti a misure dolorose e difficili potrà scegliere di far sentire la sua voce al di fuori del sistema istituzionale, sostenendo movimenti antisistema.
Certo, se si escludono dalla rappresentanza i partiti piccoli è più facile costruire maggioranze di governo. Ci si espone però al rischio che cresca e si sviluppi una politica extraparlamentare e potenzialmente non democratica. È un rischio che si può correre quando il sistema politico goda di un livello molto alto di legittimazione e consenso diffuso. È questo il caso dell’Italia? A me pare di no.
Certo, esiste anche il rischio che in Parlamento esistano troppi partiti e che divenga troppo difficile formare un governo. Per ovviare a questo inconveniente è bene stabilire una soglia di sbarramento. I partiti al di sotto di quella soglia godranno di un diritto di tribuna, avranno la possibilità di far sentire la loro voce ma non avranno una rappresentanza piena. In questo modo non si esclude nessuno ma si incoraggia l’aggregazione fra piccoli partiti divisi fra loro non da vere questioni politiche ma solo da rivalità di potere personali. Si riduce anche la capacità di ricatto di piccoli partiti che dispongono di pochi voti decisivi e li fanno pesare vendendosi al migliore offerente.
È probabile che anche con la soglia di sbarramento non vi sia nessun partito capace da solo di sostenere un governo. Può allora essere opportuno prevedere un premio per i partiti che si coalizzano fra loro e superano in questo modo una soglia elevata, tale da permettere loro di candidarsi credibilmente alla guida del paese.
Il sistema che qui stiamo prefigurando prevede un diritto di tribuna per i partiti molto piccoli (per esempio sotto il 5 per cento). Potrebbe essere una dozzina di seggi per non escludere nessuna voce dal confronto politico.
I partiti di dimensioni maggiori dovrebbero avere una rappresentanza che corrisponda grosso modo alla loro forza elettorale.
Un premio di maggioranza dovrebbe favorire la formazione di coalizioni prima delle elezioni.
Non si tratta di un sistema studiato a tavolino ma di un tentativo di tenere da conto in modo ragionevole delle proposte e delle convinzioni di tutti gli attori del gioco politico.
Molti vogliono che le coalizioni si formino prima delle elezioni e magari indichino anche il nome del loro candidato come capo del governo. Il sistema offre un ragionevole incoraggiamento a chi voglia percorrere questo cammino. Per le coalizioni si prevede un premio che faciliti le aggregazioni, non così grande però da consentire ad una minoranza relativamente piccola di diventare maggioranza in Parlamento. Il sistema può funzionare in modo bipolare. Può però anche funzionare in modo non bipolare. Facilita le aggregazioni naturali ma non obbliga ad aggregazioni innaturali. In questo consiste il suo pregio fondamentale. Si tratta di un sistema che può funzionare in modo bipolare ma che non esclude la possibilità di convergenze al centro e di governi di grande coalizione. Sia l’una che l’altra ipotesi potrebbero essere sperimentate e sottoposte al giudizio degli elettori che potrebbero dare la maggioranza ad una coalizione o anche non dare la maggioranza a nessuna coalizione e costringerle quindi a collaborare fra loro. Adesso abbiamo un governo che somiglia molto ad una grande coalizione e che sta funzionando a parere di molti (in Italia ed in Europa) piuttosto bene. L’opera di risanamento che Monti ha iniziato richiede di essere coerentemente proseguita per un lungo periodo. Si sentono voci che auspicano che Monti si ricandidi alla guida del paese. Di questo naturalmente può decidere Monti stesso. Ma perché dovrebbe essere vietato riproporre la formula politica che ha permesso di salvare un paese che era giunto ad un passo dal baratro?
Ho indicato le caratteristiche di un sistema elettorale flessibile, capace di funzionare in senso bipolare e tale anzi da favorire la formazione di un sistema bipolare ma senza la pretesa di imporlo anche quando le condizioni concrete del paese e le preferenze degli elettori andassero in una altra direzione. Si tratta cioè di un sistema che consente anche aggregazioni al centro e grandi coalizioni. Nel bipolarismo coatto le forze più estremiste hanno una enorme capacità di ricatto. Non esiste infatti alternativa alla alleanza con loro se si vuole essere politicamente competitivi. Nel sistema che abbiamo prefigurato l’alternativa esiste ed è la aggregazione al centro. In un sistema così sono le forze estremiste che devono moderarsi se vogliono entrare nel gioco del governo. Esiste nel paese una area vasta moderata e riformista. Se le condizioni sono favorevoli è bene che questa area si divida in due coalizioni che assicurino l’alternanza. Se invece le condizioni lo richiedono questa area deve essere in grado di ricomporsi per assicurare la tenuta delle istituzioni e le compatibilità di lungo periodo della politica economica e della politica europea.
