tratto Voce Alessandrina del 25 novembre 2011
Di Marco Caramagna
Intervista al Ministro della Salute Renato Balduzzi
Gli impegni che attendono il Governo sono certamente onerosi ma non insormontabili. Quali sono le linee-guida dell’esecutivo?
A questo Governo è chiesto di fare presto, di dare subito dei segnali. Però è chiesto anche, come a tutti, di dare dei segnali buoni, Quindi, presto e bene. Presto e bene è una scommessa, ovviamente. Perché presto e bene non è sempre facile.
Abbiamo fatto un ragionamento di questo genere. Come esecutivo composto da persone che non sono politici di professione vorremmo ancora di più valorizzare il principio di fondo di ogni esecutivo, cioè la collegialità, secondo lo spirito del diritto costituzionale a cui, poi, si aggiunge la responsabilità per gli atti dei singoli dicasteri. La collegialità è qualche cosa che spesso si è perduta, non solo in questi ultimi anni, in quanto si è voluto assegnare un ruolo molto forte al cosiddetto premier, che nella Costituzione italiana si chiama presidente del Consiglio dei Ministri . Ecco, noi la vorremmo ripristinare tenendo insieme le due cose. Cioè, il ruolo autorevole e forte del presidente Monti – che per tutti noi è scontato – e il valore della collegialità. Questo per noi è il modo e il metodo per fare fronte alle sfide.
E’ chiaro che all’esterno sarà, soprattutto, un problema del presidente Monti, all’interno è un problema di tutti i ministri, in particolare dei cosiddetti ministri di settore, cioè che hanno settori significativi della vita nazionale affidati alla loro competenza.
A cominciare da quello della Salute… E allora qual è lo “stato della salute e della sanità” in Italia?
Siamo in presenza di un sistema sanitario che è buono. Ciò che vuol dire che ci sono parti del territorio o, dentro le stesse parti del territorio, segmenti di sistema – magari dentro la stessa struttura sanitaria – di qualità e segmenti più difficili, più problematici. Questo, da un certo punto di vista è normale perché nei servizi sanitari, più che in altri, conta il fattore umano. E il fattore umano è diverso. Tanto è vero che uno dei compiti principali del Ministero è quello di riuscire – attraverso linee guida, percorsi diagnostico-terapeutici, indicazioni operative – a realizzare una omogeneità la più alta possibile, perché dentro questa omogeneità i più esperti possano eccellere e i meno esperti, comunque, non arrivino troppo lontano dall’eccellenza: questa è la sfida di ogni sistema sanitario. Noi siamo buoni nell’insieme, con dei grandi problemi soprattutto localizzati in alcune regioni d’Italia. Però, in un buon sistema sanitario si capisce se anche nelle parti di un territorio che sono più difficili, dove i servizi funzionano in generale meno, quello sanitario comunque funziona. In questi anni si sta sviluppando una metodologia per misurare gli esiti, non la qualità in astratto, in termine di salute. Per esempio: questa patologia trattata in un determinato ospedale dà questi effetti, produce questi risultati, queste complicazioni, la morte o non la morte. Questi esiti rappresentano un elemento che aiuta il decisore, che non è il ministro della Salute ma le Regioni. Il ministro della Salute ha il compito di fare in modo che le singole Regioni esercitino al meglio le loro attribuzioni e di garantire che ognuno faccia la propria parte ma non è direttamente colui che risponde dei servizi concreti prestati, perché il nostro sistema costituzionale assegna questa competenza alle Regioni.
Però, al ministro della Salute spetta garantire che le Regioni la possano esercitare, quindi fare in modo che il finanziamento sia adeguato, vigilare perché i cittadini abbiano i diritti che loro spettano, in particolare i livelli essenziali di tutela della salute.
Quanto incide nel bilancio dello Stato italiano la spesa sanitaria?
Meno di quanto si pensi per quanto riguarda la spesa sanitaria pubblica, a cui però bisogna aggiungere una significativa spesa sanitaria privata. Nelle classifiche internazionali siamo molto valorizzati, perché riusciamo, tra spesa pubblica e spesa privata – quella che il cittadino tira fuori di tasca propria, che possono essere, da una parte, i ticket e dall’altra le medicine non rimborsabili – a far fronte ai servizi resi. Le classifiche vanno prese con beneficio d’inventario ma se la sanità è al terzo o quarto posto al mondo per quanto riguarda l’assetto dei servizi sanitari non possiamo prender per buona solo la classifica che ci mette al 120° posto quanto a efficienza della giustizia e non quella che ci mette terzi o quarti nell’efficienza sanitaria… Dobbiamo prenderle entrambe come indicatori di un sistema.
Cosa farà il Governo in questi mesi?
Non vogliamo fare la rivoluzione nella sanità ma portare a termine le cose avviate dai precedenti Governi rimaste per qualche ragione per aria. Questo sì che è rivoluzionario. Sarà, forse, necessario dare qualche indicazione di tendenza sul medio e sul lungo periodo, perché una volta ripristinata nel nostro Paese l’ordinarietà della vita istituzionale, quindi un Governo sorretto da una maggioranza precostituita con una durata di legislatura, ci siano le basi per poter andare avanti. Quindi, da una parte, noi portiamo alla fine il meglio di quello che c’è e, dall’altra, creiamo delle condizioni, mettiamo in atto delle strategie per disegnare la sanità nel medio e nel lungo periodo, che sarà probabilmente non uguale a quella attuale.
