Scuola e occupazione attenti alle statistiche. Perché, e come, cresce il numero dei giovani senza lavoro

tratto da La Stampa del 04/12/2011

DI WALTER PASSERINI

Lentamente sta arrivando a superare la quota del 30%. La disoccupazione giovanile tra i 19 e i 24 anni è in crescita (29,3%) ed è la metafora di un fallimento. Le cause e i colpevoli sono molti. C’è chi attribuisce le colpe ai giovani e alle famiglie: «Ma come – si sente dire – con la disoccupazione attuale i giovani si permettono di rifiutare certi lavori?».

Altri, persino un ministro, tempo fa hanno attribuito le colpe ai genitori e alle mamme, lassisti e distratti, che non educano adeguatamente i loro figli e non li aiutano nella scelta. Le ragioni soggettive sono spesso un effetto ottico, la distorsione di altre responsabilità. Quella delle istituzioni formative, per esempio, che non intercettano la domanda delle imprese; quella del disorientamento, figlio della pigrizia e di un mancato impegno nell’orientare i giovani esploratori senza bussole nel turbolento cambiamento del mercato.

Ma le responsabilità maggiori stanno in una mutazione antropologica e in una carenza di offerta. La mutazione antropologica, e non suoni giustificazione, è dovuta a modelli che mostrano immagini distorte del lavoro, del successo, della carriera. E produce una nuova scala di valori nell’equilibrio tra vita e lavoro, tra tempo per sé e tempo per l’impegno. Ma sono le carenze di offerta a presentare i maggiori vuoti.

La prima è la mancanza di un ordinamento formativo postdiploma, di tipo professionalizzante, sull’esempio delle esperienze dei Paesi più avanzati (Francia, Germania, Svizzera). Un ordinamento formativo per preparare tecnici e quadri della nuova industria e nei servizi. La seconda è l’idiosincrasia contro l’orientamento, che a sua volta è figlia del mancato monitoraggio e censimento dei fabbisogni formativi e professionali.

Se in questo settore si naviga a vista, ne va di mezzo l’efficacia e trionfano sprechi e delusioni. Se per orientamento si intendono chiacchierate dell’acqua calda, magari in un cinema o in un’aula magna stipate di giovani annoiati, si producono solo labirinti. Anche qui basterebbe guardare a ciò che succede vicino a noi per capire quanto siamo diversi e lontani da una seria politica di orientamento, che accompagni i giovani e le famiglie, che trovi i linguaggi per orientare le scelte.

Siamo nell’era della velocità, dove tutto cambia rapidamente. Ma sono proprio il fai da te, il bricolage e l’improvvisazione a impedirci di costruire il futuro. E a delegittimare lo studio, il lavoro, la formazione. Smettiamo di parlare di lauree deboli, mentre cerchiamo il capro espiatorio, perché creiamo distacco dalla conoscenza e dai saperi. E leggiamo con più attenzione i dati sulla disoccupazione. Sì, perché, se è vero che i giovani sotto i 24 anni sono senza lavoro, è altrettanto vero che nella fascia 25-34 anni chi non studia è perduto. Fermarsi al diploma significa essere disoccupati per il 13,3%. Sono gli under 35 senza studio e senza titoli a soffrire di più: uno su quattro cerca un lavoro che non troverà.

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