Mercoledì 13 aprile 2011 – 82a seduta
Presidenza del Presidente On. Andrea PASTORE
La seduta inizia alle ore 14,10. IN SEDE CONSULTIVA SU ATTI DEL GOVERNO
Schema di decreto legislativo recante “Codice della normativa statale in tema di ordinamento e mercato del turismo, nonché attuazione della direttiva 2008/122/CE, relativa ai contratti di multiproprietà, ai contratti relativi ai prodotti per le vacanze di lungo termine, ai contratti di rivendita e di scambio” (limitatamente alle parti di competenza), (n. 327)
(Parere ai sensi dell’articolo 14 della legge 28 novembre 2005, n. 246. Seguito dell’esame e rinvio)
PROPOSTA DI PARERE DELL’ONOREVOLE DE MICHELI SULL’ ATTO DEL GOVERNO N. 327
La Commissione parlamentare per la semplificazione
esaminato lo schema di decreto legislativo recante «Codice della normativa statale in tema di ordinamento e mercato del turismo, nonché attuazione della direttiva 2008/122/CE, relativa ai contratti di multiproprietà, ai contratti relativi ai prodotti per le vacanze di lungo termine, ai contratti di rivendita e di scambio», adottato ai sensi dell’articolo 14, commi 14, 15 e 18, della legge 28 novembre 2005, n. 246;
visto il parere della Conferenza Unificata del 18 novembre 2010;
visto il parere del Consiglio di Stato, Sezione consultiva per gli atti normativi, reso nell’Adunanza plenaria del 13 gennaio 2011, il quale si è espresso nel senso della legittimità – alla luce della giurisprudenza costituzionale – dello schema di decreto legislativo;
premesso che:
lo schema di decreto legislativo in esame è stato presentato dal Ministro per il turismo quale strumento per ricondurre a sistema una situazione normativa complessa e frammentata, attuando una riforma organica del settore, per tutelare il turista, agevolare le imprese ed aumentare la competitività dell’offerta turistica italiana;
secondo l’Osservatorio nazionale del turismo in Italia un’impresa su dieci è legata al turismo, 390.000 in forma primaria e 174.000 in forma secondaria (il totale del comparto è pari a 565.000 imprese), e coloro che lavorano nel turismo sono oltre 3 milioni, tra diretti e indiretti;
lo schema di decreto non rende giustizia ad un Paese che ha una forte vocazione turistica e ai milioni di operatori che vi lavorano, che investono, che hanno costruito dal nulla e fatto grande un settore che produce tra il 10 e 11 per cento del PIL nazionale;
l’Italia è il Paese con più siti Unesco del mondo, 5.000 chilometri di costa balneabile, 68.000 chilometri quadrati di superficie forestale, 146 riserve naturali, 2.100 siti e monumenti archeologici, 20.000 rocche e castelli, 40.000 dimore storiche, 128 parchi tematici, 185 località termali. Luoghi meravigliosi, serviti da 33.411 alberghi, 2.374 campeggi e villaggi turistici, 11.525 aziende agrituristiche, 10.583 agenzie di viaggio, 95.000 posti barca in porti, 77.807 ristoranti, 390 aziende termali (fonte Censis);
considerato che:
il provvedimento è stato presentato nella sede del Consiglio dei ministri senza la necessaria concertazione preventiva con le associazioni di categoria, le organizzazioni dei consumatori, i sindacati e senza nessun confronto con le Regioni che hanno competenze esclusive in materia di turismo, ai sensi del Titolo V della parte seconda della Costituzione;
appare opportuno in tal senso segnalare il parere negativo espresso dalle Regioni in sede di Conferenza unificata il 18 novembre 2010 e considerare che identica posizione è stata espressa dalle associazioni di rappresentanza del settore del turismo;
in particolare le Regioni hanno respinto il diktat imposto dal Governo, chiedendo il coordinamento nazionale delle politiche del turismo e affermando la necessità di promuovere, attraverso un’intesa Stato-Regioni, un piano strategico nazionale;
la materia del turismo è al momento regolata dalla legge n. 135 del 2001 che il decreto in titolo vuole abrogare (ad eccezione dell’articolo 6);
sebbene si ritengano necessarie significative modifiche alla legge n. 135 del 2001, quest’ultima ha, quantomeno, il pregio di essere stata adottata sulla base dell’intesa tra Stato e Regioni per le politiche nazionali in materia di turismo, e a seguito di una grande concertazione di tutte le categorie di settore maggiormente rappresentative a livello nazionale;