Quali sono le difficoltà nell’immediato, a breve e a medio termine della sanità italiana?
La prima difficoltà mi sembra di ordine culturale, prima ancora che economico o sociale. Cioè quella di non credere a sufficienza in se stessa e nei suoi modelli, che non sono tutti uguali ma plurimi. Credo che ciascuna Regione abbia il diritto di darsi l’assetto che ritiene migliore dentro, evidentemente, la cornice generale del servizio sanitario nazionale perchè ci sono Regioni con tanto privato o poco privato, Regioni con tanto o poco sociale dentro la sanità, Regioni che sono fortemente condizionate dall’esistenza di una significativa quota di offerta sanitaria privata (laboratori, case di cura e quant’altro) e Regioni che, invece, si sono date un assetto più compatto di tutto questo e puntano soprattutto sulla sanità pubblica, Regioni che mettono molto in rilievo l’integrazione tra sociale e sanitario. Tutto questo, nelle diverse realtà è fatto in modo diverso. Se, però, l’integrazione è un valore obiettivo positivo devono tutte arrivare ad avere uno standard di integrazione sufficiente. Questo, però, significa avere una consapevolezza della validità del proprio sistema di sanità. Che è importante perché è la base per poter correggere degli errori.
Esiste, poi, la necessità di un attento regime dei controlli perché i controlli sono il problema del nostro ordinamento, che ha delle norme in genere buone, perlomeno molto ricche, magari troppo, inattuate e soprattutto difficili da attuare perché i controlli sono normalmente carenti o esagerati. I controlli sono difficili. Ma un sistema di controlli che, invece, diventi più efficiente è il modo per assicurare l’appropriatezza delle prestazioni e alla fine la tutela della salute. Ormai tutte le indicazioni, le analisi che ci sono in Italia, comprese quelle fatte dall’Agenas (ente di cui era presidente il prof. Balduzzi prima di diventare ministro, ndr), tutte le ricerche dicono che dove c’è minor qualità c’è anche maggiore spesa. In sanità, le situazioni dove si spende di più sono anche quelle che danno servizi più scadenti.
E allora è chiaro che i problemi sono i controlli sull’appropriatezza. C’è da far funzionare le regole esistenti. La riforma del 1999 aveva scritto alcune cose per tenere insieme questo sistema regionalizzato. A partire dal 2004 Governi di diverso segno politico hanno ripreso questa linea di imporre alle Regioni, che non riescono ad attuare il servizio o che non riescono ad attuarlo entro un certo termine, un piano di rientro che sia però al tempo stesso affiancato da un piano di riqualificazione dei servizi e delle prestazioni.
Una domanda di carattere non prettamente sanitario. Questo Paese come tanti altri paesi dell’Occidente sia in soprappeso, almeno per quanto riguarda la popolazione giovanile. Il Governo pensa di fare qualcosa nel breve lasso di tempo di questo Governo. Educazione alimentare.
Non partiamo da zero. Questa situazione, la necessità di stili di vita diversi, di guadagnare salute, sono tutti slogan del passato, cioè che ci accompagnano. Si tratta di farli diventare un po’ reali. Abbiamo un ottimo sistema di regole però ci vuole che dentro le scuole dentro l’associazionismo, dentro i luoghi di lavoro questa cosa sia – la campagna contro il fumo, noi abbiamo vinto la battaglia del divieto di fumo nei locali pubblici, battaglia difficile, ma non abbiamo vinto la battaglia contro il fumo, è una battaglia che non può mai cessare di essere combattuta.
Cosa può fare il Governo e per conto del Governo i ministri competenti: incentivare le buone pratiche che ci sono in questi campi. Ci sono luoghi dove quanto tu mi chiedi si fa con esiti anche buoni dove si fa bene. D’altra parte forse non è solo un caso o merito delle tecnologie delle automobili se c’è una riduzione degli incidenti mortali, sono forse anche i primi risultati di una progressiva campagna di educazione alla salute, che non si è mai smessa di fare anche se poi da luogo a luogo, da città a città, dentro la stessa città da scuola a scuola, qualche volta dentro la stessa scuola da sezione a sezione il modo con cui questo si fa è diverso. Ma d’altra parte questo è un punto per quanto riguarda l’educazione alla salute, salute, sanità e istruzione si toccano: sono i due settori nei quali il fattore umano gioca il peso più forte. E dunque uno può avere nella stessa scuola d ue classi molto diverse per tante ragioni.
Una considerazione sulla nostra sanità ragionale?
In sanità è riconosciuto che la qualità assoluta è un obiettivo forse irraggiungibile. La sanità italiana non ha bisogno di svolte nel breve periodo ma di completamenti, di pezzi di strada ulteriori che vadano in quella direzione, senza svoltare.
Altro è, come dicevo all’inizio, immaginare invece un assetto per gli anni del medio e soprattutto del lungo periodo perché qui non c’è nessuno in questo momento che abbia le ricette. Allora bisogna che insieme – il livello nazionale, i livelli regionali ma anche quelli locali, perché tutto il socio sanitario si gioca a partire anche dal locale – realizzino quello che la Costituzione chiede a loro, cioè la collaborazione e integrazione funzionale dei servizi. Questo in tutte le Regioni, compresa la Regione Piemonte, perché da questo punto di vista è una Regione con luci ed ombre.