Il direttore del Centro Studi Confindustria sottolinea: bene il rigore ma non si esce dalla crisi solo con l’aggiustamento dei conti pubblici.
Le politiche adottate sulla finanza pubblica sono «imponenti e si stanno dimostrando adeguate, con obiettivi molto ambiziosi: pareggio di bilancio nel 2013 e nello stesso anno avvio del rientro del debito pubblico rispetto al Pil». Ma «non si esce dalla crisi solo con l’aggiustamento dei conti pubblici. È sui due fronti che bisogna agire, conti pubblici e crescita».
È questo il messaggio del direttore del Centro studi di Confindustria, Luca Paolazzi, nell’audizione che c’è stata ieri alle commissioni Bilancio e Politiche Ue della Camera sulla crescita 2012. «Il problema della crescita è molto serio nel Paese, torniamo in recessione dopo esserci stati nel 2009, servono le riforme», ha commentato la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia.
L’Italia esce da un periodo dove ha perso pesantemente terreno: dal 1997 al 2011 il nostro paese ha avuto un divario di sviluppo rispetto all’area euro del 14,7%, pari ad una perdita annua di Pil di 232,2 miliardi di euro, 3.822 per abitante. Dal 1997, quando di fatto è nata la moneta unica, al 2007 il tasso di crescita italiano è stato mediamente di quasi un punto percentuale inferiore a quello dell’insieme degli altri Paesi dell’area euro, con un 9,4% cumulato. Con un tasso nella media Ue il Pil italiano sarebbe di 148 miliardi più elevato. «Poi con la crisi il divario è arrivato al 14,7 per cento».
La competitività in calo e il declino relativo degli ultimi 20 anni, ha evidenziato il direttore del Centro studi, «mettono ora a rischio il benessere che gli italiani hanno conquistato dal Dopoguerra». Ecco perché «bisogna intervenire con la massima celerità e su più fronti». Servono le riforme: occorre recuperare produttività, rilanciare le infrastrutture, rendere efficiente la spesa pubblica, rivedere il sistema dei servizi, in particolare intervenendo sulle utility, comprese quelle locali, aprendole ai mercati e alla regolazione. Inoltre applicare la direttiva Ue sui pagamenti pubblici entro 60 giorni e agire sul fisco, destinando il gettito dell’evasione alla riduzione delle tasse per imprese e lavoratori.
«Le carenze sistemiche oggi possono rappresentare un vantaggio, colmare le lacune imprimerebbe all’economia un ritmo di incremento ben sopra il 2% annuo, contro molto meno dell’1% che si determinerebbe spontaneamente», ha detto Paolazzi davanti ai deputati.
Il Piano nazionale di riforme che il governo deve presentare in Europa può essere un contributo al recupero di fiducia sulla crescita italiana, abbassando lo spread troppo elevato ed allentando la morsa del credit crunch. In questo modo, secondo Paolazzi, l’economia potrebbe ritornare a crescere già nella seconda metà dell’anno, come indicato nelle previsioni del Centro studi a dicembre. A causare la crescita più bassa dell’Italia è stato soprattutto il rallentamento della produttività: già prima della crisi, dal 2000 al 2007 è cresciuta dello 0,2% all’anno (intera economia), contro l’1,6% degli anni ’90 e il 2,8% degli anni ’70. Tra il 2000 e il 2010 il clup in Italia nel manifatturiero è salito di 16,6 punti più della media euro e di 26,3 punti più della Germania.
+2% Quanto valgono le riforme
Secondo il direttore del Centro studi di Confindustria, «le carenze sistemiche oggi possono rappresentare un vantaggio, colmare le lacune imprimerebbe all’economia un ritmo di incremento ben sopra il 2% annuo, contro molto meno dell’1% che si determinerebbe spontaneamente». Bisogna recuperare produttività, rilanciare le infrastrutture, rendere efficiente la spesa pubblica, rivedere il sistema dei servizi, in particolare intervenendo sulle utility, comprese quelle locali
+0,2% Produttività a singhiozzo
A causare la crescita più bassa dell’Italia rispetto alla media dei paesi dell’Unione europea è stato soprattutto il rallentamento della produttività: già prima della crisi, dal 2000 al 2007 – secondo il direttore del Centro studi di Confindustria Luca Paolazzi – è cresciuta dello 0,2% all’anno (intera economia), contro l’1,6% degli anni ’90 e il 2,8% degli anni ’70. Tra il 2000 e il 2010 il clup (il costo del lavoro per unità prodotta) in Italia nel manifatturiero è salito di 16,6 punti più della media euro e di 26,3 punti più della Germania
Nicoletta Picchio, Il Sole 24 Ore, 16 febbraio 2012