il Consiglio di Stato, sezione consultiva per gli atti normativi, nel corso dell’adunanza del 13 gennaio 2011 ha consigliato al Governo di valutare se “a fronte del parere sfavorevole delle Regioni, sia il caso di soprassedere all’opera di codificazione, che potrebbe essere foriera di un contenzioso costituzionale”, riconoscendo, invece, la legittimità di un intervento unitario dello Stato in materia di turismo;
rilevato che:
la disciplina recata all’articolo 2, comma 1, nel consentire allo Stato di legiferare in materia di turismo nel caso in cui sia ravvisabile una competenza legislativa esclusiva dello Stato medesimo ovvero una competenza concorrente, è del tutto superflua in quanto enunciativa di un principio direttamente derivante dal riparto di competenze delineato dal Titolo V della parte seconda della Costituzione, come interpretato dalla giurisprudenza costituzionale;
la predetta disciplina è altresì da considerarsi impropria e inopportuna in quanto codifica i contenuti della giurisprudenza costituzionale stessa, indicando in particolare che l’intervento legislativo dello Stato nella materia del turismo è consentito quando il suo “oggetto principale” costituisce esercizio di una autonoma competenza legislativa statale esclusiva o concorrente;
in relazione al riconoscimento da parte della Corte Costituzionale dell’effettivo sussistere di un’esigenza unitaria che legittima l’intervento legislativo statale in materia di turismo, identico rilievo deve essere mosso anche al comma 2 del medesimo articolo 2, laddove sono richiamate altre ipotesi per le quali è consentito l’intervento legislativo dello Stato, quali valorizzazione, sviluppo e competitività a livello interno e internazionale, del settore turistico e riordino e unitarietà dell’offerta turistica;
lo schema di decreto in esame potrebbe, inoltre, presentare profili di illegittimità costituzionale per un eccesso di delega esercitata dal Governo nel settore turismo, che va oltre i principi e criteri direttivi dettati dall’articolo 14, commi 14, 15 e 18 della legge 28 novembre 2005, n. 246, e successive modificazioni, e dall’articolo 20, della legge 15 marzo 1997, n. 59, ed interviene in una materia che, a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione rientra nella competenza legislativa residuale delle regioni e delle province autonome;
il provvedimento in titolo reca, inoltre, la contestuale attuazione di due distinte deleghe legislative, la prima di carattere generale, volta al riassetto della legislazione vigente e disposta nell’ambito del procedimento di cui all’articolo 14, commi 14, 15, 18 della legge 28 novembre 2005, n. 246, cosiddetto «taglia-leggi», la seconda di natura specifica per l’attuazione – sulla base della delega conferita dalla legge comunitaria 2009 – della Direttiva 2008/122/CEdel Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 gennaio 2009, sulla tutela dei consumatori per quanto riguarda taluni aspetti dei contratti di multiproprietà, dei contratti relativi ai prodotti per le vacanze di lungo termine e dei contratti di rivendita e di scambio;
appare del tutto infondata la scelta da parte del Governo di attuare con il decreto in esame due distinti testi normativi, e che il Consiglio di Stato – nell’esaminare l’Allegato 2 – ha peraltro sollecitato il legislatore a stralciarlo “per ragioni di ordine sistematico e di materia, oltre che di tecnica legislativa, affinché formino oggetto di un autonomo decreto legislativo, recante, appunto, modificazioni al codice del consumo”;
è pertanto indispensabile che il Governo prenda atto della confusione ingenerata dalla scelta di attuare nel contempo, con l’introduzione di due allegati, due diverse deleghe legislative, che si distinguono, oltre che per l’oggetto, per i principi e criteri direttivi che sono chiamati ad attuare, per il diverso termine di delega e per le differenti modalità di approvazione dei decreti legislativi di rispettiva attuazione, con particolare riferimento al parere parlamentare, ritirando il decreto in titolo a favore di un esercizio più corretto e conseguente delle due distinte deleghe;
non è condivisibile lo spostamento di una serie di norme dal Codice del Consumo al provvedimento in esame, in quanto il decreto legislativo n. 206 del 2005 è un corpus coordinato di norme che non possono essere frantumate in altri provvedimenti;
