tratto da Il sole 24 Ore del 9 dicembre 2011
di Franco Sarcina
MILANO
La farmaceutica è un settore che da lavoro a circa 67mila addetti – per il 90% laureati e diplomati – con le esportazioni che, in questo 2011, dovrebbero raggiungere il 60% del fatturato. Sicuramente un settore in salute, che non risente degli sconquassi subiti dall’economia reale e da tanti altri rami industriali.
Eppure, l’industria del farmaco sta vivendo un momento dove alcuni campanelli di allarme stanno suonando sempre più forte, e per rimanere in salute necessita di alcuni interventi urgenti. Ne abbiamo parlato con Massimo Scaccabarozzi, presidente di Farmindustria.
Qual è lo stato di salute della farmaceutica italiana?
Purtroppo, sta continuando un trend occupazionale non positivo, che ha portato la farmaceutica negli ultimi quattro anni a perdere circa 8mila addetti (ora sono 67mila). Nei prossimi due anni sono a rischio altri 8mila posti, con 1500-2mila addetti che di fatto perderanno il lavoro già dai prossimi mesi. Inoltre, ci sono aziende anche importanti che stanno pensando di delocalizzare. Di fatto, le cause di questa situazione sono diverse.
E cioè?
Prendiamo i tempi di pagamento medi da parte delle strutture pubbliche. In Italia sono pari a 262 giorni, con punte di 700 in alcune regioni, con una crescita del 12% rispetto all’anno scorso e del 30% dal 2009. Ancora, i prezzi dei farmaci: in Italia, la spesa farmaceutica convenzionata per persona è di 181 euro, contro una media che per i grandi paesi europei è di 273 euro. In genere, l’Italia ha i prezzi più bassi in Europa nel canale farmacia, inferiori del 10% secondo una ricerca Cergas Bocconi, alla media dei grandi Paesi europei per i prodotti ospedalieri, con una spesa farmaceutica totale più bassa del 25%. Un altro pericolo reale verrebbe fuori da una eventuale decisione di intervenire sull’Iva applicata ai prodotti farmaceutici, il cui costo andrebbe a ricadere in toto sui produttori e potrebbe avere degli effetti terribili. Di fatto, sono state fatte delle manovre economiche con l’unico fine di ridurre le spese, ma senza guardare ai possibili impatti economici derivati da questa riduzione.
Quali possono essere i correttivi necessari per riportare la farmaceutica italiana all’eccellenza?
È possibile intervenire su diversi fattori. Innanzitutto, è necessario garantire la stabilità del quadro normativo, la certezza delle regole e creare condizioni per le imprese del settore che siano competitive con quelle dei principali Paesi europei. Occorre inoltre potenziare gli incentivi alla ricerca e premiare l’innovazione, minimizzando i tempi di introduzione sul mercato dei medicinali già approvati dall’Agenzia Italiana del Farmaco: attualmente, l’inserimento nei prontuari regionali spesso rendono questi tempi eccessivamente lunghi. Ancora, è necessario che le attuali norme che prevedono un credito di imposta per società ed enti che investono in ricerca e sviluppo vengano rese strutturali e stabili.
Anche grazie alla qualità del nostro Sistema Sanitario Nazionale, l’Italia è il Paese più longevo in Europa, con gli over 65 che ad oggi sono 12,2 milioni e sono destinati ad aumentare ancora nei prossimi anni. La domanda di salute richiede pertanto maggiori risorse per l’Ssn e un grande impegno affinché vengano garantite a tutti prestazioni appropriate e il massimo dell’efficienza.