CAMERA DEI DEPUTATI – XVI LEGISLATURA
COMMISSIONE III
AFFARI ESTERI E COMUNITARI
Comitato permanente sui diritti umani
INDAGINE CONOSCITIVA SULLE VIOLAZIONI DEI DIRITTI UMANI NEL MONDO
Seduta di martedì 6 luglio 2010
Audizione di rappresentanti di Amnesty International sul Rapporto annuale 2010 sulla situazione dei diritti umani nel mondo.
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca, nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulle violazioni dei diritti umani nel mondo, l’audizione di rappresentanti di Amnesty International sul Rapporto annuale 2010 sulla situazione dei diritti umani nel mondo.
Do loro il benvenuto, ricordando che nel corso di quest’indagine conoscitiva rappresentanti di Amnesty International sono stati auditi l’8 aprile 2009 sulla situazione dei diritti umani nella Federazione Russa e lo scorso 9 febbraio sull’Esame periodico universale del nostro Paese da parte del gruppo di lavoro del Consiglio dell’ONU per i diritti umani.
Saluto e ringrazio per la loro disponibilità Christine Weise, presidente della sezione italiana di Amnesty International, Giusy D’Alconzo, coordinatrice delle attività di ricerca sull’Italia, e Daniela Carboni, responsabile per le relazioni istituzionali.
Se le nostre ospiti sono d’accordo, do la parola a Christine Weise.
CHRISTINE WEISE, Presidente della sezione italiana di Amnesty International. Buongiorno. Ringrazio dell’invito a presentarvi oggi il Rapporto annuale 2010 di Amnesty International.
In tale rapporto, Amnesty International registra un’eclatante mancanza di giustizia per milioni di persone nel mondo, ma descrive anche un cammino verso una giustizia globale segnato da diversi successi importanti.
Il 2009 è stato, infatti, un anno di svolta per la giustizia internazionale: per la prima volta è stato spiccato un mandato di cattura da parte della Corte penale internazionale nei confronti di un capo di Stato in carica, il presidente sudanese Omar Hassan Ahmad al-Bashir, mentre l’ex presidente del Perù, Alberto Fujimori, è stato condannato per crimini contro l’umanità.
Ha inoltre visto la luce il primo meccanismo internazionale che consente alle persone singole di fare ricorso alle Nazioni Unite per vedere riconosciuti i loro diritti economici, sociali e culturali. Mi riferisco al Protocollo opzionale al Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali.
Si tratta di segnali importanti sul fatto che per le vittime di violazioni è possibile una giustizia vera, basata su tre elementi fondamentali: il riconoscimento della verità, la condanna dei colpevoli e la riparazione dei danni.
Purtroppo, alcuni Governi continuano a considerarsi al di sopra della legge e alcuni Stati, tra i quali molti membri del G20, come Cina, India, Indonesia, Russia, Arabia Saudita, Turchia e Stati Uniti d’America, continuano a sottrarsi alla giurisdizione della Corte penale internazionale, rifiutando di ratificarne lo Statuto. Più della metà dei 111 Stati che hanno ratificato tale Statuto, tra cui l’Italia, non hanno ancora adeguato la loro legislazione interna o l’hanno fatto in maniera lacunosa.
Ciò significa che nella maggior parte dei Paesi gli organi di giustizia non indagano su crimini contro l’umanità, crimini di guerra, torture, esecuzioni extragiudiziali e sparizioni forzate. Non si conducono indagini e nessuno viene condannato per tali crimini perché mancano le leggi oppure la volontà politica di attuarle.
Vogliamo portare in questa sede alcuni esempi rilevanti, riferiti allo scorso anno.
Gli Stati Uniti non hanno accettato di far luce sulle violazioni che sono state commesse durante la guerra al terrore e riguardo alle detenzioni a Guantanamo.
Il Governo cinese, in seguito alle rivolte degli uiguri nella regione autonoma dello Xinjiang di un anno fa, ha limitato la circolazione di notizie, ha tratto in arresto manifestanti pacifici e ha ignorato la richiesta del relatore ONU sulla tortura di poter visitare la zona. Nove persone sono state condannate alla pena capitale e messe a morte.
Né in Russia né in Georgia sono stati processati i responsabili di violazioni nel conflitto del 2008. La Russia ha utilizzato il suo potere per bloccare qualunque presenza e controllo internazionale nelle regioni secessioniste dalla Georgia, dell’Ossezia del sud e dell’Abkhazia.