l’abrogazione della legge 27 dicembre 1977, n. 1084, di ratifica della Convenzione internazionale sul contratto di viaggio (CCV), prevista dal combinato disposto degli articoli 3 e 34 dell’allegato I del provvedimento in esame, comporterebbe una grave lacuna legislativa in tema di disciplina dei contratti di viaggio e, in particolare, in materia di ripartizione delle rispettive responsabilità tra il venditore e l’organizzatore del viaggio (agenzie di viaggi e tour operator), con la conseguenza di esporre questi ultimi ad una responsabilità illimitata;
nell’allegato I, Titolo I Capo I, l’articolo 3, che si occupa del turismo accessibile risulta vago e generico, come rileva anche il Consiglio di Stato «essendo stata la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità già recepita e non disponendo la norma in esame di alcun concreto precetto ad eccezione della promozione della fattiva collaborazione», e che dovrebbero essere assicurati strumenti di effettiva tutela dei diritti delle persone disabili nei casi in cui la Convenzione non sia rispettata, prevedendo altresì che le tutele siano previste anche per le persone temporaneamente afflitte da mobilità ridotta;
al Capo II, l’articolo 4 riporta una definizione generica di “impresa turistica”, che non consente di avviare un’attiva politica di settore diretta al sostegno dei prodotti turistici che si vogliono rilanciare e sviluppare, in considerazione soprattutto della scarsa disponibilità di risorse pubbliche, che richiede invece un’analitica individuazione delle imprese beneficiarie;
resterebbero pertanto esclusi una serie di servizi che devono essere contemplati perché contribuiscono a completare il quadro del prodotto turistico nazionale, e che gli scarsi benefici di cui il settore gode, stando all’impianto del decreto in esame, saranno destinati solo alle imprese esplicitamente contemplate, ossia quelle della ricettività e dell’intermediazione, che concorrono solo in parte alla formazione del prodotto turistico;
il decreto ha la pretesa di assurgere a “Codice del turismo”, ma non si spiega la ratio in base alla quale, pur disciplinando nel dettaglio specifici settori del turismo, non vi è alcun riferimento al “turismo balneare” e a tutte le imprese e le strutture turistico-ricreative che lo costituiscono;
gli stabilimenti balneari ricoprono un ruolo rilevante e specifico nel comparto turistico e, pertanto, devono essere nuovamente introdotti nella definizione di impresa turistica. Si tratta di un settore fondamentale del nostro turismo che necessita di una disciplina chiara e puntuale, assolutamente assente in questo codice e che non può essere ricondotta alla genericae vuota espressione “turismo del mare”, riportata al titolo III e non corredata da disposizioni che consentano di individuare regole, soggetti e contenuti, lasciando spazio a molteplici interpretazioni foriere di incertezza e confusione;
manca un richiamo esplicito al settore della ristorazione e a quelli ad esso strettamente collegati, oltre ai settori dell’intrattenimento, e che sarebbe dunque auspicabile introdurre un’esplicita disciplina di classificazione dei pubblici esercizi allo scopo di fornire ai turisti la possibilità di una preventiva valutazione dei singoli segmenti di offerta idonei all’effettuazione di scelte funzionali alle proprie esigenze;
l’articolo 5 del Capo II, rubricato sotto la dizione “imprese turistiche senza scopo di lucro”, a differenza dell’attuale disciplina (articolo 7, comma 9 della legge n. 135 del 2001 e legge n. 1084 del 1977) che si vuole abrogare, non prevede l’obbligo per le stesse di uniformarsi a tutti gli oneri cui, invece, sono soggette le imprese turistiche, relativi alle agenzie di viaggio, all’obbligo assicurativo, ai requisiti professionali, e così via;
ciò determinerebbe gravi conseguenze, quali, la violazione delle garanzie di sicurezza e della qualità del servizio poste a tutela del turista, nonché concorrenza sleale. Sotto quest’ultimo profilo, infatti, la mancata definizione di questa tipologia di impresa e, comunque la mancata previsione della soggezione alle medesime regole e condizioni cui sono sottoposte le imprese turistiche che operano in regime ordinario, comporterebbe per le associazioni che operano come imprese turistiche senza scopo di lucro il godimento dei benefici di cui all’articolo 4, comma 2 (agevolazioni, sovvenzioni, contributi, eccetera);
