di Alessandro Viapiana
Abbiamo sotto i nostri occhi ogni giorno un sistema comunicativo, politico e non solo, che si basa sull’immediatezza e sulla velocità. Se questo è un bene dal punto di vista della messa in circolazione della conoscenza, riscontriamo dei problemi quando le fonti, producendo informazioni non vere creano fenomeni poco esaltanti di cui la cronaca nostrana è piena. Basti pensare al dibattito, impensabile fino a pochi decenni fa, creatosi attorno al tema della vaccinazione.
Ma perché è possibile che una notizia falsa prenda piede, si diffonda e a causa della sua ripetizione arrivi a sembrare verosimile? Come combattere questo fenomeno che sembra essere legato a stretto giro alla diffusione di tendenze politiche “populiste”?
Secondo i dati delle rilevazioni OCSE (2005) e dello Human Development Report (2009), si riscontra nei paesi presi in analisi, tutti occidentali, in media un altissimo tasso di analfabetismo funzionale, fenomeno per il quale persone aventi un’istruzione ordinaria non sanno metterne in pratica gli insegnamenti, anche i più basilari.
L’Italia è maglia nera in questa classifica, forse per via della scarsa cultura scientifica in molte aree del Paese, se rapportata ai Paesi scandinavi presi in esame assieme al nostro. Al di là di questo però, il tasso italiano, 47%, è allarmante soprattutto alla luce di quello dei nostri vicini europei che oscilla tra il 6% e il 20%.
Secondo questi studi, quindi, il 47% della popolazione italiana non saprebbe comprendere il significato, tra le altre cose, di un testo scritto. Ed ecco che ci ricolleghiamo al nostro tema.
Capiamo la pericolosità di un testo che viene letto da una persona senza capacità di discernere se il dato sia vero o meno. A livello macroscopico il fenomeno può causare gravi danni sia al sistema sociale che a quello economico.
La domanda che ci si potrebbe porre, visti questi dati e fenomeni, è quanto il sistema educativo abbia funzionato se i risultati sono così deleteri.
La risposta è che il sistema educativo ha funzionato fintanto che le fonti qualificate a produrre notizie e informazioni erano relativamente poche. Un’enciclopedia, un giornale, una biblioteca, una lezione universitaria erano tutte fonti circoscritte, chiuse e cosa più importante non erano messe in discussione se avvalorate da prove accettate dalla comunità scientifica.
Nella società odierna, connessa da reti invisibili, la circoscrizione delle fonti non esiste più. Non solo, esse sono aumentate a dismisura, spesso create proprio per trarre in inganno il lettore.
Se ovviamente il problema di creare capacità di critica è sempre esistito, ora più che mai è funzionale a sapersi collocare nel contesto globale. Non possiamo più pensare che un certo tipo d’istruzione sia una velleità elitaria, ormai ogni persona è dotata di un apparecchio che la mette in contatto con il resto del mondo.
Va ripensato il modo di educare, sia nelle famiglie che ovviamente a scuola. Il nozionismo non può sostenere questa sfida, bisogna allenare le menti a sfide più complesse. Al tempo d’oggi lo studio mnemonico di una poesia è inutile se non si rivolge attenzione preminente allo studio del suo significato. Una buona capacità matematica è inutile senza mostrarne l’applicazione concreta.
Insomma, il paradigma novecentesco basato su poche fonti e nozionismo non risponde più ai bisogni contemporanei; anzi, corre il serio rischio di fare il gioco di chi, a conoscenza di tale gap, mette in atto politiche e fa circolare notizie funzionali a un accrescimento dei propri consensi elettorali.
Tutto questo a discapito nella maggior parte dei casi del buon senso che comunque dovrebbe sempre guidarci, che si abbia la licenza elementare o si sia plurilaureati.