Profumo: “il nepotismo si batte con le regole valide per tutti gli Atenei”

tratto da La Stampa del 9 dicembre 2011 

Di ANDREA ROSSI  inviato ad Alba (CN)

 

 

Il neo-ministro: spendendo meglio rilanceremo la formazione e la ricerca

min profumoLe racconto il mio primo giorno al Cnr. Arriva un impiegato con un faldone di telegrammi da firmare. Da buon ligure chiedo quanto costa. E lui: 500 euro ciascuno. E io: non se ne parla, d’ora in poi si mandano le mail. È rimasto stranito. Dopo un po’ è tornato per dirmi che aveva consultato i regolamenti: si potevano convocare le riunioni via posta elettronica». La scuola che Francesco Profumo ha in mente è così: senza burocrazia, senza carta, forse anche senza cattedre, magari con pochi soldi, però spesi bene. Quanti? Il ministro dell’Istruzione di una cosa è certo: non saranno meno che in passato. Basta tagli. «Questo governo, pur nelle difficoltà, pur tenendo ferma la barra del rigore, avvierà una politica per il futuro partendo da giovani, scuola e ricerca».

Ministro, il passato non promette bene. La scuola è stata immolata sull’altare dei conti pubblici.

«È vero. Però dobbiamo riflettere su un dato: non si è investito in tecnologia. La conseguenza è che una parte della spesa è parassitaria».

Soldi buttati?

«Già. Io voglio usare bene le risorse che ci sono. Finora non è stato fatto. C’è poca attenzione al controllo della spesa. Non si curano i dettagli. Invece chi governa dovrebbe avere a cuore che ogni euro sia impiegato bene. E solo a quel punto chiedere più risorse».

Da investire in che modo?

«Dal punto di vista tecnologico l’Italia è rimasta nel vecchio millennio. La pubblica amministrazione non ha investito in de-materializzazione, semplificazione, tecnologie. Sono convinto che a parità di risorse, semplicemente spostandone una quota su questi versanti, si possano rilanciare formazione e ricerca».

Basta la tecnologia? O nella scuola mancano i saperi?

«I nostri figli acquisiscono non più del venti per cento delle loro competenze in classe. Assimilano informazioni attraverso un’infinità di mezzi. Però non sanno organizzarle. La scuola deve insegnarlo».

Il ruolo dell’insegnante cambierà?

«Ha senso passare trent’anni e più a ripetere le stesse nozioni? Dobbiamo chiederci se la scuola in cui uno spiega e gli altri ascoltano abbia ancora ragione d’essere».

Intanto le classi scoppiano: 30 allievi non sono troppi?

«Se superiamo il meccanismo delle lezioni frontali e il concetto dei laboratori, trasformando tutta la scuola in un vettore 2.0, allora trenta studenti possono persino essere pochi».

Cambierà le riforme Gelmini come molti le chiedono?

«Ho trascorso parte della vita occupandomi di gestione dei sistemi complessi. E ho imparato una cosa: quando si inizia un lavoro è indispensabile far funzionare quel che c’è. La riforma ha aspetti positivi e altri meno, ma questo Paese non può campare in eterno con rivoluzioni e fasi transitorie. Ha bisogno di stabilità».

Ad Alessandria un concorso per ricercatore, l’ennesimo, è finito nella bufera.

«Non conosco nei dettagli la vicenda. Però il sistema dei concorsi si rende immune da contaminazioni con regole valide per tutti gli atenei: più valore alle pubblicazioni, meno ai test. E incentivi alla mobilità. Dobbiamo mescolare il sangue».

Come costruirà la scuola che ha in mente?

«In questi anni sono state avviate sperimentazioni di grande valore. Nei prossimi mesi voglio girare l’Italia, raccogliere queste esperienze, metterle a sistema, farne i cardini di un grande progetto Paese. Il momento è difficile. Purtroppo a lungo non abbiamo voluto dircelo. Adesso sono necessari sacrifici. Però l’Italia è meglio di quel che appare. Custodisce grandi individualità. Ma non possiede il senso del collettivo».

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