il Titolo II, Capo I, che riguarda le professioni turistiche, si concentra esclusivamente sulle guide turistiche e sui maestri di sci e guide alpine, lasciando aperta una serie di dubbi sul destino di tutte le altre professioni turistiche, visto che l’articolo 3 del decreto in esame sopprime l’intera legge n. 135 del 2001, con la sola esclusione dell’articolo 6 relativo al Fondo di cofinanziamento dell’offerta turistica;
in particolare gli articoli 7 e 8, introducendo misure di liberalizzazione per le professioni di guide turistiche ed accompagnatori turistici, sembrano ignorare la delega legislativa prevista dall’articolo 10 della legge comunitaria 2010 (atto Camera n. 4059), in discussione alla Camera dei deputati, e diretta al riordino della professione di guida turistica, con particolare riferimento ai titoli e requisiti per il suo esercizio, con l’inevitabile rischio di generare un conflitto tra norme e confusione in sede di applicazione;
la legge comunitaria appare, infatti, la sede più opportuna per dettare una disciplina organica della professione di guida turistica, finalità che necessita di un provvedimento a sé stante, nel quale siano affrontati tutti i molteplici aspetti che ineriscono alla professione in esame, considerando altresì che lo stesso Consiglio di Stato ha rilevato la superfluità di tali disposizioni in quanto potrebbero “essere fonte di equivoci”;
il decreto non reca traccia di politiche del lavoro e di misure a tutela delle risorse umane impegnate nel settore, se si esclude, all’articolo 10 del capo II, dedicato al mercato del lavoro, la disciplina dei percorsi formativi finalizzati all’inserimento lavorativo nel settore turistico di giovani diplomati e laureati;
tra i soggetti deputati alla realizzazione di tali percorsi non figurano le associazioni di categoria e gli operatori del settore che, invece, potrebbero dare un contributo fondamentale in termini di know how e di conoscenza pratica e diretta del mercato;
la classificazione e le definizioni delle strutture ricettive, contenute nel capo III, in tema di mercato del turismo, generano confusione e incertezza interpretativa, nonché problemi anche in termini di elusione fiscale e di concorrenza sleale, laddove è prevista una nuova categoria di struttura ricettiva denominata “paralberghiera”, mai disciplinata in Italia e non contemplata in nessun altro Paese europeo;
la mancanza di una precisa definizione non consente di individuare tale fattispecie e di fissare criteri di demarcazione tra l’una e l’altra categoria, sovrapponendosi inoltre all’attuale definizione di struttura “extralberghiera”;
nella suddetta classificazione figura anche la specifica tipologia del “B&B organizzato in forma imprenditoriale”, che non viene definita in modo preciso, omissione chenon consente l’individuazione precisa di tale ambito come accade peraltro per la classificazione inerente le “case per ferie” e le “foresterie per turisti”;
al Titolo III, Capo I, quanto alle “Strutture ricettive ed altre forme di ricettività”, l’articolo 13 in attuazione della disciplina recata dagli articoli 6 e 7 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21 ottobre 2008 istituisce un sistema di rating su base nazionale, associabile alle stelle per la misurazione della qualità dei servizi che viene tuttavia lasciato alla buona volontà degli imprenditori senza peraltro prevedere alcun incentivo alle imprese per avviare concretamente il sistema che dovrebbe consentire al turista una maggiore consapevolezza nell’operare scelte adeguate alle proprie esigenze e alle proprie disponibilità economiche;
proprio allo scopo di realizzare una effettiva semplificazione, per le attività ricettive, si poteva cogliere l’occasione di introdurre la previsione di un’unica licenza che comprenda la somministrazione di alimenti e bevande e la fornitura di altri servizi connessi all’attività principale;
al Titolo III, Capo III gli articoli 19 e 20 richiamano la segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) di cui all’art. 19 della legge 241/1990, e lo Sportello unico per le attività produttive, di cui all’art. 38 del D.L. 112/2008, che intervenendo senza disciplinare espressamente le fattispecie concernenti aspetti specifici e peculiari della segnalazione di inizio attività in ambito turistico, ingenera ulteriore confusione;