Abbiamo detto che serve un sistema a base proporzionale con un premio di coalizione per facilitare le aggregazioni ed un diritto di tribuna assicurato alle forze minori che non superano la soglia di sbarramento ed un premio di coalizione per facilitare le aggregazioni. Oggi vediamo in che modo si può conseguire questo risultato e vediamo anche in che modo è possibile assicurare agli elettori il diritto di scegliere loro i parlamentari. Immaginiamo di dare sedici seggi (tutti i numeri sono naturalmente arbitrari e possono essere cambiati) al diritto di tribuna dei partiti che non superano la soglia di sbarramento ed ai rappresentanti degli italiani all’estero e lasciamo da parte il premio di coalizione. Gli altri parlamentari si potrebbero eleggere su 232 collegi (scegliamo per comodità questo numero perché corrisponde a quello dei collegi del Senato) con in più una lista di partito di 232 nomi, proprio come si fa in Germania. I seggi vengono attribuiti secondo un sistema proporzionale. Ogni partito sottrae al totale dei seggi che gli sono attribuiti i collegi che ha vinto direttamente perché in essi il suo candidato è arrivato primo. Per i seggi residui si attinge alla lista di partito. A molti questo sistema pare preferibile a quello delle preferenze che è più esposto a rischi di inquinamento clientelare. Il legame con il territorio ed il diritto di scelta dell’elettore è comunque preservato dal collegio uninominale. Si potrebbe obiettare che questo legame diretto vale solo per una metà dei parlamentari, quelli eletti nei collegi, mentre l’altra metà viene ancora nominata dai segretari dei partiti. Nella realtà, però, non è proprio così. Chi si candida nel collegio, infatti, chiede quasi sempre di essere presente anche nella lista di partito e la lista di partito funziona come una specie di assicurazione per il candidato. Tutti (o quasi) i candidati, dunque, devono essere scelti non in modo arbitrario ma per la loro capacità di prendere voti sul territorio e quindi di rappresentarlo. Questo è tanto vero che si può anche scegliere di rinunciare alla lista di partito ed attingere invece ai migliori perdenti come avviene nel sistema delle provinciali. Si potrebbe infine anche decidere di ricorrere in parte ai migliori perdenti ed in parte ad una lista bloccata di partito.
Siamo così arrivati ad assegnare 480 seggi rispetto ai 630 della camera attuale. Rimangono 150 seggi. Essi possono essere usati in parte per una riduzione del numero dei parlamentari ed in parte per assegnare un premio di coalizione alle forze che decidano di presentarsi insieme. Il premio di coalizione non è un premio di maggioranza. Non serve ad assicurare direttamente la governabilità ma per favorire le aggregazioni (cosa, questa, che indirettamente, assicura governabilità). Il rischio che una minoranza esigua possa diventare maggioranza è ridotto, la convergenza delle forze politiche è favorita. Il premio di coalizione va alle forze che coalizzandosi hanno superato una certa soglia ed i parlamentari si identificano attingendo alle liste di partito.
Riassumendo: chi vuole si coalizza e può anche indicare il nome che proporrà al Capo dello Stato come presidente del consiglio. È chiaro che se quella coalizione avrà la maggioranza dei seggi in Parlamento il Capo dello Stato potrà dare l’incarico di formare il nuovo governo solo al capo della maggioranza parlamentare uscita dalle urne. Se invece non ci sarà nessuna coalizione vincente le alleanze si formeranno dopo le elezioni in Parlamento e sarà più ampio il ruolo del Capo dello Stato nel favorire le necessarie convergenze. Una variante, che richiede però una riforma costituzionale, sarebbe quella di fare eleggere il Capo del Governo direttamente dal Parlamento. In un sistema parlamentare il Capo del Governo non può essere eletto direttamente dal popolo. Vi può essere una indicazione politica di coalizione, come c’è in molti paesi europei, ma non una elezione diretta giuridicamente vincolante. Questa non vi è, del resto, neppure con l’attuale sistema. Se si vuole fare eleggere direttamente dal popolo il Capo dell’esecutivo allora si sceglie un sistema non parlamentare ma presidenziale, come negli Stati Uniti.
Quello che abbiamo delineato è un sistema flessibile che favorisce il bipolarismo ma non lo impone e consente di costruire anche soluzioni politiche di convergenza al centro o di grande coalizione, quando situazioni di emergenza le rendano desiderabili.
Fortunati i popoli che non hanno bisogno di grandi coalizioni. Sfortunati quelli che ne hanno bisogno e non sono in grado di farle.
Rocco Buttiglione, Liberal, 15 febbraio 2012