Molti Stati chiedono il rispetto dei diritti umani quando conviene loro politicamente, ma rifiutano di rendere conto delle proprie azioni. Fino a quando i Governi non smetteranno di subordinare la giustizia agli interessi politici, la libertà dalla paura e dal bisogno resterà fuori dalla portata della maggior parte dell’umanità.
Nell’ambito di organizzazioni internazionali che dovrebbero mettere in primo piano i diritti umani e la giustizia per le vittime in più occasioni gli Stati hanno invocato una solidarietà geografica e politica, invece di mettere in primo piano la giustizia per le vittime di violazioni dei diritti umani.
Ricordiamo che nessun Paese africano o asiatico ha votato contro la risoluzione che il Governo dello Sri Lanka aveva proposto al Consiglio per i diritti umani per autoelogiarsi per la vittoria contro le Tigri Tamil, nonostante fossero evidenti le violazioni commesse dalle due parti del conflitto.
Il rifiuto degli Stati dell’Unione africana di attuare il mandato di arresto internazionale a carico del Presidente sudanese al-Bashir rappresenta un altro esempio di politicizzazione della giustizia.
Nelle falle della giustizia globale continuano a prosperare la repressione e l’ingiustizia, condannando milioni di persone a una vita di soprusi, oppressione e violenza.
In tutta l’Africa l’intolleranza verso le voci critiche è diffusa. Nella Repubblica democratica del Congo, nello Zimbabwe e in Uganda attivisti per i diritti umani e giornalisti sono stati arrestati. In Etiopia sono state approvate leggi che impediscono alle organizzazioni della società civile di lavorare liberamente.
In Iran, dopo le elezioni contestate di giugno, la repressione ha continuato ad aumentare, raggiungendo livelli senza precedenti.
In Egitto la tensione politica e il decennale stato d’emergenza hanno provocato nuovi arresti nei confronti di blogger e sindacalisti.
Nell’area dell’ex Unione sovietica lo spazio per le voci indipendenti e per la società civile ha continuato a essere limitato. Attivisti e attiviste per i diritti umani, giornaliste e giornalisti sono stati perseguitati, minacciati, attaccati o uccisi.
In America latina giornalisti e giornaliste sono stati vittime di intimidazioni e attacchi, anche mortali, mentre gli organi di informazione che criticavano le politiche governative hanno subìto sanzioni o sono stati chiusi, come nel Venezuela, a Cuba e in Honduras.
I diritti dei migranti, dei richiedenti asilo e dei rifugiati hanno continuato a essere violati, in un contesto globale di discriminazione e assenza di tutela, che colpisce sempre di più le minoranze.
In Asia donne e uomini migranti sono stati sfruttati e sottoposti a violenze e molestie. Nel nostro rapporto troverete, tra gli altri, i casi della Corea del Sud, del Giappone e della Malesia.
In Messico i migranti provenienti dall’America centrale hanno subìto gravi violazioni.
In Europa stanno esplodendo razzismo, xenofobia e intolleranza. Per esempio, in Svizzera è stato approvato per referendum il divieto di costruire minareti, divieto che rappresenta una violazione della libertà di religione e una discriminazione per motivi religiosi.
Nel nostro continente è stata sistematica la discriminazione dei rom, che sono rimasti in gran parte esclusi dalla vita pubblica e ai quali sono stati negati alcuni diritti umani. I casi citati nel Rapporto annuale 2010 riguardano l’Italia, la Repubblica Ceca, la Romania, la Serbia e la Slovacchia.
Le violenze nei confronti delle donne sono un altro classico segnale di mancanza di giustizia. Sulle donne, in particolare quelle povere, si abbatte il peso dell’incapacità dei Governi di realizzare gli Obiettivi di sviluppo del millennio, la più importante iniziativa globale contro la povertà.
Nonostante tra gli otto Obiettivi negoziati nel 2000 figuri anche quello finalizzato a migliorare la salute materna, si stima che anche nel 2009 le complicazioni in gravidanza siano costate la vita a circa 350 mila donne nel mondo. Tali morti sono spesso causate da discriminazione, violazione dei diritti sessuali e riproduttivi e mancato accesso alle cure sanitarie.
Casi di cosiddetti delitti d’onore sono stati riferiti in Giordania, nei territori amministrati dall’Autorità palestinese e in Siria.
In Messico, Guatemala, El Salvador, Honduras e Giamaica sono aumentate le denunce di violenza domestica, di stupri, di violenze sessuali, di uccisioni e stupri seguiti da mutilazioni.