sull’articolo 19, il Consiglio di Stato ha mosso, peraltro, numerosi rilievi, ritenendo in particolare che tale articolo possa creare un modello ulteriore e specifico di SCIA in materia di strutture turistico ricettive che non appare completamente in linea con la disciplina contenuta nell’art. 19 della L. 241/1990 e che, sovrapponendosi ad esso, finisca per contrastare le finalità di semplificazione normativa;
al titolo IV, Capo I, l’articolo 22 prevede per le agenzie di viaggio e turismo un generico obbligo di assicurazione, determinando, ancora una volta, incertezza e confusione per l’impossibilità di individuare precisi criteri giuridici che definiscano, in concreto, tale obbligo, essendo all’uopo insufficiente l’aggettivo “congrue”, unico riferimento normativo reperibile nel corpo della disposizione, peraltro giuridicamente indeterminabile e astratto;
al Titolo V, Capo I, l’articolo 25 prevede la realizzazione, a sostegno dell’immagine turistica dell’Italia, di circuiti nazionali di eccellenza che corrispondono a contesti turistici omogenei, e di itinerari tematici, entrambi da definirsi con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di concerto con vari Ministeri e d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni, misura già contemplata anche dall’articolo 1, comma 1228, della legge n. 296 del 2006, modificata dall’articolo 18 della legge n. 69 del 2009 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile), sovrapponendo altresì tale norma a quella relativa ai sistemi turistici locali previsti dalla legge n. 135 del 2001;
al Capo III, l’articolo 30, che riguarda il turismo sociale e, in particolare, i cosiddetti “buoni-vacanza”, da destinare a interventi di solidarietà in favore delle fasce sociali più deboli, anche per la soddisfazione delle esigenze di destagionalizzazione dei flussi turistici nei settori del turismo balneare, montano e termale, perde un’ottima occasione per migliorare ed estendere l’attuale farraginosa normativa che agevola soltanto una piccola parte dei potenziali aventi diritto;
al Titolo VI, Capo I, gli articoli 36 e seguenti che riformano la disciplina in materia di pacchetti turistici (articoli 82 e seguenti del Codice del consumo) appaiono svuotati di un concreto significato, considerato che in ambito europeo sta per essere approvata una nuova direttiva in materia, che andrà a sostituire la disciplina di cui alla direttiva 90/314/CE;
al medesimo Capo, l’articolo 45, in riferimento alla nozione di inesatto adempimento, rispetto al testo vigente dell’articolo 93 del decreto legislativo n. 206 del 2005, recante il Codice del consumo, non contiene l’esplicita esclusione della responsabilità nel caso in cui il mancato o inesatto adempimento sia stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile al venditore;
all’articolo 49 si prevede la risarcibilità del “danno di vacanza rovinata” che rischia, anche secondo il Consiglio di Stato, di essere foriera di contenziosi, in quanto “il riferimento alla serietà dell’offesa costituisce un filtro selettivo atto a bilanciare la posizione del danneggiante e quella del danneggiato, posto che l’offesa minima – in un giudizio di accertamento in concreto dell’inviolabilità dell’interesse – appare di per sé inidonea a superare il limite della tollerabilità civile”;
l’articolo 52 abroga importanti disposizione del Codice di consumo, in particolare elimina il Fondo (articoli 99 e 100), attualmente previsto a garanzia del consumatore per rimborsarlo delle somme versate per l’acquisto di pacchetti turistici non fruiti a causa dell’insolvenza o fallimento dell’operatore o dell’agenzia di viaggi o per assicurare assistenza in caso di rientro forzato di turisti da paesi esteri in occasione di emergenze imputabili o meno al comportamento dell’organizzatore;
tale espunzione si ripercuoterebbe sui diritti di tutela del consumatore che non potrebbe essere assistito dalla previsione delle “polizze assicurative”, contemplate dalla disposizione in esame in luogo del Fondo di garanzia, per l’impossibilità oggettiva della stipula di tali polizze da parte delle compagnie assicurative, non disponibili a garantire simili rischi e che, in assenza di una norma transitoria, avrebbe come esito immediato la mancata tutela di coloro ai quali è già stato riconosciuto il diritto al risarcimento;
inoltre, l’allegato II allo schema di decreto in esame, in tema di “contratti di multiproprietà, contratti relativi ai prodotti per le vacanze di lungo termine, contratti di rivendita e di scambio”, ha arbitrariamente sottratto la regolamentazione di tali fattispecie alla disciplina del Codice del consumo, sollevando forti perplessità sia sotto il profilo costituzionale che di opportunità;
al Titolo VII, Capo I, l’articolo 58, che individua nell’ENIT (Ente nazionale italiano del turismo), quale Agenzia nazionale del turismo, l’organo deputato a promuovere l’Italia all’estero, in termini di offerta turistica, non definisce in concreto quali siano le sue funzioni, che dovrebbero trovare una approfondita regolamentazione;
sarebbe al contrario opportuno prevedere un’adeguata riforma dell’Ente che preveda l’impegno delle risorse indispensabili per rendere efficace ed efficiente l’attività di un Ente che ha il compito di promuovere il turismo nazionale all’estero, soprattutto dopo i tagli operati dal Governo con la legge di stabilità per il 2011 e la conseguente chiusura di un’importante serie di delegazioni all’estero;
l’articolo 59, che istituisce il Comitato permanente di promozione del turismo in Italia, non specifica quali soggetti pubblici e privati del sistema turistico faranno parte del medesimo;
all’articolo 69, in relazione all’istituzione dello sportello del turista, è inopportunamente prevista la gestione centralizzata di istanze, di richieste e di reclami nei confronti di imprese ed operatori turistici, foriera di eccessive lungaggini burocratiche e disagi per gli utenti;
preso atto che:
nello schema di decreto è del tutto assente una strategia nazionale di sviluppo, crescita e sostegno di questo settore; non c’è traccia di una politica fiscale che riallinei l’Iva del comparto turistico a quella dei Paesi europei più direttamente nostri concorrenti; non c’è traccia, neppure dei temi che il Ministero dovrebbe affrontare con il coinvolgimento di tutto il Governo per far crescere il turismo in particolare nel settore delle infrastrutture per rendere l’Italia più facilmente accessibile, attraverso intese e convenzioni con i soggetti gestori di linee aeree, aeroporti, trasporti ferroviari e metropolitani, autostrade, volte a promuovere politiche specifiche di accoglienza per i turisti;
lo schema di decreto non prevede incentivi e sgravi fiscali per gli operatori che investono nello sviluppo della propria attività, non risolve i problemi strutturali del turismo, non contiene proposte per un settore che ha bisogno di rinnovarsi, che necessita di un sostegno per riqualificarsi e rilanciarsi, per stare alla pari con le sfide che il mercato globale ha portato anche nel turismo;
il Governo, con il provvedimento in esame evita qualsiasi scelta di politica turistica, limitandosi ad un riepilogo prettamente tecnico di discipline, tratte in parte dalla legge n. 135 del 2001, in parte dal Codice del consumo, dando luogo in alcuni ambiti a una normazione confusa, in altri non condivisibile, come hanno sottolineato, oltre alla forze politiche, anche le rappresentanze di categoria che hanno contestato molti punti specifici;
in contrasto con l’indirizzo europeo che garantisce la componente ambientale in tutte le iniziative cofinanziate mancano, inoltre, disposizioni in tema di sviluppo sostenibile del turismo, dirette a rispettare l’ambiente e ad assicurare una gestione sostenibile delle strutture ricettive;
in particolare quanto ai rilevati profili d’incostituzionalità, è opportuno il ritiro da parte del Governo del presente provvedimento e la discussione delle linee di una nuova proposta nella sede della Conferenza Stato-Regioni, per raggiungere un’intesa da sottoporre al Parlamento, previa discussione con le categorie economiche interessate e con le rappresentanze dei consumatori;
tale intesa deve prevedere l’aggiornamento della legge 29 marzo 2001 n. 135 (Riforma della legislazione nazionale del turismo) al fine di consentire anche alle Regioni ed alle Province Autonome di verificare quali parti mantenere in vita e quali eventualmente sopprimere, il provvedimento in esame prevedendo la pura e semplice soppressione della legge in oggetto crea ampi vuoti o innovazioni legislative prive di un adeguato supporto normative e di coordinamento con altre disposizioni vigenti;
esprime parere contrario.